Esiste un’idea capace di salvare la politica, di restituirle quella dignità che sembrerebbe irrimediabilmente perduta? Ieri mattina ho ascoltato Giorgio Napolitano celebrare per l’ultima volta il Giorno della Memoria dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi e ho pensato che la risposta è racchiusa in due sole parole: «Farsi carico». Mentre il Presidente parlava mi è tornata in mente una sera di quattro anni fa quando, nella stazione dei vigili del fuoco di un piccolissimo paesino dell’Iowa, mi capitò di ascoltare Hillary Clinton parlare a un gruppetto di elettori del suo partito. Uno le chiese cosa fosse la politica e lei rispose: «Fare la differenza nella vita della gente». Alla fine, prima di andarsene, si accorse che vicino all’uscita era rimasta solo un’anziana madre con un figlio disabile sulla sedia a rotelle. Non c’erano telecamere o fotografi, se ne erano andati tutti, ma Hillary si avvicinò e si mise ad ascoltare il lungo sfogo di questa donna che le parlò delle paure per il futuro del suo ragazzo.
La Clinton si mise a spiegarle a quali assistenze avrebbe potuto rivolgersi e le raccontò come avrebbe voluto cambiare una legge. Andarono avanti per quasi venti minuti. Guardando il volto rasserenato di quella donna, che si sentiva finalmente compresa, mi resi conto di cosa significa «farsi carico» dei problemi dei cittadini.
Significa prima di tutto ascoltare, capire di cosa c’è bisogno, immedesimarsi nelle difficoltà delle persone e poi avere il coraggio di sfuggire dagli slogan, per cercare soluzioni oneste e rispettose della complessità.
Cinque anni fa la memoria del terrorismo e delle stragi e delle sue vittime era un campo di macerie, pieno di rabbia, dolori, rancori e polemiche ideologiche. La prassi politica corrente avrebbe suggerito di tenersene alla larga, limitandosi a qualche ricordo di maniera. Giorgio Napolitano invece ha avuto il coraggio di accollarsi il problema, di dare un contenuto vero a una giornata che il Parlamento aveva appena istituito ma che era tutta da inventare. «Queste Giornate ha spiegato -, il ricordo di quegli uomini e di quelle donne come persone, la vicinanza al dolore delle loro famiglie, la riflessione intensa su quelle vicende, su quel periodo di storia sofferta, di storia vissuta sono stati in questi anni tra gli impegni che più mi hanno messo alla prova e coinvolto non solo istituzionalmente, ma moralmente ed emotivamente. Hanno messo alla prova la mia capacità di ascoltare e di immedesimarmi, la mia responsabilità di lettura imparziale, equanime di fatti che chiamavano in causa diverse ed opposte ideologie e pratiche politiche».
E’ stata fatta una grande opera di ricomposizione, di ricostruzione e di trasmissione della memoria, si sono costruiti percorsi preziosi e utili in tempi di nuova crisi «per porre un argine insuperabile a ogni rigurgito di violenza». Giorgio Napolitano si è emozionato e commosso ricordando la delusione per la «giustizia incompiuta» e il coraggio di chi ha superato barriere un tempo considerate insormontabili.
Questo suo impegno è stato capace di fare la differenza, di diventare un punto di riferimento e resterà un esempio di cosa possono essere la politica e le Istituzioni.
Perché l’unico antidoto all’insulto, allo smarrimento, a quell’aridità che ci condanna a non avere più sogni e fame di futuro è la fatica dell’impegno quotidiano, è la capacità di farsi carico dei problemi e dei bisogni che ci circondano ed è anche la capacità di commuoversi. Per non essere condannati al cinismo abbiamo bisogno di ascoltare e di lasciarci coinvolgere, di riconoscere i bisogni di chi fa parte della nostra comunità, e questo vale per tutti, non solo per i politici o per i presidenti.
La Stampa 10.05.12