Domani alla Camera si comincia a votare il testo sul finanziamento pubblico ai partiti
Riprende l’esame delle norme anti-corruzione: ma pesano i veti e l’ostruzionismo del Pdl. Subito dopo i ballottaggi, dovrebbe chiudersi la partita della legge elettorale. Il Pdl favorevole al sistema francese ma solo col presidenzialismo. Andiamo avanti sul doppio turno, acceleriamo il dimezzamento dei rimborsi elettorali e teniamo duro sul provvedimento anti corruzione». Ecco le indicazioni che Pier Luigi Bersani dà ai suoi in vista delle ripresa a pieno ritmo dei lavori parlamentari. Il leader del Pd, consapevole del fatto che in queste ultime due settimane caratterizzate dalle presidenziali francesi e dal voto amministrativo i rapporti di forza all’interno della maggioranza hanno subito notevoli cambiamenti, nelle prossime 48 ore vedrà Mario Monti e volerà a Bruxelles per incontrare i leader dei partiti progressisti europei. Argomento, in entrambe le occasioni, come far fronte alla crisi economica e quali misure adottare per favorire la crescita. Ma Bersani sa che c’è anche un altro fronte sul quale bisogna intervenire e dare risposte in tempi rapidi, e che riguarda direttamente i partiti. Con i ballottaggi viene archiviata una tornata elettorale segnata da un forte tasso di astensionismo e dalla quale esce rivoluzionario il sistema politico italiano. Per rispondere alla montante marea di antipolitica, è il ragionamento che si fa al quartier generale del Pd, bisogna approvare quelle riforme di cui da troppo tempo si discute.
CORSA AD OSTACOLI
Il primo nodo da affrontare sarà la riduzione dei rimborsi elettorali ai partiti e il controllo dei loro bilanci. L’obiettivo del Pd è dimezzare già la tranche prevista per luglio. L’aula di Montecitorio inizia a discutere il provvedimento domani e nonostante l’azione di freno di Idv e Lega, per i quali i rimborsi vanno del tutto abrogati, la proposta di legge dovrebbe essere approvata giovedì. Ma il via libera della Camera sarà solo un primo passo, perché poi il testo dovrà passare al Senato, dove c’è un calendario fitto di discussioni delicate, a cominciare dalla riforma del lavoro (l’esame in aula comincia dopodomani) e dalle riforme istituzionali: il testo, secondo il presidente della Affari costituzionali Carlo Vizzini dovrebbe essere licenziato dalla commissione per venerdì, ma un’intesa tra le forze di maggioranza ancora non c’è.
A complicare ulteriormente le cose c’è il muro alzato dal Pdl nei confronti del provvedimento anti corruzione. Il rischio di una serie di veti incrociati è dato anche dalla contemporaneità delle discussioni. Domani infatti, mentre nell’aula di Montecitorio si comincia a votare il testo sul finanziamento pubblico ai partiti, nella Sala del Mappamondo si riuniranno le commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera per riprendere l’esame del testo. A meno che oggi il Guardasigilli Paola Severino non presenterà a Pd e Pdl un testo che metta tutti d’accordo, la discussione riprenderà da dove si era interrotta giovedì, cioè dall’aumento delle pene minime e massime per il reato di «corruzione per atti contrari a dovere d’ufficio» (4 e 8 anni) grazie all’approvazione di un emendamento targato Pd e duramente contestato dal Pdl.
DOPPIO TURNO E PRESIDENZIALISMO
La speranza di Monti, che cioè le tensioni tra i partiti che gli garantiscono una maggioranza in Parlamento si allentino una volta archiviato il voto amministrativo, rischia di infrangersi contro un Pdl che sulla giustizia è pronto a giocarsi il tutto per tutto. Ma anche sulla legge elettorale, ammesso che questa discussione possa entrare nel vivo (il che presuppone un accordo sulle riforme istituzionali), non si registra una riduzione delle distanze tra le forze che sostengono l’esecutivo.
Bersani, già dopo aver incassato un buon risultato al primo turno amministrativo e dopo aver assistito agli avvenimenti di Francia e Grecia, ha rimesso in campo con maggior forza il doppio turno di collegio: «Non deve essere letta come la proposta del Pd ma come proposta utile per il Paese», è la formula utilizzata per convincere Alfano e Casini. Aperture dal Pdl sono arrivate nei giorni scorsi. Agli esponenti del Pd che stanno portando avanti le trattative è stato poi però spiegato che non se ne sarebbe fatto più nulla.
Il motivo, secondo quanto raccontato, è riconducibile a uno studio commissionato dal coordinatore nazionale Denis Verdini, dal quale è emerso che un simile sistema elettorale sarebbe in questa fase decisamente sfavorevole al Pdl. A meno che non si introduca una variabile tutt’altro che di poco conto. Quella rilanciata ieri pubblicamente da Osvaldo Napoli, per il quale il doppio turno è accettabile come «base di un edificio istituzionale sul cui tetto siede, come corollario istituzionale, un monarca costituzionale, vale a dire il capo dell’esecutivo eletto direttamente dal popolo: che sia al Quirinale o a Palazzo Chigi fa poca differenza».
Il Pd, che esce rafforzato dal voto e che ha incassato un’apertura da parte di Casini («sono disponibile a ragionare su tutto, anche sul doppio turno che non è certo il mio modello elettorale preferito») ora dovrà andare al confronto cercando di capire se il rilancio sul presidenzialismo sia il via ad una nuova fase del confronto o se sia soltanto un modo per far saltare il tavolo e tenere in piedi il Porcellum.
l’Unità 21.5.12
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“Meglio due turni, ma senza adottare il modello francese”, di Cristoforo Boni
L’APERTURA FATTA DA PIER FERDINANDO CASINI HA RIAPERTO IL CONFRONTO SUL DOPPIO TURNO. Non è detto che il Pdl offra analoga disponibilità: anzi, fin qui i segnali sono sempre stati negativi. Silvio Berlusconi oppone da anni uno sbarramento di principio al doppio turno. E il suo partito procede con inerzia, benché lo scenario si sia modificato e probabilmente anche a destra il doppio turno potrebbe offrire oggi uno strumento di ricomposizione politica. In realtà la Seconda Repubblica, dietro lo
schermo delle coalizione coatte, ha sempre alimentato la frammentazione, tuttavia le immagini che le amministrative proiettano sul futuro potrebbero diventare ancora più coatiche, avvicinando lo spettro della Grecia.
Il doppio turno è oggi un’opportunità. Anche perché sul tavolo non c’è la proposta di importare il modello delle legislative francesi, che in tutta evidenza si regge perché ha alle spalle un presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo. Sul tavolo c’è una proposta che rispetta l’autonomia delle forze intermedie (purché superino la soglia di sbarramento) e che recepisce alcuni elementi virtuosi del modello tedesco, riducendo i rischi di ingovernabilità o di Grande coalizione.
In sostanza, la competizione elettorale in Italia potrebbe svolgersi al primo turno come in Germania: candidati di partito nei collegi uninominali e nelle liste (corte) circoscrizionali; sbarramento al 5%, quota proporzionale vicina al 50%. Meglio che in Germania si potrebbe prevedere un solo voto anziché due: il voto disgiunto rischierebbe infatti di diventare un fattore di corruzione.
La novità decisiva rispetto al sistema tedesco starebbe però nello sviluppo su due turni della competizione uninominale. Se nessuno raggiunge al primo turno il 50% si procede a un secondo scrutinio, al quale vengono ammessi i candidati che hanno superato uno sbarramento non inferiore al 10-12% dei voti. Ed è fra il primo e secondo turno che potrebbero formarsi le coalizioni davanti agli elettori: con desistenze tra candidati nei collegi contesi. Dunque, non più coalizioni coatte, strumentali al mito dell’unto del Signore e incapaci di governare, ma alleanze funzionali a formare una maggioranza parlamentare. I partiti intermedi perderebbero, è vero, un po’ di rappresentanza a favore dei partiti maggiori. Ma non sarebbero minacciati nella loro autonomia, potendosi presentare al primo turno con il proprio candidato premier e il proprio programma. Il governo, in tutta evidenza, dovrebbe essere poi affidato al premier designato dal partito che ottiene la rappresentanza parlamentare più consistente e che risulta capace di formare una maggioranza coerente.
Senza doppio turno la frammentazione rischia di corrodere ciò che resta della credibilità delle istituzioni. E non si può pensare di risolvere il problema ancora con un premio di coalizione: il fallimento della Seconda Repubblica è sotto gli occhi di tutti. La vera soluzione alternativa sarebbe una riforma della Costituzione in senso presidenzialista: al di là di robuste obiezioni di merito, vorrebbe dire che non si cambierà il Porcellum prima delle prossime elezioni.
l’Unità 21.05.12