Non tirava una bell’aria in quell’autunno del 2010 sotto i capannoni di “Malpensafiere” a Busto Arsizio, profondo nord leghista, dove il Pd aveva deciso di organizzare l’assemblea nazionale per riflettere sulla sconfitta enorme di pochi mesi prima. In primavera la destra aveva conquistato tutte le grandi regioni del Nord, Piemonte, Lombardia, Veneto, nonostante i segnali già evidenti che la crisi economica non si sarebbe fermata e che gli effetti sociali si sarebbero aggravati nel corso dei mesi successivi. Pier Luigi Bersani venne accolto dalla consueta volgarità di qualche leghista che si sentiva offeso dall’iniziativa della sinistra in quel territorio. Il leader democratico parlò in maniche di camicia. Disse che il Pd «non si sentiva straniero al Nord» e che Berlusconi e Bossi «avevano tradito le imprese e il lavoro». Fece le sue proposte per rilanciare l’occupazione, per delineare un fisco di sostegno allo sviluppo e alle piccole-medie imprese, riprese e valorizzò quel filone ideale di solidarietà e di volontariato che proprio in Lombardia ha storiche radici e un’ampia diffusione sociale.
UNA SCONFITTA DI TUTTA LA DESTRA
Quell’assemblea faticosa ci è venuta subito in mente di fronte ai risultati del primo turno delle elezioni amministrative che dimostrano una caduta repentina, profonda di consensi, forse inaspettata per le dimensioni, della Lega e del Pdl in tutto il Nord e in particolare in Lombardia. Insomma se oggi siamo qui a raccontare con un certo piacere l’arretramento della destra forse un qualche merito va proprio a quella scel ta del Pd a Busto Arsizio. Naturalmente non bisogna farsi illusioni. Il voto di domenica e lunedì non è definitivo e attende il secondo turno per chiarire il quadro dei sindaci. È vero che le elezioni sono amministrative, parziali e quindi i risultati non possono essere caricati di eccessivi significati politici generali. Però qualche cosa di importante è accaduto e va segnalato, si può già dire che c’è stata un’ondata fortissima che ha colpito e destrutturato il centro-destra al Nord salvo Verona dove viene confermato il leghista anomalo Tosi. C’è, in questo contesto elettorale frammentato e contradditorio, anche l’affermazione del pd, che forse fa meno notizia di Beppe Grillo, ma che si presenta oggi come il primo partito al Nord.
LA LEGA DIMEZZA I VOTI
Secondo le valutazioni dell’Istituto Cattaneo la Lega ha dimezzato i voti rispetto alle regionali del 2010 e alle politiche del 2008. In termini percentuali la caduta si attesta attorno al 50% in Lombardia e Veneto e arriva al 70% in Piemonte. Dati che rappresentano un forte ridimensionamento del partito di Bossi che perde comuni di grande valore simbolico, come quelli della provincia di Varese, e registra sconfitte pesanti in città come Monza, Como, in tutta la Brianza, le cui passate perfomance elettorali erano sempre state caricate di grande valore politico sulla vocazione leghista, federalista del Nord produttivo. Il sindaco leghista di Monza, Marco Mariani, è stato eliminato al turno ed è in vantaggio il candidato di centrosinistra Roberto Scanagatti. Il progressista Mario Lucini è nettamente in testa al primo turno (34,5%) a Como e questo risultato in questa città, qualunque sia l’esito del doppio turno, dà il segno del cambiamento dello scenario politico ed elettorale.
La Lega e il Pdl hanno fatto poi una figuraccia anche a Sesto San Giovanni dove per mesi hanno suonato la grancassa della propaganda contro la sinistra da sempre al governo della città che avrebbe dovuto pagare le conseguenze delle inchieste della magistratura sui lavori dell’ex area Falck. Ma, in attesa che i giudici chiudano le indagini e decidano se rinviare a giudizio Filippo Penati, i cittadini dell’ex Stalingrado hanno dato un ampio consenso alla candidata del Pd, Angela Chittò, che passa al ballottaggio con un rotondo 46%. La sconfitta della destra al nord si misura anche nella sorpresa della flessione leghista nei piccoli comuni dell’area pedemontana, l’insediamento storico e più fedele dell’elettorato del movimento di Bossi. Questo è uno smottamento importante in prospettiva perchè, se confermato nei prossimi appuntamenti elettorali, priverebbe la lega del suo bacino più importante di consensi. Ci sono zone, inoltre, dove il Pdl non solo perde, ma addirittura rischia di scomparire o di essere ridotto a percentuali irrisorie.
SCANDALI E CRISI
Naturalmente la sconfitta del centrodestra suscita interrogativi sui motivi di questo cambiamento delle scelte elettorali dei cittadini e sulle prospettive future. In Lombardia, ad esempio, il segretario regionale del Pd Maurizio Martina ha detto che nella regione c’è ormai un’altra maggioranza rispetto a quella che sostiene la giunta Formigoni, già investita da una decina di inchieste giudiziarie che hanno coinvolto consiglieri e assessori, dalle vicende del figlio di Bossi il “Trota”, dai diamanti del cassiere Belsito, per non parlare delle vacanze inquietanti del governatore pagate dal faccendiere Daccò. Formigoni resiste nella sua torre, ma ormai in molti, anche nel centrodestra, ipotizzano che in Lombardia si possa votare in coincidenza con le prossime elezioni politiche previste per il 2013, salvo anticipo. Il problema, infatti, oggi non è limitato al comportamento degli esponenti della Lega o del Pdl, coinvolti a torto o ragione in qualche inchiesta della magistratura o in piccoli e grandi privilegi assolutamente ingiustificati. La questione più rilevante è la caduta di credibilità politica, la mancanza di proposte adeguate per fronteggiare i problemi delle famiglie e delle imprese, la carenza di leadership visto che i grandi capi sono ostaggio chi del bunga bunga, chi degli affari di famiglia, chi dei viaggi ai Caraibi.
IMPRESE, LAVORO E PD
La flessione del voto leghista e berlusconiano al Nord, tuttavia, ha ragioni più profonde, deve tener conto degli effetti di una crisi economica che ormai dura da quattro anni e del deterioramento del tessuto sociale ormai evidente e pericoloso. Alcuni commentatori, ieri, sui grandi giornali dell’industria e della finanza si sono chiesti sorpresi e preoccupati come mai imprese, artigiani, commercianti, lavoratori abbiano tolto il consenso alla Lega e a Berlusconi e da chi vorranno farsi rappresentare da oggi in poi. Le elezioni amministrative dello scorso anno, il trionfo del centrosinistra a Milano, Torino, Venezia, Bologna e altrove avrebbe già dovuto far capire che industria e lavoro non sono colpite da afasia perchè voltano le spalle a Bossi e Berlusconi. L’asse Gemonio-Arcore, magari con la benedizione cardinalizia di Gulio Tremonti, non c’è e nessuno ci crede più. Anche perchè le imprese, le famiglie, la gente che spera in un futuro più sereno hanno altro a cui pensare.
Ci sono notizie e numeri che a volte danno spiegazioni ben più convincenti di mille analisi degli specialisti. Nella provincia di Varese da sempre leghista il tasso di disoccupazione tra il 2010 e il 2011 è salito dal 5,3 al 7,7%. In questa tranquilla provincia ci sono ben 22mila giovani tra i 15 e i 29 anni che non fanno nulla: non studiano, non lavorano, non hanno futuro. Stiamo parlando di una delle zone più ricche e ad alta intensità industriale del Paese, non delle aree disperate del Sud. Ecco, forse in questi numeri, che potrebbero essere accompagnati da statistiche ben più gravi per l’intero Nord, sta il segreto che spinge molti elettori ad abbandonare la Lega e il Pdl. Oggi scelgono un altro sindaco, domani probabilmente sceglieranno un altro governo.
l’Unità 09.05.12