Hanno inseguito la crescita. Trasformandosi, mettendosi in gioco, rischiando in proprio, mantenendo alto il nome e la qualità del made in Italy nel mondo. Ora rischiano di essere fermate non dal terremoto finanziario che ha messo in ginocchio l’economia mondiale, ma dal terremoto naturale, da un sisma che ha tolto la terra da sotto i piedi e fatto crollare chiese, edifici storici, capannoni industriali e fattorie. A due giorni dal sisma le piccole e medie imprese, il motore produttivo dell’Emilia Romagna, iniziano a quantificare i danni.
Nella regione per eccellenza dei distretti, là dove le piccole e medie imprese, ossatura del sistema produttivo italiano, rappresentano il cuore pulsante dell’Italia che produce, il sisma di due giorni fa si aggiunge ad una crisi che ha già provato questo territorio.
Oggi il consiglio dei ministri formalizzerà lo stato di emergenza e ieri il sottosegretario alla presidenza del consiglio Antonio Catricalà ha assicurato che il governo non abbandonerà le zone colpite dal terremoto e che ci sarà «una copertura finanziaria per il soccorso e l’assistenza a persone e imprese». Il presidente della regione, Vasco Errani, ha ieri affrontato e condiviso con il ministro del welfare Fornero il tema degli ammortizzatori sociali in deroga, il cui utilizzo dovrebbe servire ad «evitare che i lavoratori vivano una doppia emergenza ».
Se il terremoto ha lasciato indenne la Motor Valley, ovvero quel distretto situato nel triangolo Modena-Ferrara-Bologna dove si trovano le sedi delle più importanti case automobilistiche (Ferrari, Lamborhini e Maserati) ma anche delle due ruote con la Ducati e la VM Motori di Cento in provincia di Ferrara, a poco chilometri a Dosso di Sant’Agostino i crolli sono stati gravi.
Ieri il sito di Ceramica Sant’Agostino, una ditta a conduzione familiare attiva dal 1964 e giunta alla terza generazione, era listato a lutto. Qui hanno perso la vita due dei quattro operai morti durante il turno di lavoro in tre stabilimenti diversi: Leonardo Ansaloni e Nicola Cavicchi. «Nonostante l’enorme colpo subito – si legge – Ceramica Sant’Agostino è determinata nel rialzarsi e nel riprendere quanto prima la produzione, soprattutto per onorare la memoria di chi non c’è più. L’azienda continuerà ad essere una risorsa importante per il territorio e per le numerose famiglie che da essa dipendono. Perchè questo significa credere nel proprio lavoro». Tra i primi marchi italiani nella produzione di ceramiche da pavimento e rivestimento, Ceramica Sant’Agostino produce ogni giorno 23.000 metri quadri di piastrelle distribuite in tutta Europa. Un distretto, quello ceramico, conosciuto in tutto il mondo e che rappresenta un’importante fetta di export. Secondo il terzo rapporto dell’Osservatorio nazionale Distretti italiani ben il 52 per cento degli imprenditori distrettuali «avverte una più forte apertura verso i mercati internazionali e un ulteriore 37 per cento è impegnato in un continuo upgrading qualitativo delle produzioni».
Ed in ginocchio è anche il comparto agroalimentare dove, per le maggiori confederazioni del settore, i danni ammontano a decine di milioni di euro nelle campagne. Per Coldiretti si tratta di 200 milioni di euro tra crolli e lesioni agli edifici rurali, danni ai macchinari, animali sotto le macerie, oltre a 400 mila forme di parmigiano reggiano e grana padano irrimediabilmente danneggiate. Per la Cia che, così come Fedagri-Confcooperative e Confagricoltura ha chiesto la sospensione dei pagamenti dell’Imu per gli agricoltori, sarebbero stati danneggiati anche diversi stabilimenti produttivi nella zona del Lambrusco dove sarebbero andati in fumo migliaia di litri di aceto balsamico. Un grido, quello che arriva da queste terre, a cui non è rimasta insensibile Bruxelles dove il presidente della Commissione agricoltura del parlamento europeo, Paolo De Castro, ha avanzato la possibilità di attivare percorsi di risarcimento perché «ad essere colpiti e fortemente danneggiati sono stati sia i prodotti sia gli assetti strutturali ». E che l’Europa non resterà a guardare lo ha promesso anche il presidente della Commissione europea Barroso: siamo pronti a fornire ogni assistenza. Ma domani è un altro giorno.
da Europa Quotidiano 22.05.12
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“Lo stato che c’è e la cura che manca”, di Pierluigi Castagnetti
Emilia Romagna, terra di terremoti. Verrebbe voglia di cogliere qualche nesso fra i due eventi registrati nelle ultime quarantotto ore.
Mi limiterò a segnalarne uno di grande evidenza: da un lato la risposta tempestiva ed efficiente del sistema politico e amministrativo alla catastrofe che ha sconvolto alcuni comuni della bassa modenese e ferrarese, dall’altro i risultati elettorali di Parma e di Comacchio che vedono trionfare i candidati grillini.
L’Emilia è tutto questo, è efficienza di governo ed è anche domanda di cambiamento, due dati apparentemente in contraddizione. Ma solo apparentemente. L’Emilia si conferma infatti modello di buona amministrazione ma pure luogo in cui la politica, perché in questa regione la politica continua ad esistere!, non può consentirsi il lusso di stare ferma e di accontentarsi dei risultati ottenuti.
Oggi sento però di dovere soffermarmi soprattutto sulla catastrofe sismica esplosa domenica mattina alle 4,03. Rinuncio a dire delle sensazioni e delle emozioni di quelle ore, che ho vissuto anche personalmente seppur alla periferia del “cratere”, per fermarmi brevemente sullo spettacolo delle ore successive. Nei comuni maggiormente colpiti, mentre si succedevano le scosse a decine e decine ciò che impressionava era il volto della gente che stazionava nelle piazze, nei parchi e nei cortili antistanti le proprie abitazioni. Erano volti impauriti, ma non disperati, di persone che non chiedevano nulla se non di sapere quando poter ripartire, non per sfiducia nelle pubbliche istituzioni, ma per la convinzione che toccasse ad ognuno di loro in primo luogo reagire. I sindaci e gli assessori in giro nelle zone particolarmente colpite assolvevano il compito di rassicurare la popolazione, di non fare declinare la fiducia in se stessi e la volontà di riprendere subito. Purtroppo c’erano e ci sono i morti, i 7 morti, ad accentuare la particolare tristezza di queste ore, ma c’erano e ci sono anche le squadre di volontari, quelle della Protezione civile e delle associazioni assistenziali, c’erano e ci sono i professionisti volontari convogliati dagli ordini degli ingegneri, degli architetti e dei geometri per le verifiche di stabilità degli edifici, c’erano e ci sono i preti e i monaci rimasti senza chiese a celebrare la liturgia della solidarietà spirituale e materiale con tutti gli altri abitanti.
Tutti costoro c’erano e continuano ad esserci e tutti insieme danno il senso di una comunità veramente stretta. Nondimeno la reazione delle istituzioni, guidate dal presidente della regione Vasco Errani, dai presidenti delle due province e dai sindaci, come detto prima, trasmette l’immagine di uno stato che c’è e che non vuole disertare. Le riunioni tenute ieri alla presenza del sottosegretario Catricalà e del responsabile della Protezione civile nazionale Gabrielli, hanno confermato la volontà di fare ognuno la propria parte. Questa materia, è noto, ormai è affidata alla possibilità di intervento delle regioni oltreché a un sistema di assicurazioni private contro i rischi delle catastrofi naturali. Ma è del tutto evidente che la dimensione della catastrofe non permette allo stato centrale di estraniarsi e ci si attende che il decreto di riconoscimento dello stato di calamità che verrà emanato dal consiglio dei ministri questa mattina, non contenga solo modalità di rateizzazione o dilazione nel pagamento della tasse per le popolazioni colpite; ci sono interi comuni in cui sono crollate tutte, ripeto tutte, le chiese e non si tratta ora della necessità di trovare il modo di garantire il diritto al culto religioso per quelle popolazioni, posto che tale diritto può essere esercitato anche in luoghi non canonici, ma si tratta di non privare quelle comunità locali del patrimonio storico e artistico che le ha identificate lungo i secoli della loro biografia. E la comunità nazionale deve farsene carico.
Vi sono poi alcuni fabbricati industriali che sono crollati, sotto le cui macerie tra l’altro sono state spezzate le vite di quattro lavoratori, e molti altri sono gravemente lesionati, per la ricostruzione o la messa in sicurezza dei quali lo stato dovrà assumere tempestivamente provvedimenti adeguati. Si è verificata infine una apprezzabile tenuta del patrimonio residenziale pubblico e privato a conferma di una politica urbanistica sviluppata nei decenni con serietà e rigore. Ma, su ogni altra cosa, resta la lezione drammatica e prettamente politica che anche da questa vicenda si deve trarre, fermo restando che eventi come quelli di un terremoto di grande potenza non sono prevedibili e prevenibili: il territorio di questo paese, dal nord al sud, da troppi anni non è più destinatario di strategie di manutenzione e oggi vengono al pettine nodi di difficilissima soluzione. È vero che lo stato è oggi senza risorse, è vero anche che le priorità sono tante, a partire da quella dell’occupazione, ma non è men vero che forse tutte queste priorità non sono così diverse e così inconciliabili tra di loro.
Un programma di assetto idrogeologico del territorio nazionale, seppur pianificato nel tempo, è ormai ineludibile e, peraltro, può essere più di ogni altro progetto un’occasione di crescita e di creazione di nuova occupazione. Ma la questione che si pone è tutta politica: è possibile che un’impresa di questo genere possa essere affidata solo alla logica del mercato? Perché mai il mercato dovrebbe farsene carico? È possibile allora rinunciare all’idea di uno stato attore – non necessariamente imprenditore – di una politica economica costruita attorno a beni pubblici fondamentali, come è appunto il territorio. E alle forze politiche – per tornare a ciò cui ho accennato all’inizio dell’articolo – si impone la questione: è possibile lasciare sfide così impegnative, così seriamente politiche, alle stravaganze e alla demagogia della cosiddetta non-politica o antipolitica?
da Europa Quotidiano 22.05.12