La ministra Fornero ammette che il governo ha sottovalutato le difficoltà delle persone e delle famiglie più vulnerabili, pensando che l´uscita dalla crisi sarebbe stata più rapida. E riconosce che la riforma delle pensioni, nella sua durezza e radicalità di attuazione, ha provocato non pochi disagi agli individui e famiglie coinvolte. In effetti, è l´unico caso a mia conoscenza in cui non c´è stato un periodo di transizione. E la questione degli esodati rimane largamente irrisolta. Quella della ministra è stata una ammissione onesta, anche se forse troppo tardiva, che la medicina che lei ed il governo di cui fa parte hanno creduto necessario somministrarci non è ugualmente amara per tutti e qualcuno rischia di non trarne alcun giovamento, al contrario. Il ministro Passera si è spinto molto più in là, tratteggiando una situazione a tinte fosche, dove la metà della popolazione sarebbe a forte rischio, con conseguenze per la tenuta della coesione sociale. Confesso un certo stupore e persino disagio. Se a fare questa valutazione fossero i sindacati o l´opposizione, si direbbe, anzi si è detto fino a ieri, che esagerano. Se poi a fare questa valutazione fosse qualcuno dei partiti che sostengono il governo si direbbe che ne mettono irresponsabilmente in gioco la tenuta in un periodo ancora difficile per la nostra economia e per la nostra credibilità internazionale. Da un ministro, tanto più “dello sviluppo” ci si aspetterebbe che non si limitasse ad una denuncia della gravità della situazione, ma indicasse anche strategie per superarla. E bisogna dire che di queste strategie si è visto ben poco, finora.
Di più, l´Europa, da riferimento severo ma giusto per tutte le misure prese fin qui, nelle dichiarazioni di Passera, ma anche, sia pure meno platealmente, in quelle di Monti, sembra rovesciarsi nel colpevole della situazione in cui ci troviamo. Si veda l´invettiva di Passera contro l´Europa che parla di sviluppo ma non fa nulla in questa direzione. Il giusto richiamo di Monti a Berlusconi sul fatto che l´inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione era stata una decisione presa dal governo da lui, Berlusconi, presieduto vale anche per il governo dei tecnici (oltre che per il Parlamento che lo ha votato). Ha accettato senza discussioni le imposizioni di Bruxelles e della cosiddetta troika, presentandole agli italiani come non solo necessarie, ma buone. Negoziare ora, ex post, la possibilità che le spese per investimenti stiano fuori dal patto di stabilità e presumibilmente non contino ai fini del pareggio di bilancio mi sembra una mossa opportuna, ma debole. Che cosa succederà se ci dicono di no?
Sono ben consapevole che questo governo si è trovato ad operare in una situazione difficilissima, di cui non ha responsabilità e che le soluzioni non sono dietro l´angolo. Ma quanto la incapacità di riconoscere da subito i pesanti e disuguali costi sopportati dai cittadini ha dato l´impressione di una distanza insieme culturale e sociale tra governo e la maggioranza dei cittadini, questo improvviso rovesciamento di atteggiamento (per altro solo verbale) dopo i risultati elettorali rischia di produrre più sconcerto che consenso, oltre ad aumentare l´ansia. Rischia di apparire un segnale di impotenza, se non un tentativo di captatio benevolentiae. Proprio perché la situazione è molto seria, abbiamo bisogno di un governo, di ministri, capaci di ascoltare senza arroganza, di modificare le proprie decisioni se necessario, ma anche di indicare soluzioni valutate per la loro fattibilità e costi. Dopo essersi troppo a lungo affidati alla popolarità che derivava al governo dalla percezione di scampato pericolo condivisa da molti cittadini, anche il governo e i singoli ministri devono fare i conti con la realtà complessa non solo dei conti pubblici e degli accordi internazionali, ma della vita e degli umori dei cittadini cui devono rendere conto. Tra arroganza e populismo più o meno sfiduciato ci sono alternative più costruttive. Richiedono forse un po´ più di umiltà e sobrietà intellettuale e civile.
La Repubblica 11.05.12
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