Una donna in piena e costante attività: eletta nel 2006 per la prima volta alla Camera dei deputati nella VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione), ha ricoperto l’incarico di capogruppo del PD. Il suo impegno predominante è rivolto alla necessità di attribuire una maggiore centralità al sapere ed alla conoscenza, quindi con uno sguardo accurato al complesso mondo dell’istruzione: scuola, università e ricerca, editoria, sport, informazione e beni culturali. La sua attenzione si riversa principalmente sul ramo universitario perché si è occupata del reclutamento docenti e ricercatori, dell’accesso programmato ai corsi di laurea, della scuola relativamente ai finanziamenti alle istituzioni scolastiche, del precariato dei docenti, nonché delle professioni relative alle attività motorie e sportive e di disturbi specifici dell’apprendimento. Fermamente convinta che il sapere, l’istruzione e la formazione, sono le risorse strategiche decisive per lo sviluppo sociale, civile ed economico del nostro Paese.
Ho rivolto all’Onorevole Manuela Ghizzoni alcune domande sui problemi che il mondo dell’istruzione sta attraversando in questo periodo di crisi, ma anche su alcuni aspetti di carattere politico
• On. Ghizzoni, lei è una delle voci più autorevoli,a livello nazionale,del Partito Democratico in materia di istruzione ed università: come giudica i tagli alla Scuola pubblica che sono stati annunciati dal Governo? Monti continua, forse, sulla strada, già percorsa dai governi Berlusconi nel corso dell’ultimo decennio, di riduzione del budget per un servizio così essenziale?
Qualsiasi taglio agli investimenti per il sistema della conoscenza deve essere scongiurato. Per volontà del Governo precedente, scuola e università hanno già pagato un tributo altissimo: oltre 9 miliardi di minore spesa tra il 2009 e il 2011, tradottisi in 132.000 posti di organico cancellati nella scuola e nel sostanziale blocco del turn over per l’università. Questi tagli “lineari”– e fummo facili cassandre nel prevederlo – si sono rivelati inutili sacrifici al risanamento dei conti pubblici e colpi durissimi per la tenuta del sistema, senza peraltro avere il pregio di cancellare completamente inefficienze nella spesa. Ecco perché l’annunciato intervento di spendig review anche per il Miur non va condannato a priori: l’etica pubblica ci impone che nella gestione delle risorse finalizzate a rendere esigibili i diritti di cittadinanza – come accade nel fornire istruzione e conoscenza – occorre cancellare qualsiasi spreco e operare per incrementare l’efficacia dei risultati. Le dichiarazione del Sottosegretario Rossi Doria – “ore e professori non diminuiranno. Razionalizzazioni su immobili ad uso amministrativo, sugli affitti di sedi periferiche e sconto nella spesa con acquisti attraverso il sistema Consip” – sono condivisibili. Ma per marcare una netta differenza con il recente passato occorrerebbe aggiungere che le risorse risparmiate grazie a maggiore oculatezza nella spesa dovrebbero rimanere in capo al Miur, per essere reinvestite nella scuola e nell’università. Su questo punto si impegnerà il Partito Democratico.
• La scuola è stata attraversata, negli ultimi dieci anni, dalle riforme che portano i nomi dei ministri Moratti e Gelmini: Lei considera che lo Stato, oggi, sia in grado di offrire un servizio di istruzione pubblica di qualità? O reputa necessario intervenire con provvedimenti legislativi per correggere le criticità indotte dalle leggi succitate?
Gli interventi “epocali” del ministro Gelmini, già in questi primi anni di applicazione, restituiscono i frutti amari di una matrice culturale ispirata ad una scuola fortemente classista, disinteressata all’inclusione e alla promozione delle pari opportunità. Abbiamo assistito pertanto al sovraffollamento delle classi, alla riduzione dell’offerta formativa e alla contrazione del tempo scuola, mentre l’abbandono scolastico si attesta su percentuali drammatiche, l’apprendimento permanente è una chimera e l’aggiornamento didattico è affidato alle lavagne LIM. Il sistema non collassa solo grazie al senso di responsabilità di docenti, dirigenti e personale ATA, che continuano ad assolvere alla loro missione educativa con passione, nonostante il discredito perpetrato dal precedente ministro anche attraverso il blocco degli scatti stipendiali e del contratto. Ma è del tutto evidente che la scuola non può affidarsi alla sola buona volontà di chi vi opera: la politica deve farsene carico modificando la normativa vigente e approvando leggi che attuino con pienezza il dettato dell’articolo 3 della Costituzione. Dimenticare la scuola significa rinunciare al futuro del Paese.
• L’università italiana è in fermento a causa della riforma del sistema di governance degli atenei: l’ingresso dei privati nella gestione e nella direzione della politica universitaria rappresenta un’opportunità o una minaccia per la democratizzazione di un ambito così importante della vita sociale, scientifica ed accademica?
Uno dei maggiori difetti della Legge 240 consiste nell’eccessivo dirigismo: per la palese prevenzione nutrita dal ministro Gelmini – e dai suoi consiglieri – nei confronti del sistema universitario pubblico, la governance degli atenei è costretta a rispettare un modello unico, predefinito dalla pletora di norme disposte dalla nuova legge, in evidente contrasto con il principio di autonomia statutaria e che declassa il Senato Accademico, organo rappresentativo della comunità accademica, ad una mera funzione consultiva mentre le decisioni sulle politiche culturali, economiche e scientifiche dell’ateneo spettano al solo Consiglio di Amministrazione. La “minaccia”, a mio avviso, non deriva tanto dalla presenza di esponenti del mondo non accademico (i “privati”, già presenti in molti CdA già prima della L. 240), quanto piuttosto da una errata e aziendalistica definizione delle funzioni per Senato Accademico e CdA. Aggiungo che oggi gli Atenei sono in fermento anche perché stanno facendo i conti con la paralisi determinata dal combinato disposto dai tagli al Fondo di Finanziamento ordinario e della legge 240 che, richiedendo una miriade di decreti attuattivi, è ad oggi inapplicabile in molte sue parti (per esempio, per quanto attiene al reclutamento).
• Veniamo al suo partito: mentre una parte consistente del PD lavora alla leadership di Bersani in vista delle prossime elezioni politiche, sembra che una componente minoritaria non irrilevante stia prendendo in considerazione l’opzione di una candidatura a Palazzo Chigi diversa da quella del segretario nazionale. Qual è la sua posizione?
In Italia stiamo assistendo ad una situazione senza precedenti: non mi riferisco solo alla congiuntura economica, ma allo sfaldamento della coesione sociale e alla crisi della rappresentanza politica, così come alla tenue tensione etica che pervade l’ambito pubblico. Quindi, prima di discutere della leadership del partito – che Bersani interpreta con autorevolezza – è bene mettere in campo idee per il Paese, le sole che fanno davvero la differenza. E gli esiti delle recenti elezioni amministrative lo hanno dimostrato.
• L’ultima domanda non può che riguardare il suo futuro personale: in caso di vittoria del PD alle elezioni politiche della primavera del 2013, la vedremo con un incarico prestigioso al Ministero della Pubblica Istruzione e dell’Università?
La cosa importante è vincere le elezioni contro la destra populista e antieuropeista. Il resto non conta.
http://www.scuole24ore.it/
2 Commenti