L’esercizio, in fondo, è fin troppo semplice. Basta mettere l’uno accantoagli altri per scoprire come l’uno, Beppe Grillo, e gli altri, Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, assomigliano tanto alle classiche due facce di una stessa medaglia. Perché è vero che esiste l’antipolitica di lotta, che ha la cadenza genovese di Grillo. Ma è altrettanto vero che l’Italia della Seconda Repubblica ha sperimentato almeno un decennio di antipolitica di governo. Quella segnata dal tandem Berlusconi-Bossi.
Tra il sostenere che «dobbiamo uscire dall’euro perché non possiamo più permettercelo»,comefa Grillo in questi giorni, e il mettere a verbale che «l’euro nonha convinto nessuno», come ha scandito Silvio Berlusconi il 28 ottobre scorso, c’è una sola differenza. Il primo usa i toni ultimativi di chi sta fuori dal ring. Il secondo fa sfoggio della «moderazione» (sic!) di chi comunque si trovava a presiedere il governo di uno dei principali Paesi dell’Eurozona. Che sia di lotta o di governo, l’antipolitica si nutre di bersagli comuni. In questo caso, l’euro. Pazienza se la moneta unica è l’ultimo baluardo prima del baratro. C’è un popolo asserragliato dietro l’equazione «prima un panino costava mille lire, ora costa un euro»? Fine della storia, abbasso l’euro. E così, «si può rimanere tranquillamente nell’Unione europea senza rinunciare alla propria moneta» come ha fatto la Gran Bretagna, sentenzia Grillo sul suo blog. Oppure, «l’euro è una moneta strana che non ha convinto nessuno, che è di per sé molto attaccabile, non è di un solo Paese ma di tanti Paesi che non hanno un governo
unitario» et voilà, come diceva Silvio Berlusconi al crepuscolo della sua permanenza a Palazzo Chigi. Antipolitica di lotta. Antipolitica di governo. Due facce che trovano un diabolico punto in comune quando nel teorema viene inserita la variabile Lega Nord, che è riuscita nel corso degli anni a fornire una formidabile
sintesi di come si possa essere – contemporaneamente – politica e antipolitica. Basta poco, no? Nell’ordine, è sufficiente promettere
meno Stato e meno tasse, come faceva il Bossi prima maniera. E se
poi ti trovi per dieci anni a sostenere un governo che finisce per seguire la strada uguale e contraria – più tasse e più Stato – ci si può sempre purificare con l’acqua che sgorga dalle sorgenti del Po. Oppure celebrare qualche Woodstock padana sul prato verde di Pontida. E, tanto per tornare all’esempio di prima, attaccare l’euro. «Unione europea? L’euro e i massoni ci hanno rovinato», diceva il Senatur, socio di lusso della maggioranza del governo Berlusconi, nel 2005. Per non parlare di Maroni, e lui addirittura era il ministro del Welfare, che nello stesso anno si spingeva fino a proporre «un referendum per tornare alla lira». Una consultazione che piacerebbe tanto anche al Grillo del 2012.
Ma se c’è un terreno in cui l’antipolitica di lotta e di governo dà il meglio di sé, questo si materializza quando il bersaglio diventano i partiti. Non sarebbe il caso «di fare una norimberghina», si chiede Grillo mentre cerca di istruire il processone a Monti («Rigor Montis»), la nuova maggioranza («Diarrea politica») e pure contro Nichi Vendola («L’ho aiutato e mi sparerei nei coglioni»)? E siamo proprio sicuri che, al di là dei nomi degli imputati, Berlusconi non sottoscriverebbe la proposta da Grillo? D’altronde già alla fine degli anni Settanta il Cavaliere usava nei confronti di «certi politici»
gli stessi argomenti che il comico genovese avrebbe imparato a maneggiare una decina di anni più tardi.
La prova? Basta rileggere un’intervista che Berlusconi rilasciò a la Repubblica nel 1977, un documento purtroppo finito nel dimenticatoio, citato da Marco Damilano nel suo libro, “Eutanasia di un potere”. In quell’intervista, il Cavaliere sosteneva senza troppi giri di parole: «Io sono un pratico ma anche un sognatore: spero che venga fuori una nuova classe politica senza cadaveri nell’armadio, le mani pulite, poche idee ma chiare, capacità di farsi capire in modo comprensibile». Sembra quasi lo spot del partito on-line di Grillo, girato con trent’anni e passa d’anticipo. Come prova un altro passaggio di quella conversazione tra Berlusconi e la Repubblica. «Sono pochi i politici che si sanno presentare in modo chiaro e immediato, facendosi capire dalla gente. Non come Moro, che ogni volta che apre bocca ci vuole un esercito di esegeti per interpretarlo». Perché, sempre dalla viva voce del Cavaliere, «questi capi storici hanno il culo per terra ma ingombrano la porta».Un bestiario che, negli anni a venire, sarebbe tornato utilissimo tutte le volte che, sentendosi scricchiolare, “Silvio” avrebbe addossato la colpa ora «ai comunisti» dell’opposizione, ora «ai democristiani» della sua stessa maggioranza. Cambiando l’ordine dei bersagli, il prodotto non cambia. L’antipolitica può essere di lotta. E può essere di governo. Anche sulle tasse. «Gli attentati a Equitalia? Bisogna capirne le ragioni», ha spiegato Grillo. Mentre Berlusconi s’era limitato (sic!) a misure più prudenti, tipo minacciare – come fece una volta da Lucca – quello stesso «sciopero fiscale » molto caro, in realtà, anche ai suoi alleati della Lega, che qualche volta l’avevano professato anche dai banchi del governo.
Sarà che forse la plastica del partito berlusconiano del ’94 e il
web delle cinque stelle grilline degli anni Duemila producono progetti politici estemporanei. Eternamente estemporanei. Sia se rimangono di lotta, sia se arrivano al governo. O, forse, molto dipende dalla presenza scenica di chi nasce e cresce abusando di una naturale propensione a saper allietare il pubblico, pagante o
votante. D’altronde, questa è una traccia comune del percorso di Berlusconi e di Grillo. Il primo ha alimentato la leggenda che lo voleva ammaliatore di turisti da crociera, accompagnato al pianoforte da Fedele Confalorieri, e che aveva in Que reste-t-il de nos amours il suo cavallo di battaglia. Il secondo, disse una volta il fratello Andrea, eseguiva numeri comici e musicali per la famiglia, «cantava e suonava la chitarra lanciando urli alla James Brown». Il secondo ha esordito al cinema in un film chiamato Cercasi Gesù. Il primo s’è mosso come se quella ricerca si fosse esaurita in se stesso, «l’unto del Signore». Entrambi, poi, non hanno molta dimestichezza con l’eufemismo. Il primo archivia alla voce «coglioni» gli elettori che non lo votano. Il secondo organizza il Vaffanculo day. Lasciando per un attimo le vesti del «moderato» a Umberto Bossi. E al suo dito medio. Che è stato di lotta, certo. Ma anche, e tanto, di governo.
l’Unità 28.04.12