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"Una scuola ripensata a misura di Lucignolo", di Elisabetta Rosaspina

Cura anime ferite, il professor Francesco Dell’Oro. Pazienti fragili che, fino a non molto tempo prima, sarebbero stati liquidati genericamente e irrevocabilmente come «lavativi». Li incontra ogni giorno. In genere, li riconosce al primo colpo d’occhio, quando entrano riluttanti o strafottenti nel suo ufficio, tappezzato di disegni umoristici, al Servizio orientamento scolastico del comune di Milano. Altre volte li individua nella platea attenta che lo aspetta nelle scuole milanesi per lasciarsi guidare nei misteriosi meandri dell’istruzione secondaria: genitori, insegnanti. E, ovvio, studenti. Ma lui preferisce definirli soltanto «adolescenti». Perché è dalla loro parte che si colloca, sempre, questo ex «pelandrone», predestinato una cinquantina d’anni fa a incidere targhe, medaglie e trofei dalle parti di Lecco. Più o meno quando una professoressa diagnosticò senza esitazioni, agli scrutini finali di terza media: «Francesco, la scuola non fa per te», e qualcuno gli indicò la via salvifica di una bottega.
Della scuola, il professor Dell’Oro è diventato invece un esperto. Da quel giudizio affrettato e sofferto, ha tratto utili cognizioni per trasformarsi nell’uomo-bussola che almeno mezzo migliaio di adolescenti utilizzano ogni anno per trovare o ritrovare la loro strada. Verso il successo. Anzi no, molto meglio: verso una possibile felicità. Ma, prima di tutto, verso il recupero dell’autostima, spesso sbadatamente disboscata dagli adulti, ancor prima di germogliare: «Chi ha avuto qualche difficoltà a scuola, ha più cartucce per capire e per stabilire una comunicazione attraverso il linguaggio degli adolescenti. Quello delle emozioni, più che delle parole»: così non riesce difficile a un professore di oltre 60 anni immedesimarsi nell’imbarazzo del ragazzino al primo banco, irriso dai compagni perché ha confessato di voler diventare un cuoco.
Cuoco? «No, chef, — spiega l’uomo-bussola alla classe — un esperto di scienza dell’alimentazione. Una specializzazione che offre molte opportunità». Come restituire la sua giusta dignità al sogno di un adolescente. Magari è meno facile convincerne i genitori, fissati con il mito del liceo classico, «perché apre la mente». Ma uno dei cardini dell’opera di orientamento del professore sta nella convinzione che la società non vada divisa fra poeti e meccanici.
Banalizzando un po’ si potrebbe ipotizzare che Dell’Oro, per professione e missione, raccolga gli ex scolari lasciati da Marcello D’Orta sulla soglia della scuola media assieme alle loro fatalistiche aspettative: «Io speriamo che me la cavo».
Ma Dell’Oro assicura che il suo libro, Cercasi scuola disperatamente. Orientamento scolastico e dintorni (in libreria da oggi per le edizioni Urra, pp. 210, 13) non è il seguito ideale del best seller napoletano, ormai ventenne, né si addentra in «quel tipo di disagio infantile». È piuttosto un viaggio nelle aule di oggi, visitate nel momento cruciale del passaggio dalla scuola secondaria inferiore a quella superiore, tra personaggi, caricature, situazioni paradossali, riflessioni storico-pedagogiche e tecniche «seduttive» di un estroso talent scout, allevato da un papà attore di teatro.
Nel suo ufficio o nell’aula magna di una scuola, e ora attraverso le pagine del libro, Dell’Oro attacca sempre in contropiede (ha anche una lodevole esperienza calcistica, sebbene maturata a detrimento del suo antico profitto scolastico). Ai genitori suggerisce: «Immaginate di essere affacciati a un oblò, una finestrella, e di osservare l’universo e in particolare quattro pianeti. Adolescenti, Famiglia, scuola, Lavoro. Vorrebbero restare uniti, ma si muovono in direzioni diverse, si allontanano oppure entrano in rotta di collisione. Il problema sta nelle differenze di linguaggio». Lui sceglie quello delle favole.
Bisogna saper spiazzare il Lucignolo di turno: «Sei un’anima bella, mi hai fatto una buona impressione». E lo dice con sincerità: «Anche quando gli elementi a mia disposizione per sostenerlo sono magari un po’ deboli. Ma sono davvero sicuro che tutti, proprio tutti, abbiano un talento. Non esistono i lavativi». Quell’atto di fiducia inatteso, unito alla sensazione insolita di non essere sotto accusa, pare smuova anche i più granitici scalda-banco, pietrificati da troppi giudizi espressi in cifre. A volte, curiose: «Stamattina ho saputo di un insegnante che ha gratificato un suo allievo di uno “0+”. E perché più, viene da chiedersi. “Per incoraggiarlo”, è stata la sua incredibile risposta».
Sarà stato il trauma infantile, ma Dell’Oro non sopporta i voti e, ancor meno, quelle sfumature («da bilancino del farmacista», dice) che consentono di attribuire un 4,9 a una traduzione di latino e un 2 meno, meno, meno; o addirittura un 5,95, assimilabile alla vecchia sufficienza per il rotto della cuffia.
«Non è una critica al corpo docente. Ci sono insegnanti di straordinaria sensibilità e dedizione. Ma la nostra scuola funziona bene per i ragazzi bravi, non per quelli meno tagliati per lo studio. La scuola per me dovrebbe essere come un pronto soccorso dove si cura chi sta male, non chi sta bene».
Lui comincia mimando ai ragazzi il loro pomeriggio, il tempo perso tra computer, telefonate, frigorifero, iPod. Non tanto diverso, nuove tecnologie a parte, da quello delle generazioni precedenti. La classe ride, sta allo scherzo che esorcizza le difficoltà, e accetta la sfida: proviamo a cambiare?
La conferma del risultato arriva di frequente via email: «Sono Carla, l’anima bella. Ho preso il mio primo 8. In francese!». Ma può capitare che non ne arrivino: «E allora — si adombra Dell’Oro — è una sconfitta per tutti».

Il Corriere della Sera 18.04.12

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