Il sì ai matrimoni omosessuali è il primo atto storico di Barack Obama. In piena campagna elettorale per la Casa Bianca 2012, schiera il Partito democratico in quello che è oggi, con l’aborto, il più urticante scisma culturale tra progressisti e conservatori, 50% a favore, 48% contro. Il Presidente ha detto: «È per me importante affermare che le coppie omosessuali debbano potersi anche sposare», subito schermando la sua decisione dietro Marines gay al fronte; funzionari del suo staff «monogami e fedeli, con bambini» clandestini perché non eterosessuali; le figlie Malia e Sasha con compagne di scuola figlie di gay.
Obama ha cambiato parere da quando, in campagna per il Senato 2004, disse: «Per la mia fede religiosa credo che il matrimonio sia sacramento che lega un uomo a una donna». Nel saggio «L’audacia della speranza», 2006, farà un passo in avanti, nel suo stile cerebrale: «Non è impossibile che la mia scelta di non voler sostenere i matrimoni gay sia fuori rotta». Infine il sì netto.
Ci sono nella svolta di Obama una dose di idealismo e una di calcolo politico, come sempre per ogni presidente in carica. Nella corsa che lo opporrà al repubblicano Mitt Romney a novembre, Obama ha un deficit grave, aver fatto poco per il sogno di un’America più saggia e giusta. L’economia, con la peggiore crisi dal 1929, gli ha impedito le riforme, perfino la sanitaria è a rischio davanti alla Corte Suprema. Il mondo arabo ha gestito da sé le sue rivoluzioni, la pace in Medio Oriente non è più vicina che sotto G.W. Bush, in Iraq e Afghanistan si gestiscono ritirate strategiche e, come diceva Churchill, le ritirate non vincono la guerra.
Il sofferto consenso ai matrimoni gay sventola per la base liberal, i giovani che l’hanno sostenuto con passione, la bandiera dei diritti. Al tempo stesso però Obama delega ai singoli Stati di votare, o no, una legge sui matrimoni non etero. Nella storia americana il dilemma se un diritto debba essere affermato da Washington, a livello federale, o dagli Stati, è drammatico. La guerra civile 1861-1865, che ha fatto più morti di tutti gli altri conflitti Usa, s’è accesa proprio per lo scontro fra Stati sulla schiavitù: Lincoln era disposto a lasciarla in vigore nei vecchi Stati del Sud, ma la polemica sulla sorte degli schiavi fuggiti al Nord, e l’introduzione dell’odioso sistema nei nuovi Stati dell’Unione, risultarono impossibili da mediare. Solo a metà guerra, con il Proclama di Emancipazione, Lincoln fa del tema diritto civile universale.
Il calcolo politico di Obama è dunque sottile e non privo di rischi. Sa che i militanti democratici si galvanizzeranno, la comunità gay è ricca dei suoi più generosi finanziatori. Radicalizzando il voto, caricatura i repubblicani da parrucconi estremisti, capaci nelle primarie dell’Indiana di bocciare l’esperto senatore Lugar per eleggere il conservatore Mourdock, legato ai populisti Tea Party. Obama sa però anche che gli elettori afro e latinoamericani, suoi sostenitori di prima linea, sono spesso ostili alle nozze gay, anatema per cattolici ed evangelici nelle comunità rurali. Gli esperti di «metadata», che analizzano le conversazioni sui social network, Facebook, Google, twitter, siti e microblog, confermano al Presidente che il voto 2012 si decide sull’economia (ieri dati così così su import/export e occupazione). Quindi meglio «parlare alla Storia» su un tema non cruciale per la Casa Bianca. Il vicepresidente Biden, cattolico, s’è detto favorevole alle nozze gay pochi giorni fa, gli analisti di «metadata» hanno setacciato le reazioni Web e, forte del loro scudo digitale, Obama è sceso in campo.
Se ora Romney, pressato dai conservatori, lancerà un emendamento costituzionale contro le coppie gay, la campagna devierà dai temi della crisi e del lavoro: sollievo per Obama. Un referendum in tal senso è passato martedì in North Carolina ed altri simili sono in vigore in 30 Stati. Una mezza dozzina di Stati, fra cui New York, permettono nozze gay, altri voteranno il referendum a novembre.
Ad Obama la critica ultras del New York Times , che ogni domenica pubblica la popolare rubrica di cronaca mondana dei matrimoni gay bene di Manhattan: il foglio progressista lo pungola per non avere proclamato come «diritto universale» il matrimonio tra coniugi dello stesso sesso, sotto l’egida del 14˚ emendamento alla Costituzione «uguale protezione dei cittadini». A suo tempo l’emendamento fu impugnato quando nel Sud bianchi e afroamericani non potevano sposarsi. Obama, politico fine, non lo usa per non esacerbare il clima.
Questo è il quadro politico e a novembre vedremo se Obama ha ben interpretato l’umore americano dai «metadata» Web. Resta però nei libri di storia che, nel maggio 2012, un Presidente degli Stati Uniti d’America ha proclamato il diritto alle nozze tra cittadini omosessuali. Per molti americani è vittoria politica, per tantissimi altri fine di un personale tormento, una privata ingiustizia. Cultura, fedi religiose, politica, economia, scuola, famiglia, Welfare, le forze armate, l’intera società americana muoverà adesso sulla strada aperta da Obama. Comunque la si pensi in Europa, com’è affascinante il carisma di una Repubblica che, da due secoli e mezzo, insegue, tra cadute e conquiste, l’uguaglianza e la felicità dei diritti universali, davanti a Dio e alla legge.
La Stampa 11.05.12
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“La bandiera dei diritti civili che sventola sulla Casa Bianca”, VITTORIO ZUCCONI
Nel buio di tempeste economiche, finanziarie, sociali che sembrano travolgere e nascondere tutto, il Presidente Obama riprende coraggiosamente la rotta di quei valori civili che le ansie materiali sembravano aver fatto dimenticare.
Il suo riconoscimento del diritto di tutti i cittadini in quanto tali, non perché omosessuali o eterosessuali, ma perché cittadini a unirsi di fronte alla legge senza sottoporsi a esami dei cromosomi come gli atleti olimpici, fa rivedere il meglio di un leader che la navigazione a vista di questi anni aveva ridimensionato a uomo politico. Il figliol prodigo del liberalismo americano è tornato.
Poiché, come è vero dalle rivolte delle suffragette tra l´800 e il 900, passando per quel ´68 che in America ebbe inizio, per l´eguaglianza razziale, per il femminismo, per il diritto della donne a scegliersi e non a subire la maternità, tutte le rivoluzioni di costume e di valori sono cominciate negli Stati Uniti, il segnale che arriva dalla Casa Bianca è qualcosa che parla oltre i confini di questa nazione o i calcoli dell´opportunità elettorale, che pure esistono e sono ben visibili. Nel meglio e nel peggio, il mondo che noi chiamiamo Occidente e ormai si estende anche oltre, tende sempre a seguire l´esempio dell´America, la nazione che ancora oggi conserva l´egemonia culturale su un mondo che ha prodotto molte potenze militari ed economiche, ma non ancora modelli civili alternativi.
Il gesto di Barack Obama è stato voluto, cercato esplicitamente, non sfuggito di passaggio. La Casa Bianca aveva convocato con urgenza una giornalista del network Abc, amica personale di Michelle Obama, per fare questo annuncio e per calare questa carta che ha immediatamente sparigliato la partita elettorale con il suo futuro e ormai certo avversario, il repubblicano Mitt Romney.
Alcuni commentatori hanno rimproverato una certa timidezza, a Obama, il suo essersi rifugiato in una formula classica, quella del deferire agli stati dell´Unione la scelta definitiva, dimenticando che questa era la prima volta nella storia degli Usa che un capo dello stato, la persona che incarna costituzionalmente il pontificato laico americano, osava dire quello che lui ha detto. «Sono scoppiato a piangere – ha scritto Andrew Sullivan, gay, nel suo seguitissimo blog – come se fossi uscito da un ghetto».
Ma come tutte le sortite coraggiose in materia di valori e di diritti, anche questa ha un profitto e un prezzo. Il profitto è la speranza di riconquistare quel voto della importante, ricca e militante comunità di gay e lesbiche che tanto avevano contribuito, in propaganda, voto e dollari, al successo di Obama nel 2008. Un grande donatore su sei che aiutano e finanziano il partito Democratico è gay. Nei primi 90 minuti dopo la diffusione dell´intervista, un milione di dollari in piccole donazioni individuali è affluito nella casse della campagna elettorale del presidente. Mentre Romney, il suo avversario, era costretto a ripetere solennemente che per lui «il matrimonio può essere soltanto fra un uomo e una donna», anche se sarebbe pronto a «estendere benefici e privilegi riservati alle persone sposate anche alle coppie gay».
Quando è stato chiesto quali fossero questi benefici e diritti, non ha risposto.
Il rischio è quello di alienarsi, nello scambio, una parte fondamentale del suo elettorato, gli afro americani. È infatti nell´America di colore insieme con quella più fondamentalista, che si arrocca la resistenza più tenace alle nozze fra cittadini dello stesso genere, come dimostrò il referendum abrogativo in California, passato proprio grazie al contributo elettorale degli afroamericani. Ma ormai la «linea nella sabbia», la discriminante su questo che viene considerato come l´ultimo dei diritti civili ancora non estesi a tutti, è stata tracciata e sarà impossibile per Obama ritirarsi o cancellarla. Il livello di polarizzazione fra le parti opposte è talmente alto che nulla può peggiorarlo, dunque tanto vale sfidarlo dicendo le cose giuste.
La speranza del Presidente, nel compiere questo passo che è inevitabile definire storico, è che la lenta, ma sicura evoluzione del pubblico verso il riconoscimento di questi diritti civili sia ormai andata oltre le barriere e i tabù religiosi o culturali. E che la Corte Suprema, davanti alla quale sta proprio il ricorso dello stato contro il referendum della California anti nozze gay, stabilisca che la negazione del matrimonio a due cittadini nella pienezza dei loro diritti sia una violazione dello spirito e della lettera della Costituzione. Lo stesso Obama, nello spiegare come sia arrivato ad attraversare questo Rubicone, ha usato la parola «evoluzione». La mia, ha detto, è stata «un´evoluzione»
Il rischio, tuttavia, rimane ed è alto. L´odio che ribolle nel ventre profondo dell´America, soprattutto nel Sud, e che vede in lui l´anticristo da esorcizzare a ogni costo, troverà nuovo carburante in questo annuncio, leggendovi l´ennesima riprova della sua empietà e della sua estraneità al «mainstream», al corso principale della storia e dell´anima nazionali. Basterà per controbilanciare l´eruzione di odio il ritorno a casa di quell´elettorato progressista, liberal, che minacciava di disertare le urne a novembre?
Forse, ma questi sono calcoli elettorali e da sondaggisti che fra qualche anno serviranno ai saggi dei politologi. Nella storia della civiltà americana resterà invece, per sempre, l´affermazione solenne e al massimo livello che dopo l´abolizione della schiavitù, dopo l´estensione del voto alle donne, dopo l´assalto alla segregazione di nome e di fatto, dopo l´abrogazione del divieto di matrimoni interazziali, un presidente fuori dall´ordinario ha avuto il coraggio civile di dire quello che un cristiano dovrebbe leggere nel Libro: «La regola d´oro della mia religione e del messaggio cristiano è: «Tratta gli altri come vuoi che gli altri trattino te» ha detto. Welcome home, bentornato a casa, Barack Hussein Obama…
La Repubblica 11.05.12