L’orizzonte progettuale evocato da François Hollande è quello di una nuova sinistra riformista. È questo il primo elemento di fondo che emerge dalla campagna presidenziale del candidato socialista. L’altro, e non meno importante, è quello relativo alla posta in gioco, che va ben oltre i classici confini di un’alternanza di governo sinistra-destra, ricchi-poveri… La posta in gioco è la costruzione-salvataggio dell’Europa, e più precisamente dell’area euro». A sostenerlo è uno dei più autorevoli intellettuali di Francia: Alain Touraine. «In questa chiave europeista, il successo di Hollande rimarca Touraine sarebbe ancora più significativo se la nuova sinistra riformista e filo-Europa, oltre che in Francia, si affermasse anche in Italia e Germania, nelle elezioni del 2013. La combinazione di questi tre Paesi potrebbe avere un effetto trascinamento di altri e costruire un argine potente, e riequilibratore, alla finanza globale che gioca contro l’economia europea».
«François Hollande è l’unico candidato che nel suo progetto cerca di difendere e rafforzare l’integrazione europea e, insieme, la politica sociale della sinistra, in particolare verso i ceti più deboli. Questa è la grande sfida di Hollande: costruire un’Europa “sociale”, oltre il monetarismo. Il suo, a ben vedere, è un progetto che riprende e sviluppa l’idea di Europa che è stata di Jacques Delors. Bruxelles ha spesso dimostrato una cecità incredibile. Non c’è bisogno di essere un professore di economia per capire che una moneta comune ha senso solo se si basava su politiche fiscali nazionali, almeno coerenti. Il risultato di questo vuoto del progetto europeo è che molti elettori ancora percepiscono la costruzione dell’Europa come uno strumento di un capitalismo puramente speculativo».
Come superare questo orizzonte?
«Mi pare che il progetto-Hollande indichi con sufficiente nettezza i due pilastri. Il primo è la costruzione salvataggio dell’Europa, più precisamente l’area dell’euro. Il secondo è pilastro è più tipicamente sociale: Hollande prova a rimettere al centro dell’agire politico e di governo. una ridistribuzione del reddito nazionale a favore delle classi sociali che hanno perso molto terreno dal trionfo del neoliberismo nel 1970 e in particolare dall’inizio della crisi finanziaria, monetaria ed economica esplosa nel 2007. L’aumento delle disuguaglianze sociali rappresenta attualmente la più seria minaccia alla stabilità e alla coesione dell’Unione europea e dei suoi membri. E qui rientra in gioco l’Europa».
In che senso, professor Touraine?
«La crisi che, sia pur in termini e dimensioni diverse, ha investito la Grecia, il Portogallo, l’Italia, la Spagna, la stessa Francia, sta a dimostrare che la dimensione europea è decisiva, perché è a livello sovranazionale che si determina un controllo dell’economia. E a livello europeo che occorre riorientare la crescita. Le risposte fin qui fornite dai governi nazionali e dalle istituzioni europee, si muovo ancora dentro un orizzone angusto, limitato: quello della sopravvivenza».
Siamo dunque ancora all’«anno zero» di un’Europa che va oltre la sopravvivenza?
«Non sarei così tranchant. Nel 2011 sono stati ottenuti importanti risultati, ma ancora insufficienti. Il più importante è quello è quella che ha portato i tedeschi, nonostante la resistenza della Bundesbank, ad accettare non solo il salvataggio della Grecia, ma anche la politica avviata dalla Banca centrale europea guidata da Jean-Claude Trichet, politica sviluppata dal suo successore alla Bce, Mario Draghi».
Come rientra questo discorso sulle presidenziali francesi?
«I francesi hanno compreso di non essere al riparo dalla crisi. Avvertono il limite, oltre che gli squilibri sociali, provocati da una risposta che si fonda solo sull’austerità. La Francia ha bisogno di una ripresa della crescita, che è parte fondamentale dell’assoluta necessità di ridurre il peso del debito sovrano e del nostro deficit di bilancio. Sarà questo l’impegno prioritario nell’agenda presidenziale di Hollande: coniugare crescita e austerità, difendere l’Europa e al tempo stesso i lavoratori. Ma per vincere questa sfida, la Francia ha un bisogno vitale di una attiva e responsabile l’Europa così come i francesi hanno bisogno di una politica sociale a sinistra. Ad un livello ancora più alto, dobbiamo creare una nuova politica globale che combini l’aumento del tenore di vita nei Paesi emergenti e in quelli poveri, con una politica di re-industrializzazione della Francia che deve, come la Germania, esportare di più e prodotti più industriali per i Paesi in crescita: è bene ricordare che l’80% del commercio mondiale è costituito da prodotti industriali».
Possiamo guardare al dopo 6 maggio con ottimismo?
«Stiamo ancora attraversando un guado, le acque continuano ad essere agitate, ma alle spalle ci stiamo lasciando la stagione dominata dal potere degli speculatori. Il successo di François Hollande non risolverebbe tutto, è chiaro, ma renderebbe possibile una politica sia di giustizia che di crescita. Possiamo finalmente sbarazzarci dell’idea che siamo condannati al declino e la perdita di fiducia in noi stessi. Niente è risolto, ma il recupero è possibile. D’altro canto, è la prima volta nella storia della Quinta repubblica che un candidato della sinistra è un convinto europeista. Hollande ha affermato più volte che dall’Eliseo porterà avanti una politica di sinistra ma anche una politica funzionale alla costruzione dell’Europa. Per questo l’ho votato. So bene che Hollande non è un uomo politico geniale, ma non è di questo che oggi abbiamo bisogno. Ciò che serve alla Francia, e all’Europa, è un politico in grado di scegliere le soluzioni buone e scartare quelle sbagliate. Se quest’uomo diventa presidente dellla Repubblica, è l’unico nelle condizioni di avere presa sia sull’Europa che sui lavoratori. Non è cosa da poco».
Lei ha affermato che il «sentimento più forte che avverto in Francia è l’«antisarkozismo».
«Si tratta di una crisi di rigetto. Lo detestano perché ha fatto promesse che non ha mantenuto. Sarkozy è il presidente che più di ogni altro ha indebitato la Francia. Nicolas Sarkozy è tutto, meno che un presidente: un uomo d’azione, un teatrante, un gran bugiardo. Adesso che uscirà di scena, andrà a fare soldi con i suoi amici ricchi».
l’Unità 01.05.12