Il Partito democratico ha buone ragioni per ritenersi soddisfatto dei risultati di questa prima tornata delle amministrative. E la questione non riguarda tanto il successo elettorale che apparirà più chiaramente tra due settimane, quando la logica dei ballottaggi premierà in prevalenza i suoi candidati o quelli della coalizione di centrosinistra di cui fa parte. In realtà, i motivi di ragionevole ottimismo sono diversi e più profondi in quanto concernono il posizionamento del Pd nel sistema attuale e la solidità, forse sottovalutata, della sua azione politica.
Anzitutto, il risultato rivela che non solo i militanti, ma anche gli elettori hanno compreso il sostegno dato al governo Monti. Non era un passaggio facile né scontato e in questi mesi i dirigenti intermedi e locali, quelli che, al di fuori dei circuiti mediatici, costituiscono il corpo effettivo di un partito, si sono spesi in un lavoro continuo e oscuro per spiegare le ragioni di quella scelta. Come sempre, la realtà si è rivelata più complicata delle prove in laboratorio che avrebbero voluto trasformare l´esperienza del governo Monti in un eden tecnocratico e post-politico nel quale tutti si sarebbero dovuti riconoscere. In particolare sulla questione della riforma del mercato del lavoro, il Pd è riuscito a valorizzare il significato della sua posizione di responsabile sostegno a Monti, senza il quale l´Italia, parcheggiata in panne da Berlusconi sul ciglio del burrone, sarebbe precipitata in una crisi senza ritorno.
In secondo luogo, i risultati dei soggetti politici alla destra e alla sinistra del Pd confermano un dato troppo spesso ignorato: oggi in Italia esiste una forza popolare e nazionale che, per la prima volta nella storia del Paese, ha un elettorato riformista di massa, propriamente di centrosinistra. Prova ne sia che il Terzo polo delude e certo non sfonda, mentre alla sua sinistra, dove il Pd nelle elezioni del 2008 fece terra bruciata, esiste oggi un variegato campo di forze di carattere leaderistico (da Vendola a Di Pietro, dalle liste civiche dei sindaci a parte dell´elettorato grillino) che supera il 15% dei voti.
Ciò nonostante, il Pd continua a pescare i suoi voti e a rimescolarli, in un´area sociale e politica riformista, favorevole a una proposta di governo di segno progressista. Al di là della loro quantità, che sarebbe sbagliato disprezzare perché corrisponde a quella dei principali partiti riformisti europei, quei voti hanno una loro qualità intrinseca in quanto possono costituire il perno su cui costruire un nuovo progetto di governo fondato sull´alleanza tra riformisti, moderati e le espressioni di nuovo civismo vive nella società civile.
Se il Pd avesse ascoltato le sirene di tanti interessati osservatori, i quali gli hanno insistentemente chiesto di scegliere tra il Terzo Polo e la cosiddetta foto di Vasto, avrebbe sbagliato alla grossa regalando, in un caso oppure nell´altro, praterie elettorali al campo moderato o alla sinistra radicale. Invece, proprio nella posizione in cui sta, il Pd è disturbante, non tanto come partito, che ha i suoi evidenti problemi, peraltro comuni a tutti i grandi partiti organizzati d´occidente, ma come proposta politica nazionale e di segno socialmente interclassista. Anzi, oggi è forse l´unico soggetto che continui a fare politica, ossia a organizzare un´area più vasta del suo consenso come partito, rappresentando un centro di gravità e di attrazione. Può perdere le primarie, può diminuire i suoi voti di lista, ma sono sacrifici tattici, che avvengono dentro un disegno strategico più ampio, appunto di segno riformatore.
Certo, si dirà che Bersani fa di necessità virtù e prova in questo modo a trasformare la sua debolezza in forza, ma non è necessario rimandare ai classici manuali di tecnica politica e militare, da Machiavelli a Sun-Tzu, per sapere che proprio questa è da secoli una delle strategie di lotta più efficaci. Bersani è consapevole dei limiti della forza che rappresenta e non fa, come si dice dalle sue parti, «lo sborone», ma fa politica, che è un´altra cosa, nella saggia consapevolezza di non essere circondato da giganti del pensiero.
La terza ragione di ottimismo è quella che in realtà deve maggiormente preoccupare il Pd perché si riferisce al funzionamento del sistema nel suo insieme. La prevedibile implosione del Pdl toglie al Pd un punto di riferimento sul quale fare leva, rischia cioè di mettere in crisi la tecnica di combattimento utilizzata finora da Bersani che non può più utilizzare l´energia dell´avversario per convertirla in suo favore. Nell´anno che resta alle elezioni, si apre quindi per il Pd la sfida per definire meglio i programmi e i contenuti di una proposta di governo che deve essere il più possibile sintetica e unitaria. Quanto sta avvenendo nel Pdl, però, non deve sorprendere giacché corrisponde a una precisa strategia di Berlusconi che punta a costituire un partito roccaforte del 15-18% per ottenere una rappresentanza parlamentare di fedelissimi utile a tutelare i propri interessi economici, finanziari, giudiziari e politici che continuano a essere rilevanti.
Purtroppo, se il quadro non cambia modificando l´offerta politica in quel campo, l´unica strada da percorrere per la destra italiana sarà quella di puntare all´ingovernabilità, ossia di far abortire la prossima legislatura, trasformandola in una sorta di «caos calmo». Eppure, sullo sfondo di queste alchimie c´è l´Italia, con la crisi economica che batte e l´inadeguatezza delle sue forme politiche, un Paese che oggi si trova a un bivio. Da un lato, può imboccare una strada “franco-spagnola”, con un ordinamento in grado di garantire la governabilità e l´alternanza per affrontare la crisi e, dall´altro, precipitare in una deriva “alla Greca”, con l´implosione del sistema e l´avanzata dei radicalismi di destra e di sinistra. Uno scenario che in questo Paese, per ragioni storiche e culturali che riguardano la qualità di parte delle sue classi dirigenti, solletica appetiti e interessi profondi, a destra come a sinistra.
Per questi motivi, e come rivela anche l´allarmante ritorno del terrorismo a Genova, la strada davanti a Bersani è ancora dura e tutta in salita poiché coincide con le speranze e le possibilità, sempre difficili in Italia, di una proposta riformatrice in questo Paese: egli può contare su un quadro europeo mutato dopo il successo di Hollande e sulla saggezza dell´elettorato italiano, il che in una democrazia non è poco, ma potrebbe non essere abbastanza.
La Repubblica 10.05.12
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