Attenuatasi (per ora) la tempesta sui mercati, può essere utile cominciare di nuovo a discutere di problemi rilevanti per il nostro Paese. Nei giorni passati il sito di Repubblica ha reso pubblici i risultati di un sondaggio tra i lettori, al quale sembrano aver partecipato oltre 600.000 persone, che dovevano indicare le priorità politico programmatiche del Pd. Come era facile attendersi al primo posto si è collocato il tema “lavoro”, ma un numero di voti quasi eguale è andato alla “lotta all’evasione fiscale”, tema notoriamente ostico e fonte di dubbi, contraddizioni, polemiche, incertezze e imbarazzo in sede politica. La constatazione che la questione stia particolarmente a cuore agli elettori del centrosinistra, per quanto ovvia per molti, è comunque utile ai fini di una riflessione sia politica che strategica. Non è infatti casuale che negli stessi giorni il tema della legalità fiscale fosse all’ordine del giorno anche nel dibattito internazionale a proposito della crisi greca, Paese in cui il fenomeno è particolarmente diffuso, come confermano numerosi studi fra cui uno recente del Professor Shineider, uno dei massimi esperti del settore che, tra i Paesi Ocse, pone la Grecia al primo posto come entità dell’economia sommersa con oltre il 28% del Pil, seguita dall’Italia con il 26% (!). L’Italia non è la Grecia, si dirà, ed è vero: a differenza della Grecia, il nostro è un grande Paese industriale. Tuttavia i livelli di illegalità e corruzione nei due Paesi risultano molto simili (in verità la Grecia ha il vantaggio di non avere la malavita organizzata). In ogni caso nella crisi greca si è visto come sul piano sociale la sensazione di ingiustizia provocata dal comportamento egoistico e asociale di settori rilevanti (e privilegiati) della popolazione e delle classi dirigenti, possa provocare ribellione e rivolta, se si tratta di fare sacrifici che vengono considerati (e sono) a senso unico. Auguriamoci che l’Italia non debba mai
affrontare una crisi come quella greca; ma in caso di difficoltà sarebbe bene non avere un Paese socialmente diviso, e disporre di una strategia che possa unificare l’opinione pubblica. Anche in Italia il tema dell’evasione fiscale sta riemergendo carsicamente nel dibattito e nell’attività politica. Pochi hanno notato che il governo, dopo aver abolito e demonizzato tutte le misure antievasione introdotte dal governo Prodi, ne sta gradualmente e surrettiziamente recuperando alcune, come i limiti alle compensazioni automatiche debiti/crediti di imposta, che, secondo la Banca d’Italia, hanno contribuito a migliorare il fabbisogno nei primi mesi dell’anno o – udite, udite – l’elenco clienti-fornitori, previsto, sia pure per singoli settori discrezionalmente decisi dall’amministrazione (con seri rischi di scelte arbitrarie), nell’articolo 1 del DL 40, 2010. Del resto dopo la vicenda delle frodi carosello che hanno visto coinvolte Fastweb e Telecom, era difficile rinunciare al più semplice ed efficace strumento di controllo e continuare a far finta di niente. L’evasione fiscale in Italia è enorme: per i redditi non da lavoro dipendente e pensione essa può superare il 40-50%. Si tratta di almeno 100 miliardi di gettito evaso. Se si vedono i risultati (in verità notevoli) realizzati dai governi di centrosinistra nei periodi 1996-2000 e 2006-2007, si può ritenere che recuperare (almeno) una metà di quella cifra sia un obiettivo realistico, che ci porterebbe più vicini ai livelli prevalenti negli altri Paesi, a condizione che quanto fatto da un governo non venga disfatto subito dopo. La necessità di agire rapidamente e con determinazione è evidente soprattutto perché il nostro Paese dovrà affrontare prove difficili per risanare la finanza pubblica, rientrare dal debito e rilanciare l’economia. È inutile nascondere la testa sotto la sabbia. Ed è inutile illudersi di ottenere consenso facendo finta di non vedere, salvo indignarsi ritualmente una volta l’anno in occasione delle pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi! È necessario quindi affrontare questo problema in maniera esplicita e radicale. In estrema sintesi, si tratta di cercare di creare per tutti i redditi una situazione di tracciabilità e di trasparenza analoga a quella che esiste oggi per i soli redditi di lavoro dipendente ed alcuni redditi di lavoro autonomo; il sistema dei
sostituti di imposta che si applica solo per questi redditi non è altro che un elenco fornitori che viene trasmesso dai datori di lavoro al fisco. L’uso diffuso di sistemi informatici rende l’operazione non solo possibile, ma anche poco costosa. E in verità non si capisce perché ciò che appare normale per alcuni contribuenti non debba esserlo per altri. Questa era la linea seguita da governo Prodi della passata legislatura; essa va ripresa. Del resto un recupero di gettito evaso rappresenta l’unica possibilità non solo per aiutare gli equilibri di bilancio, ma anche per riuscire ad attenuare gli elementi di eccessiva pressione e anche vessazione presenti oggi nel sistema fiscale italiano e nelle modalità di intervento della Agenzia delle entrate. Si è sostenuto che questi interventi sarebbero intrusivi e vessatori. Niente di più infondato. A meno che non ci si illuda di poter combattere e ridurre l’evasione col consenso degli evasori. In materia fiscale l’opinione pubblica, la gente, la nostra gente, sente il bisogno, e richiede, equità, giustizia e soprattutto onestà. E si aspetta dai suoi rappresentanti comportamenti conseguenti e coerenti
l’Unità 12.05.12