È giunto il momento dell’azione. Esistono anche i capricci della fortuna nei percorsi della storia. Vanno colti al volo. Oggi si profila per l’Europa la possibilità di arrivare a una sintesi fra rigore e crescita. Per merito di François Hollande, la questione è piombata nel dibattito europeo dopo il primo turno delle elezioni presidenziali francesi. È un’occasione insperata perché l’Europa ritrovi se stessa, l’opinione pubblica capisca che l’unione politica è senza alternative, la politica respinga le soluzioni nazionali (il controllo esterno delle frontiere deve restare responsabilità comune). L’opportunità dischiusasi vale in particolare per Francia, Germania e Italia, Paesi fondatori delle Comunità europee non nello spirito di un rimescolamento delle alleanze ma di un duraturo rapporto a tre. Potrebbero diventare protagonisti di un rilancio dell’Unione capace d’integrare rigore e crescita e, successivamente (ma ogni cosa a suo tempo), riordinare un assetto istituzionale molto confuso. L’Italia che, dal primo incontro di Mario Monti con Angela Merkel e Nicolas Sarkozy nel dicembre scorso a Strasburgo, ha fatto un cavallo di battaglia del binomio austerità-crescita, può ritrovare in Europa uno spazio adeguato al suo ruolo storico. La prospettiva che questi tre Paesi riaggiustino la rotta comune è affascinante dopo anni d’indifferenza. Guai a sprecarla. Fra l’altro, Monti e Merkel sono due europeisti di esperienza; Hollande è un europeista di sentimento: la pratica, se dovesse venire eletto, seguirà. Non c’è ragione che non vadano d’accordo.
Perché le divergenze esistenti si trasformino in una solida intesa è necessario mantenere i piedi per terra, costruire con propositi e fatti concreti. Per l’Italia, questo significa agire sulla base di alcuni presupposti: la convergenza fra i tre principali Paesi dell’Unione Europea esercita un’insostituibile funzione di traino; l’asse franco-tedesco non è un capriccio ma un’esperienza collaudata e raffinata in oltre cinquant’anni d’esistenza; funziona male se viene gestito in maniera esclusiva, bene se rappresenta un motore dell’integrazione europea; la Germania rimane un partner essenziale che non va antagonizzato ma convinto e posto di fronte alle sue responsabilità; il trattato sulla disciplina di bilancio (fiscal compact) non può essere rinegoziato perché rappresenta una garanzia cui Berlino non rinuncerà; può essere invece completato: su questi aspetti (dichiarazione allegata, nuovo protocollo, impegno politico solenne) la diplomazia europea troverà una formula conveniente; concretezza dell’intesa sulla crescita in maniera che un’opinione pubblica inquieta, succube spesso dei partiti estremisti, la associ a iniziative tangibili; la realizzazione di progetti comuni di sicura fattibilità (infrastrutture anche immateriali, completamento del mercato interno, connessioni energetiche, collaborazioni culturali innovative) costituisce un compito enorme capace di mobilitare lavoro, energie, talenti, di motivare i giovani (raddoppio del programma Erasmus: ma cosa si aspetta per farlo?). In passato l’Europa ne è stata capace. Perché non riprendere subito il cammino interrotto con il progetto Galileo, ultimo vero progetto comune? Tre Paesi risoluti ed energici dovrebbero riuscirci, ancora nel 2012. La rapidità è fondamentale. La comunità internazionale guarda all’eurozona quasi con fastidio e all’Unione Europea con delusione perché rassegnata che il traguardo di un’Unione politica robusta non potrà essere raggiunto senza una politica estera, una capacità nella difesa, una politica di bilancio comuni. La finanza e la politica, soprattutto a Washington, sollecitano con impazienza segnali certi: il breve e il lungo termine si saldano nell’aspettativa di un percorso comune. Tutti nel mondo temono l’instabilità. L’Italia può raggiungere i propri obiettivi a condizione di muoversi nel solco della tradizione interrotta con l’avvento del governo Berlusconi nel maggio 2001. Avremo successo se non daremo l’impressione di lasciare sola la Germania, se lavoreremo con determinazione, se avremo identificato i settori dove può venirci incontro, se non ci scorneremo con problemi prematuri (il ruolo della Bce), se non strumentalizzeremo una eventuale vittoria di Hollande al secondo turno per ragioni di politica interna, se lo aiuteremo a restituire autorevolezza alle istituzioni comunitarie (ma arriverà a tanto una volta all’Eliseo?), se useremo la nostra tradizione d’equilibrio per rompere il circolo vizioso d’incomprensioni e risentimenti e non per ritagliarci un improponibile ruolo di mediatore. Occorre una scelta netta: Hollande va aiutato perché è una persona perbene e confida nell’unità europea (chi ha figli giovani deve crederci per forza), Merkel va appoggiata perché si è battuta molto per l’avanzamento dell’Europa. Speriamo che lo capisca anche la politica e che incalzi costruttivamente il governo su questa strada (le riforme strutturali) espellendo ogni forma di demagogia.
Il Corriere della Sera 27.04.12