Questo Primo maggio coincide con un forte dibattito sui temi del lavoro. Abbiamo alle spalle una riforma delle pensioni assai controversa che costringerà il governo ad affrontare problemi sociali causati dalla riforma stessa. Come quello dei lavoratori che sono rimasti senza lavoro e quindi senza stipendio e che dovranno aspettare anche 5 o 6 anni per arrivare alla pensione.
Ci auguriamo che il tavolo di confronto tra governo e parti sociali, che si aprirà il prossimo 9 maggio, trovi una soluzione a questo spinoso problema: si tratta di lavoratori in mobilità; di persone che si sono licenziate individualmente da aziende di piccola dimensione; di esodati delle Poste, dell’Eni e dell’Enel; di lavoratori che hanno continuato ad effettuare versamenti volontari; di lavoratori della scuola; di lavoratori che si vedono sfuggire il traguardo della pensione per qualche giorno o settimana. Tutte queste persone dovranno trovare una soluzione: l’unica proposta valida è quella di consentire loro, in base alle deroghe legislative, di andare in pensione utilizzando le vecchie regole previdenziali.
Al tempo stesso, è in corso un dibattito controverso sul tema del mercato del lavoro la cui riforma dovrebbe vedere la luce entro l’estate. Il confronto tra governo e parti sociali su questo argomento è iniziato il 23 gennaio scorso ma non ha prodotto una sintesi unitaria, soprattutto a causa delle prime soluzioni indicate dall’esecutivo sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Successivamente, su questo tema, nel confronto tra i segretari dei partiti che sostengono il governo e il presidente del consiglio, si è provveduto ad una importante correzione sui licenziamenti per motivi economici. È stata reintrodotta la possibilità per il giudice, accanto al risarcimento, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro nel caso in cui la motivazione del licenziamento risulti infondata. Un compromesso ragionevole che, soprattutto, mantiene il potere deterrente dell’articolo 18 ed impedisce che passi tra i lavoratori l’idea che, in un momento di recessione economica e di crescente disoccupazione, ci possano essere innovazioni legislative che rendono più facili i licenziamenti. Scampato questo primo pericolo, il secondo scoglio è rappresentato dalla pretesa del Pdl, dopo la positiva modifica sui licenziamenti, di rimettere in discussione il testo della riforma per quanto riguarda le “flessibilità in entrata”, cioè al momento dell’assunzione.
La richiesta del centrodestra è quella di diminuire le regole più stringenti ed i controlli voluti dal governo al fine di scoraggiare l’uso opportunistico del lavoro autonomo o parasubordinato. Per noi, invece, è una priorità garantire, con gli emendamenti che abbiamo presentato al senato, una riforma che sia in grado di plasmare un mercato del lavoro inclusivo ed amichevole per le giovani generazioni, nel quale viene bandita la precarietà a vita e nel quale non ci sia più posto per le finte partite Iva, i finti associati in partecipazione e il finto lavoro a progetto.
Per questo, come Partito democratico, abbiamo proposto correzioni che distinguano in modo netto il profilo professionale del lavoro autonomo rispetto a quello dipendente e che per i giovani che svolgono un lavoro parasubordinato (ad esempio a progetto), sia fissato un compenso minimo al fine di impedire che paghino loro stessi gli aumenti dei contributi previdenziali che dovrebbero essere a carico del datore di lavoro. Abbiamo posto il tema di un corretto utilizzo dei voucher in agricoltura, perché vogliamo impedire che l’uso distorto di questo strumento faccia scomparire il lavoro stagionale dipendente nel settore. Infine, abbiamo formulato una riscrittura delle tutele contro i licenziamenti in bianco, per rendere più facile la procedura e richiesto di assegnare ai padri tre giornate di congedo genitoriale, senza che queste vengano scomputate dai permessi delle madri.
Il nostro obiettivo è quello di correggere in modo incisivo la riforma senza stravolgerla e consentire che venga approvata entro l’estate. Non ci nascondiamo i difetti di impianto delle riforme del welfare volute dal ministro Fornero: avere tutele contro la disoccupazione, a partire dal 2017, più corte di quelle attuali e il momento della pensione che si allontana fin oltre la soglia dei 67 anni, produrrà problemi sociali strutturali, analoghi a quelli dei cosiddetti “esodati”. Sarà un problema da affrontare: intanto dobbiamo cambiare il testo sugli ammortizzatori sociali per poi concentrarci sui temi della crescita.
Se il paese non si sviluppa, nemmeno la migliore riforma del lavoro potrà produrre un solo occupato in più. Ci auguriamo che questo primo maggio unitario rappresenti una spinta positiva per trovare le giuste soluzioni e per far assumere al lavoro la centralità che merita di avere nel dibattito politico.
da Europa Quotidiano 01.05.12
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