Sembra un incubo, l’eterno ritorno dell’uguale. L’Ansaldo di Genova negli anni Settanta fu teatro di una serie di azioni e ferimenti, o meglio, “gambizzazioni”(neologismo coniato per i ferimenti alle gambe in cui si specializzarono i brigatisti, una modalità di attentato che massimizzava il dolore e l’umiliazione della vittima, costringendola a strisciare): Vincenzo Casabona, capo del personale dell’Ansaldo Meccanica, oggetto di un sequestro-lampo nel 1975, Carlo Castellano, capo della pianificazione, ferito dalle Br nel 1977, e Giuseppe Bonzani, direttore dello stabilimento G. T. Ansaldo, ferito, ancora dalle Br, nel 1979. Ieri, il rito macabro si è rinnovato.
L’amministratore delegato della sezione nucleare dell’Ansaldo è stato ferito. Ignoti gli attentatori, mancano le rivendicazioni, ma la “tecnica” è quella brigatista, dichiarano gli inquirenti, e il ministero dell’Interno esclude la pista personale.
Mancava solo il ritorno del terrorismo sulla scena di quest’Italia colpita dalla crisi e divorata dall’antipolitica: evocata da molti, ieri la violenza armata, parassita della democrazia, è tornata sulla scena, con il suo rituale, con la sua simbologia, in un luogo denso di storia. Adinolfi dirige la sezione nucleare: è stato colpito per quello specifico incarico? Gli attentatori forse hanno voluto inalberare una assurda bandiera anti-atomo, come se non ci fosse stato un referendum popolare che il 13 giugno si è già chiaramente espresso, con una vittoria schiacciante dei sì.
Ma è sempre così: gli attentati di terrorismo individuale calpestano e feriscono la democrazia, non solo la vittima. Quanti dirigenti, quanti capi reparto sono stati feriti o uccisi negli anni Settanta: attentati che rappresentavano la negazione dei principi di decenni di lotte sindacali.
Oltre ai ferimenti dell’Ansaldo, il pensiero corre ad un altro omicidio di matrice terroristica, che temo pochi ricordino: l’omicidio di Paolo Paoletti, ingegnere chimico, direttore dell’Icmesa, la famigerata “fabbrica dei profumi” che nel 1976 avvelenò Seveso con una nube tossica, una tragedia immane. Paoletti fu assassinato da Prima Linea il 5 febbraio del 1980. Le sette farraginose cartelle di rivendicazione spiegavano che era stato colpito perché ritenuto responsabile della tragedia di Seveso. Condannato a morte, in un Paese che ha ripudiato la pena di morte, e ovviamente senza processo: la violenza armata sequestrò la legalità, nella folle idea di farsi giudice ed esecutrice di una forma perversa di giustizia.
Oltre a Paoletti la vittima fu ancora una volta il metodo democratico, lo stato di diritto con i suoi processi: lento, ma unico titolato a individuare i responsabili di disastri industriali. Come è accaduto di recente con la storica, lungamente attesa sentenza di condanna della Eternit dello scorso febbraio.
Wolfgang Sofsky, nel suo illuminante Saggio sulla violenza, individua uno dei caratteri fondamentali della violenza nella sua impazienza – che è il contrario della faticosa pazienza richiesta dalla democrazia. La violenza lascia solo macerie a proprio monumento, continua Sofsky. E, aggiungerei, fomenta le tensioni, irrigidisce le posizioni: un frutto avvelenato in tempi in cui c’è bisogno di profondere il massimo degli sforzi nel confronto civile, nella ricerca di soluzioni alla crisi economica e sociale.
Gli anni Settanta, con il terrorismo, ce li siamo lasciati alle spalle, dopo un percorso lungo e doloroso per il Paese. Giova ricordare che non esiste più il brodo di coltura ideologico che alimentò il terrorismo, né l’abitudine diffusa alle pratiche violente. Ci auguriamo che nessuno cerchi di strumentalizzare l’attentato di ieri criminalizzando altre forme di dissenso, o addirittura il disagio sociale. Piuttosto, l’orrore che abbiamo provato di fronte alle immagini di Adinolfi, troppo uguali alle foto in bianco e nero di oltre trent’anni fa, è un campanello d’allarme che deve riattivare tutti i sensori della società.
Le date creano coincidenze significative, e suggeriscono un’ultima riflessione. Domani, 9 maggio, si celebrerà la Giornata della memoria dedicata alle vittime del terrorismo. Una ricorrenza fortemente voluta dal presidente Napolitano per aiutare la faticosa elaborazione dei traumi collettivi del nostro recente passato. Il ferimento di Genova, che riproduce nelle sue modalità la miriade di ferimenti che hanno costellato la stagione degli anni Settanta e Ottanta, ci fanno meglio comprendere l’importanza del rito civile che come ogni anno si svolgerà domattina al Quirinale.
La Repubblica 08.05.12