Pronunciati ieri in pubblico in occasione delle celebrazioni del 25 aprile, i due quasi simultanei «no» alle elezioni anticipate di Napolitano e Monti dovrebbero aver chiuso, al momento, ma non si sa per quanto, tutto il gran discutere nei giorni scorsi di scioglimento delle Camere. Il Presidente della Repubblica e quello del consiglio hanno fatto due discorsi perfettamente complementari, dedicati rispettivamente alle incognite della situazione politica e di quella della crisi economica: ammonendo, il primo, dai rischi di un ritorno alle urne senza aver realizzato le riforme che i partiti si sono impegnati a fare nell’ultima fase della legislatura, anche per contrastare la crescente disaffezione verso la politica che emerge dall’opinione pubblica. E avvertendo, il secondo, che attualmente non ci sono alternative alla linea di rigore portata avanti dal governo, e solo insistendo senza indugi in questa direzione l’Italia può sperare di coglierne i primi frutti l’anno venturo: insistere, come da un po’ stanno facendo i partiti della maggioranza, sulla necessità di avviare subito una svolta verso la crescita, per il capo dell’esecutivo tecnico significa dunque ignorare le difficoltà che continuano a manifestarsi in tutta l’area euro e rendere di conseguenza più difficile l’azione del governo. Di qui l’invito di Monti ai partiti che lo sostengono a recuperare lo slancio costruttivo che fu proprio della classe dirigente uscita dalla Liberazione e dalla guerra.
Napolitano nel suo intervento a Pesaro ha anche fatto accenno esplicito ai timori per l’antipolitica e alla necessità di non lasciare spazio «a qualche demagogo», allusione che è parsa rivolta contro Grillo. E che fa capire, conoscendo l’abituale cautela del Presidente, che al Quirinale devono essere arrivati segni concreti dello stato di ansia in cui versano i partiti di fronte alla crescita, rivelata dai sondaggi, del movimento del comico ligure, ormai vicino a un livello di sicurezza, attorno all’8 per cento, ben più alto di qualsiasi sbarramento elettorale, si tratti del quattro per cento (otto su scala regionale per il Senato) prevista dall’attuale legge Porcellum, o di un eventuale innalzamento della soglia.
Nuovi casi di corruzione, uso e abuso del finanziamento pubblico dei partiti, riforme istituzionali per ridurre il numero dei parlamentari, differenziare i compiti delle Camere e rafforzare il ruolo del premier: ogni giorno che passa i tempi sono più stretti, ma questi restano i nodi attorno a cui i partiti non possono più permettersi di girare intorno.
La Stampa 21.04.12