È un socialista moderato quello che conquista l’Eliseo turbando non poco il sonno della grande borghesia (non solo) francese con la sua proposta scioccante di una elevata tassazione delle grandi fortune finanziarie. Con un padre di estrema destra e una madre di sinistra, Hollande sin da studente maturò la scelta della militanza attiva, dapprima a fianco dei comunisti, e poi avvicinandosi ai socialisti. Dopo i primi passi nella scuola cristiana, la laurea in giurisprudenza e un periodo di studi in America, hollande si diploma nella celebre scuola dell’alta amministrazione (l’Ena) e diventa anche docente di economia. Il suo percorso di “specialista più politico” mette insieme una severa formazione burocratica e una collaudata esperienza amministrativa. Con la sua prestigiosa carriera politica (per 11 anni è stato il segretario del Ps, deputato, vicepresidente di regione, sindaco) Hollande archivia la stagione dell’antipolitica che in Francia celebrò i suoi fasti soprattutto nelle presidenziali del 2007. Si fronteggiarono allora «Sarko l’americain», che aveva accentuato la presidenzializzazione del partito e imposto la selezione del candidato all’Eliseo con le primarie, e Ségolène Royal. I due campioni del marketing che privilegiavano la leggerezza della comunicazione, in luogo di programmi pesanti ed esibivano lo strumentario dei sondaggi per farsi avanti, avevano imposto la prima campagna presidenziale dal frizzante segno post-politico.
Con Hollande torna invece alla ribalta la figura del politico sperimentato, che sbaraglia un presidente uscente come Sarkozy, ritenuto un cavallo di razza della magica video-politica. L’anticarisma, il «capitano di pedalò» lo ha definito il leader tribunizio della sinistra radicale, è in realtà un politico misurato e prudente che non ama esibire i dubbi segni della fascinazione mitica e non recita a soggetto il copione del marketing ma inietta un principio di speranza con proposte semplici, capaci di rendere vivida la differenza, divenuta opaca, tra destra e sinistra.
Non nascondendo la maschera di politico all’antica, Hollande apre strade nuove alla sinistra europea, chiamata ad andare oltre il rigore per salvare la democrazia. A un partito da sempre divorato da faide interne, che dopo la fine del ciclo luminoso di Mitterrand era mestamente precipitato allo status quo ante, restituisce una grande prospettiva di governo. Molte figure della gauche sono state divorate dalla cinica macchina dell’invenzione del candidato perfetto. Mauroy il rigorista, Fabius il delfino, Jospin l’austero, Rocard il riformista, Royal la leggerezza mediatica: tante ambizioni presidenziali cadute in repentina disgrazia. Un partito presidenziale non si consolida agevolmente. E deve convivere con veti incrociati, guerre infinite, agguati intestini, divisioni irriducibili. Un politico d’apparato come Hollande restituisce un futuro al Ps perché fa leva su una cosa antica, il radicamento territoriale comunque persistente in un partito di cariche elettive (il 25 per cento degli iscritti), e sul vantaggio strategico dell’effetto maggioritario che regala in ogni caso (e anche in anni in cui la tradizionale quadriglia bipolare è scassata) una preminenza competitiva al maggiore partito che deve costruire l’alternativa alla destra. Hollande copre un vuoto in un’età convulsa che ha visto declinare l’unità della sinistra prima maniera, la formula della sinistra plurale, l’accenno di Royal ad una apertura al centro moderato. Il Ps sconta l’antinomia che sempre lacera la coscienza interiore della sinistra: aderire alla scenografia del duello presidenziale e però sognare un’altra repubblica, la sesta con partiti che non siano mere dipendenze dell’Eliseo e con rappresentanza. Per un singolare paradosso, tocca proprio a un politico di professione erigere il principale argine all’antipolitica oggi trionfante nella vecchia Europa dei tecnocrati, sorda dinanzi all’alienazione politica dei ceti marginali.
Da L’Unità
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«Fitoussi: “Saprà muoversi con la Merkel per unire iniziative di crescita al rigore”», di Eugenio Occorsio
L´economista: “La misura più importante sarà rinegoziare il Fiscal compact per renderlo meno vincolante”. Non basta un uomo per cambiare la storia dell´Europa. Non ci aspettiamo il miracolo: ma ora c´è una speranza
«Ricordiamoci che non basta un uomo per cambiare la storia dell´Europa. Non ci aspettiamo un miracolo: però ora abbiamo una speranza». Jean-Paul Fitoussi, l´economista che dalla sua base parigina di SciencesPo segue più di chiunque altro le vicende europee, controlla a malapena la soddisfazione. «La misura più importante che ci aspettiamo da Hollande è la rinegoziazione del Fiscal compact per renderlo meno vincolante. Qui si giocherà la partita. Hollande saprà muoversi con attenzione».
Adesso che ha vinto il candidato socialista non c´è pericolo che vada a finire come dopo la vittoria di Mitterrand nel 1981, quando la Borsa di Parigi perse il 17% in una settimana?
«Hollande ha due strade: ribaltare il tavolo e rimettere in discussione il trattato prima che venga ratificato dai Parlamenti, oppure avallare l´atto politico dell´approvazione di tutti i Paesi per non turbare troppo gli equilibri, affiancandogli però un´iniziativa di crescita. Realisticamente, questa sarà la strada, per non impostare subito con tensione i rapporti con la Merkel. E anche, è vero, per non gettare incertezza sui mercati, che sono imprevedibili ma attaccano se vedono segnali di debolezza: l´importante è evitarli».
Il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, ha già detto che Berlino è pronta a lavorare insieme per la crescita. Cosa dobbiamo aspettarci?
«Intanto gli eurobond, la vera partita di scambio. Dal primo giorno di validità del Fiscal compact, Hollande vuole che partano i titoli comunitari, e ora si può sperare che la Merkel rimuova il veto. Poi, i project bond: si tratta di rivitalizzare la Banca europea degli investimenti, ricapitalizzarla e portarla a finanziare singoli progetti di sviluppo nei vari Paesi. La Bei esiste da sempre: rilanciarla è una scelta politica e Hollande la farà. Infine, la Bce».
La questione più complicata…
«Certo, ora però può cominciare il cammino per trasformare la banca in lender of last resort vincendo il nucleo duro della Bundesbank: deve prestare denaro ai Paesi comprando titoli all´emissione e non più sul mercato secondario come fa ora, peraltro con un´interpretazione forzata dei trattati che rischia di non reggere. Alla Bce va dato pieno titolo e autorità per acquisti su tutta la linea. L´inflazione non è un pericolo, comunque ci sono a Francoforte tecnici in grado di tenerla sotto controllo. Si dice che la Bce deve tutelare le banche: bene, sostenendo i corsi dei titoli di Stato tutela la solidità patrimoniale degli istituti».
Quali altri punti la convincono del programma di Hollande?
«Sicuramente la riforma fiscale per rendere le tasse più progressive, insomma far pagare di più ai ricchi. E poi l´iniziativa nella scuola con l´assunzione di 60mila insegnanti: gli investimenti sul capitale umano sono cruciali per ridare speranza, e poi è un colpo alla disoccupazione. I fondi? Vedrete, ci sono: deriveranno dalla riforma fiscale ma soprattutto dallo sviluppo che sarà promosso con tutte le iniziative europee».
da La Repubblica
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«Questo è un voto storico per il futuro dell’Europa» Intervista a Laurent Fabius di Umberto De Giovannangeli
È stato premier francese dal 24 luglio 1984 al 20 marzo 1986. Qualcuno lo indica come ministro delle Finanze nel prossimo governo
«La Francia ha voltato pagina e aperto un nuovo capitolo che ha un nome: changement (cambiamento)». A parlare è una delle personalità di primissimo piano del Ps: Laurent Fabius, 66 anni, già primo ministro. Un grande passato e un futuro politico non meno significativo: molti analisti e fonti vicine al neo presidente François Hollande, lo indicano come il più accreditato al dicastero delle Finanze o al Quai d’Orsay, ma c’è chi pensa a lui come un possibile primo ministro.
La Francia ha scelto il suo nuovo presidente: Francois Hollande. Qual è il segno politico di questa vittoria?
«Non c’è dubbio: è il segno del cambiamento. Un cambiamento che non ha nulla di ideologico, ma si fonda su un progetto chiaro, su programmi, su proposte concrete che non sono libri dei sogni. Quello indicato da Hollande è un cambiamento pragmatico, efficace, che dalla Francia può trasmettersi all’Europa. So che spesso il termine “storico” è usato a sproposito. Ma in questo caso, credo che sia ben speso: quello di oggi è stato un voto storico per la Francia». C’è chi sostiene che la forza di Hollande sia stata soprattutto la debolezza del suo avversario.
«Non sono di questo avviso. Certo, la maggioranza dei francesi ha giudicato con severità i cinque anni di presidenza Sarkozy, soprattutto per la sua incapacità a far fronte alla crisi. Ma i francesi hanno votato “per” e non solo “contro”. E hanno premiato il candidato che si è dimostrato più serio, quello che ha prospettato un cambiamento possibile». Quali potrebbero essere le prime mosse, i primi atti dei primi 100 giorni della presidenza Hollande?
«Misure coerenti con i punti qualificanti del suo programma elettorale: investimenti sul piano-scuola, il blocco per tre mesi del prezzo della benzina, la riduzione del 30% delle retribuzioni del Presidente e dei ministri: un insieme di misure che danno conto di scelte strategiche, qual è l’investimento sull’istruzione, ed altre che danno conto di una volontà di far fronte nell’immediato a questioni, come il caro benzina, che pesano sulla quotidianità dei francesi. Un passaggio importante saranno poi le legislative di giugno. Davanti a noi c’è una estate di lavoro. Dovremo prendere decisioni importanti, soprattutto in campo finanziario, fiscale e sociale. “Il cambiamento è adesso” da oggi non è solo un felice slogan. È un impegno con i francesi che dobbiamo onorare. Da subito». C’è chi ha descritto Hollande come un’”ammazza ricchi”, facendo riferimento alla prospettata riforma con lo scaglione al 45% per i redditi superiori a 150 mila euro e l’imposta marginale del 75% per i redditi superiori al milione di euro.
«Non è una misura “ammazza ricchi”, io la chiamo giustizia sociale ed equità fiscale».
Guardando a questa vittoria in chiave europea. C’è chi teme che la presidenza Hollande indebolisca l’azione di rigore.
«È una preoccupazione che non ha ragione di essere. Hollande fa proposte che tendono al rafforzamento delle istituzioni politiche ed economiche europee. Mi riferisco, ad esempio, ad un ruolo attivo della Bce, ad una effettiva attuazione del Fondo europeo di stabilità, alla definizione di una tassa sulle transazioni finanziarie, finalizzate, come i project bond, al lancio di grandi progetti di sviluppo. Proposte fondate su una convinzione: la crescita favorisce, e non minaccia, la disciplina di bilancio».
La presidenza Hollande segnerà la fine dell’asse franco-tedesco?
«Niente affatto, semmai lo riequilibrerà rispetto a una dipendenza troppo marcata avuta da Sarkozy nei confronti delle posizioni della signora Merkel. Mi lasci aggiungere che il rapporto tra Parigi e Berlino ha radici storiche che non nascono e non si esauriscono con il cosiddetto “Merkozy”. Un primo risultato lo abbiamo già ottenuto, visto che il ministro degli Esteri tedesco Westerwelle ha espresso la volontà di Berlino a lavorare per un Patto di crescita. È un buon inizio».
Un buon inizio, lei dice. Per quale politica europea, soprattutto sul terreno decisivo: quello economico e finanziario?
«La convergenza europea è ovviamente necessaria, ma se essa non si limita a premere il freno. Politiche che puntano tutto sull’austerità non solo avranno conseguenze pesantissime sul piano sociale ed economico, ma l’iper-austerità impedisce un risanamento strutturale dei conti pubblici. Le disuguaglianze bloccano la crescita».
A suo tempo, lei fu il punto di riferimento di quanti nel Ps si schierarono per il no nel referendum sulla Costituzione europea. E oggi?
«La mia posizione era fondata sulla convinzione che per l’Europa le questioni centrali fossero allora quelle dell’occupazione e delle delocalizzazioni. In quel Trattato non c’erano, a mio avviso, indicazioni precise, misure concrete per un cambiamento su questi due punti cruciali. Ma in me non c’è mai stato un sentimento antieuropeo, un pregiudizio ideologico. E la riprova è che Hollande mi ha voluto al suo fianco in questa campagna. Resto convinto che non dobbiamo solo fissare gli obiettivi giusti, ma anche trovare mezzi e regole che non siano in contraddizione con questi obiettivi. Hollande li ha indicati chiaramente. La sua idea di Europa è anche la mia. Su questo non devono esserci dubbi: la sinistra francese sarà più europeista. Un europeismo progressista».
Nel ballottaggio, a favore di Hollande si è pronunciato il leader centrista Bayrou. È nato il centro-sinistra francese?
«È presto per dirlo. Di certo, e questa è una tradizione della Quinta repubblica, chiunque sostenga il progetto del presidente eletto è parte della maggioranza presidenziale. Ciò vale anche per Bayrou».
da L’Unità