Rita Levi Montalcini ha compiuto ieri 103 anni. Giorgio Napolitano le ha mandato i più affettuosi auguri di compleanno. Lei ha festeggiato con un brindisi insieme ai suoi più stretti collaboratori. 103 è un numero intero positivo, è un «numero primo», il ventisettesimo per la precisione, ed è anche un «numero felice», il che significa che la somma dei quadrati delle sue cifre dà uno. Non che, da matematico, io sia particolarmente legata alla definizione di numero felice, tuttavia, poiché 103 sono gli anni compiuti ieri Rita Levi Montalcini, mi sento di poter festeggiare fin dalla definizione. 103 dunque è un «numero felice», molto. Ho incontrato Rita Levi Montalcini una sola volta, il 21 aprile del 2009, nella sua casa romana. Silvia Bencivelli, Costanza Confessore, Marco Motta e io l’allora redazione di Radio3 Scienza siamo andati a farle un’intervista in occasione dei suoi cento anni. Insieme a Rossella Panarese, il curatore della striscia quotidiana di scienza su Radio3, avevamo costruito la puntata (Voglio una Rita spericolata) intorno all’idea di un secolo di primati divisi tra ricerca scientifica e impegno civile. Circa due anni prima, il 10 ottobre 2007 dalle pagine della Repubblica Levi Montalcini aveva risposto a Francesco Storace, che proponeva di fornirle delle stampelle per la deambulazione sua e del governo, «A quanti hanno dimostrato di non possedere le mie stesse facoltà, mentali e di comportamento, esprimo il più profondo sdegno non per gli attacchi personali, ma perché le loro manifestazioni riconducono a sistemi totalitari di triste memoria». Impegno civile, sì. Il 21 aprile 2009 pioveva e io mi ero persa con la motocicletta dietro piazza Bologna, credo fossi emozionata. Come tutti quelli della mia generazione infatti, oltre a uno scienziato, a un senatore della repubblica, a un esempio ante litteram di espatrio dei cervelli, Rita Levi Montalcini era anche una elegante icona pop.
In effetti, successivamente all’assegnazione del Nobel nel 1986 per la medicina sulle sue ricerche degli anni cinquanta riguardo il fattore di accrescimento della fibra nervosa e il conseguente disegno da parte dello stilista Roberto Capucci dell’abito per la cerimonia del Nobel, Rita Levi Montalcini, pur non essendo un personaggio mediatico, ha cominciato ad appartenere a un immaginario estetico condiviso e riconoscibile, e in qualche modo, replicabile, non portava solo le sue ricerche, la storia degli ebrei italiani e della sua famiglia, ma pure un modo di vestire.
ICONA POP
Una icona pop, per l’appunto. Sono abbastanza certa di essere rimasta immediatamente colpita dalla sua sottigliezza, di fisico e di intelletto, e dalla sua eleganza. Noi eravamo in jeans e camicia, lei era vestita di raso nero, modello Capucci 1986. Io non la conoscevo personalmente e non la conosco neppure adesso, ma ho letto i suoi libri e le sue interviste. Non perché fosse una donna, perché avesse vinto il Nobel, e neppure perché, in seguito alla promulgazione delle leggi razziali fosse stata costretta a espatriare, e neanche perché, tornata dopo un breve espatrio a Bruxelles fosse tornata in Italia e avesse impiantato, nella sua camera da letto a Torino, un piccolo laboratorio nel quale continuare le ricerche. Io ho letto e seguito Rita Levi Montalcini perché nel suo ripetere, anche alla lectio del Nobel, di non avere avuto merito alcuno nella buona riuscita delle sue ricerche, ma solo una grande fortuna, mi ha insegnato che studiare è sinonimo di guardare, di essere (pre)disposti a cogliere le variazioni, di essere perennemente stupiti e grati di quello che accade intorno, nell’infinitamente piccolo degli embrioni di pollo, e fattore di scala dopo fattore di scala, nell’infinitamente umano della politica e della cosa pubblica. Levi Montalcini mi ha insegnato che la scienza è un punto di vista democratico sul mondo, quindi, oltre agli auguri, anche e un’altra volta, grazie.
L’Unità 23.04.12