C’era una volta la scala mobile, un meccanismo micidiale che legava automaticamente gli stipendi all’inflazione e creava, a sua volta, aumenti dei prezzi, la cosiddetta «spirale inflazionistica». Ma c’è qualcosa anche nel metodo attuale, che prevede che i sindacati e aziende negozino ogni tre anni gli aumenti in busta paga, che funziona male. A marzo si è registrata la differenza più alta tra la dinamica dei prezzi e quella delle retribuzioni da diciassette anni: ben 2,1 punti percentuali. Una sorta di «tassa occulta» che mina la capacità di spesa dei lavoratori e che incide negativamente sul costo della vita.
Mentre gli incrementi in busta paga sono stati dell’1,2 per cento rispetto a marzo del 2011 (e nulli mese su mese), ci fa sapere l’Istat, l’inflazione è aumentata del 3,3 per cento, spinta soprattutto dall’impennata del petrolio e delle materie energetiche. La differenza è del 2,1 per cento, appunto, la forbice più alta dal 1995, quando era stata del 2,4 per cento. L’incremento dell’1,2 per cento, peraltro, è il più alto dall’inizio delle serie storiche, dal 1983 (quando però c’era ancora la scala mobile). Anche il dato del primo trimestre degli aumenti degli stipendi è ai minimi: l’1,3 per cento rispetto al periodo gennaiomarzo del 2011.
Certo, il dato è influenzato dal congelamento dei rinnovi contrattuali decisi nel 2010 per gli statali – infatti nella rilevazione per macrosettori risulta che a marzo, tra i pubblici dipendenti, la variazione sull’anno precedente è stata nulla.Alcontrario,idipendenti del settore privato hanno beneficiato – se così si può dire, di buste paga più pesanti dell’1,7 per cento.
Ma un altro fattore che pesa, è che molti rinnovi attendono ancora di essere firmati: ben 36 (ma 16 nel pubblico), equivalente al 32,6 per cento dei dipendenti. Significa che ci sono 4,3 milioni di lavoratori in attesa di un adeguamento dei loro stipendi al costo della vita attraverso i negoziati sui contratti collettivi.
Il Codacons parla di una «tassa invisibile che dissangua sempre più gli italiani» e ha tentato un calcolo delle perdite effettive per una famiglia. «E’ come se una famiglia di tre persone avesse avuto una perdita equivalente a 720 euro (610 per una famiglia di 2 persone)» calcola il Codacons. In trincea anche i sindacati. Susanna Camusso osserva che le cifre fornite dall’Istat confermano che «le condizioni di reddito dei lavoratori continuano a peggiorare». La numero uno della Cgil ha ricordato che « i lavoratori pubblici sono al quarto anno di blocco dei contratti» e che molte «altre categorie rinnovano i contratti e gli accordi aziendali con grande difficoltà mentre sul potere d’acquisto pesa l’aumento delle tasse e il fiscal drag».
Intanto sono in arrivo ritocchi alla riforma dell’articolo 18. Alcune correzioni potrebbero essere apportate in Senato nel corso dell’esame in Commissione lavoro. «Il Pdl e il Pd non hanno presentato modifiche all’art. 18», il che conferma il fatto che «il “lodo ABC” tiene», ha spiegato il relatore Maurizio Castro (Pdl), anche se alcuni piccoli aggiustamenti potrebbero essere fatti in particolare sui licenziamenti disciplinari, limitando i poteri del giudice e correggendo le norme che potrebbero diminuire le tutele in appello per i licenziati. Per questi aggiustamenti non saranno i relatori a presentare gli emendamenti ma dovrebbe farlo il governo. Castro ha poi precisato che «vanno fatti due aggiustamenti». Uno sul disciplinare: la tipizzazione legale va espunta rispetto alla tipizzazione contrattuale e regolamentare. Mentre nel licenziamento economico bisogna fare in modo che la possibilità che la procedura conciliativa non possa essere elusa. In tutto sono 800 gli emendamenti depositati (300 solo della Lega) che da domani la Commissione deve affrontare.
La Stampa 25.04.12
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“Stipendi al palo, mai così male dall´83”, di Filippo Santelli
La crisi, per i lavoratori italiani, è nello scarto tra due velocità. Quella degli stipendi, congelati come mai era successo negli ultimi trent´anni. E quella dei prezzi che continuano a crescere a passo sostenuto. Gli stessi soldi per comprare più caro, il risultato è l´erosione del potere d´acquisto delle famiglie. La più marcata dal 1995 ad oggi, secondo i dati presentati ieri dall´Istat. Perché a marzo le retribuzioni orarie sono cresciute appena dell´1,2%. E con l´inflazione stimata al 3,3%, la forbice con i prezzi ha raggiunto i 2,1 punti. Non succedeva da 17 anni: «Una famiglia di due persone si ritrova, da un anno all´altro, con circa 610 euro in meno da spendere», spiega il Codacons, che ha provato a tradurre i dati in soldoni. «Un nucleo di tre persone ne ha persi 720. Si tratta di una specie di tassa invisibile che dissangua sempre di più i cittadini». Non solo una pressione fiscale in aumento dunque, a pesare sull´economia degli italiani è anche l´andamento dei salari. Di fatto bloccati nella prima parte dell´anno, secondo l´Istat: tra febbraio e marzo, per ora lavorata, non sono aumentati neppure di un centesimo. Il dato sui dodici mesi è positivo, ma appena dell´1,2%. Si tratta del valore più basso almeno dal 1983, da quando cioè l´Istituto ha cominciato la serie storica delle rilevazioni.
Non in tutti i settori le cose vanno altrettanto male. Dal dossier dell´Istat emerge che per i lavoratori del privato le retribuzioni orarie sono aumentate dell´1,7%, più della media. Chi ha un impiego nell´industria le ha viste crescere in un anno del 2,3%, con alcuni comparti, come il tessile e la chimica, vicini al 3, quasi al pari con l´inflazione. Discorso molto diverso per gli agricoltori, per i quali la cifra percepita a marzo 2012 è stata identica a quella del 2011. Crescita zero, così come per i dipendenti statali. Sono loro la categoria più penalizzata, anche a causa del blocco dei contratti della pubblica amministrazione previsto dalla manovra del 2010. L´andamento dei loro stipendi è piatto già da novembre dello scorso anno. E per tutto il 2012, prevede l´Istat, il trend non cambierà. Sulla base degli accordi collettivi in vigore, l´Istituto stima una crescita media dei salari dell´1,4%. Con agricoltura e statali sempre fermi a quota zero.
Qualche adeguamento salariale potrebbe arrivare con i rinnovi contrattuali. Non fosse che in Italia trovare un´intesa è missione sempre più lunga e difficile. A fine marzo quasi un lavoratore su tre era in attesa di una firma: 36 categorie in tutto con 4,3 milioni di persone interessate. Ma mentre nel privato questa condizione riguarda solo il 12,3% dei lavoratori, con una copertura quasi totale per agricoltori e operai, sono ancora una volta i dipendenti statali ad essere più esposti. Per legge, sempre la manovra del 2010, che ha bloccato i rinnovi nel pubblico fino al 2012. Così oggi l´intero settore è scoperto, circa 3 milioni di persone. E questo fa impennare il tempo medio richiesto in Italia per rinnovare gli accordi, voce che l´Istat chiama “tensione contrattuale”. Nel 2011 i mesi dalla scadenza al rinnovo erano 15,2: sono quasi raddoppiati a marzo 2012, diventando 27. In questo caso, senza grandi differenze tra lavoratori del pubblico e del privato.
La Repubblica 25.04.12