Dopo il Bossi del Primo maggio che a sorpresa si ricandida alla guida della Lega, ecco arrivare Berlusconi in versione comizio: il messaggio, anche in questo caso, è che il Cavaliere non ha alcuna voglia di farsi da parte. La campagna elettorale è stata dura per entrambi: Bossi alle prese con lo scandalo familiare della Lega, da cui ieri, come notizie di giornata, sono uscite le lauree false, comperate a Tirana, del figlio Renzo e del fidanzato di Rosi Mauro Pier Mosca. E Berlusconi con le udienze del processo per il caso Ruby e le intercettazioni delle sue conversazioni con le ragazze dell’Olgettina.
Sul Senatur peserà lunedì il risultato del voto più difficile per il Carroccio; quanto al Cavaliere sarà a Mosca, in visita da Putin, ospite alla cerimonia del reinsediamento alla presidenza della Russia, quando in Italia Alfano e il Pdl cominceranno a fare i conti con cifre e percentuali, che s’annunciano dure da digerire per un partito già altre volte in difficoltà alle amministrative.
Perché allora i due leader da cui fino a sei mesi fa dipendeva l’equilibrio di governo del Paese, e che adesso mal sopportano la loro forzata emarginazione politica, hanno sentito il bisogno di rimettersi al centro della scena? Anche se quando si parla di Bossi e Berlusconi è inutile cercare una risposta scientifica, perché si tratta di due leader abituati a muoversi sempre sul piano istintivo, è evidente che né l’uno né l’altro considerano del tutto esaurita la stagione dei partiti personali, a guida carismatica, che ha caratterizzato il quasi ventennio della Seconda Repubblica. E non hanno neppure rinunciato all’ipotesi di rimettere in piedi la loro alleanza, grazie alla quale sono riusciti a vincere le elezioni nel 1994, 2001 e 2008.
Sotto quale forma, è prematuro dirlo. Ma è possibile che se davvero si dovesse arrivare a una nuova legge elettorale proporzionale, in cui i partiti correrebbero ciascuno per sé, Bossi e Berlusconi, invece di candidarsi con Lega e Pdl in un ruolo forzatamente defilato, potrebbero decidere di affiancarli con liste personali, costruite ancora una volta sui propri nomi.
Per il Senatur sarebbe il modo di evitare una conta congressuale in cui probabilmente uscirebbe battuto, e di dimostrare che un certo modo di essere del leghismo delle origini può continuare ad esistere solo con lui. E per il Cavaliere un modo di ottimizzare la raccolta dei voti a destra, suo obiettivo principale, lasciando ad Alfano fino all’ultimo il tentativo impossibile di ricostruire l’alleanza con Casini.
La Stampa 04.05.12