Il dato “grosso” è che almeno 300 mila forme di Parmigiano Reggiano sono “a terra”: circa il 10% del totale. Anche il Grana Padano è stato colpito duramente, ma non si sa ancora dire con precisione quanto. Immaginate cosa vuol dire per i produttori vedere il frutto di alcuni anni di lavoro crollare giù da quei grandi ripiani, ammassarsi sul pavimento, e dover benedire almeno il fatto che la terra abbia tremato di notte, che quindi non c´era nessuno al lavoro. Ora non si sa ancora quante di quelle forme dovranno essere buttate, se potranno essere grattugiate per salvare il salvabile o, si spera, messe ugualmente in commercio senza rimetterci troppo: è comunque presto per fare un bilancio di quanto il terremoto abbia distrutto del sistema agricolo emiliano. Bisogna ancora andare nelle campagne, soprattutto nelle fattorie più isolate, e far la triste conta. Ci vorrà del tempo. Quel che è certo è che la ferita c´è e fa male, e di tempo ce n´è poco. La produzione infatti deve andare avanti, perché non si possono fermare gli animali, non si possono non raccogliere i frutti già maturi.
Il Parmigiano Reggiano e il Grano Padano purtroppo non navigavano in buone acque: la crisi del settore è da un po´ di tempo che si faceva sentire in maniera importante e non si riusciva a trovare una risposta adeguata. Questo sisma non fa che infierire su un comparto che però ha sempre dato il suo contributo nel tenere in piedi il ricco e variegato sistema produttivo delle aree colpite: un´agricoltura antica, generosa, indissolubilmente legata all´umanità che popola i territori e alla sua cultura. Un´agricoltura che si rispecchia nei prodotti caseari ma anche nei famosi insaccati e prosciutti, il tutto alimentato da un allevamento che di molto aveva bisogno tranne che crollassero delle stalle, morissero degli animali o si spaventassero talmente da non riuscir più a far latte. Purtroppo è ciò che è avvenuto, in maniera sparsa, perché cominciano ad arrivare le segnalazioni di stalle messe in ginocchio.
Al momento ciò che ci manca sono proprio i dati “piccoli”: le comunicazioni in queste ore parlano ad esempio di aziende agricole che fanno prodotti freschi (come uova, latte, ma anche ortaggi e frutta) che non sanno più dove vendere i prodotti perché alcune filiere locali sono ovviamente paralizzate. I gruppi di acquisto e le reti dei mercati contadini, come quella dei mercati della Terra di Slow Food, sono molto presenti in Emilia e si stanno mobilitando per dare una mano agli agricoltori, i quali peraltro si sono già rivolti alla Protezione Civile per donare quello che hanno in casa, dimostrando lodevole generosità. Anche queste sono tante piccole perdite e rendono più difficile risalire, curare quella ferita che non riguarda soltanto la produzione ma anche l´idea stessa di ruralità, di società rurale, che da quelle parti si è sempre nutrita di condivisione e di bellezza. Non è un problema secondario ed è ancor più difficile da quantificare.
Un oste che ha perso tutta la cantina, frutto di anni di appassionata ricerca e selezione andati in frantumi insieme alle bottiglie, guarda al suo paese e si danna perché hanno «perso tutto ciò che era bello: i castelli, le chiese, i vecchi casali agricoli». Come nel centese, dove mi dicono che le secolari case della partecipanza, un´antica forma di gestione collettiva della proprietà che ha plasmato l´agricoltura di questi territori usando la terra come un bene comune, sono tutte crollate. Lì la partecipanza si mantiene ancora viva in forme più moderne, quelle erano case disabitate ormai, ma erano belle, simboliche, rappresentavano la memoria dell´agricoltura locale espressa forse nella sua forma più nobile. Dei piccoli monumenti. Ecco, ci sono i gravi danni alla produzione, che andranno risarciti per aiutare un polmone agricolo importantissimo, ma ci sono anche i danni alla memoria. La speranza è non soltanto che vengano in qualche modo riparati, ma che diventino un monito per dirci che l´agricoltura di queste zone non va dimenticata, per l´immediato e le urgenze di chi ha visto da un giorno all´altro crollare il suo mondo fatto di lavoro e fatica, ma anche per il futuro, che senza agricoltura sarà sicuramente meno bello e meno umano.
La Repubblica 22.05.12