L’urgenza di una rifondazione della politica è sotto gli occhi di tutti. Esibizioni come quelle di Grillo (che ricordano le focose arringhe del giovane Bossi, ritrasmesse in brevi frammenti alla televisione mentre si ascoltano notizie giudiziarie clamorose sulla Lega) suscitano in moltissimi di noi reazioni giustamente preoccupate. Al centro la discussione sul finanziamento pubblico dei partiti: argomento spinoso (per il precedente del referendum e per il pessimo uso dei rimborsi elettorali), ma a proposito del quale vorrei almeno osservare che se il costume pubblico degli attori e dei controllori non cambia radicalmente, ogni altra soluzione, privata, semiprivata
ecc., oltre a porre al pluralismo democratico più problemi di quanti non intenda risolvere, sarebbe comunque a rischio di comportamenti illeciti dei quali i cittadini resterebbero ignari. «Chi controlla i controllori?» diceva Kant. Se non si diffonde nelle pubbliche istituzioni un costume di accettabile responsabilità e decenza, ogni altro provvedimento è inefficace. Non sarà mai la piazza un giudice efficiente ed equilibrato e nemmeno lo sarà qualche privato di supposta buona volontà che si dichiarerebbe disposto a mettere in piazza i propri affari e i propri interessi. La corruzione pubblica deve potersi risanare con operazioni e trasformazioni degli attori e controllori pubblici: è su questo che bisogna interrogarsi e non sognare fughe populistiche in avanti o reazionarie all’indietro (che poi sono il medesimo). È interesse di tutti che la politica trovi un ragionevole e trasparente appoggio economico pubblico: a questa esigenza la dialettica democratica non può sfuggire senza compromettere la sua vitalità e la sua ragion d’essere. Una reale rifondazione della politica passa necessariamente anche di qui.
Ma passa poi, da sempre, per il problema della partecipazione: democrazia e partecipazione sono due cose in una. E qui ci imbattiamo con un’altra serie di difficoltà. La prima è nella natura stessa della qualità della nostra vita sociale. Nelle democrazie altamente industrializzate i ritmi sempre più frenetici del lavoro e del cosiddetto tempo libero, divenuto esso stesso un «affare economico» di massa e un obbligo consumistico per tutti, lasciano ben poco tempo per una partecipazione attiva alla vita dei partiti e per una conoscenza approfondita dei problemi politici. Un altro dato preoccupante, che va nella stessa direzione, è la disaffezione dei giovani alla lettura dei quotidiani (non si dice dei libri): ormai l’acquisto del giornale è una questione «generazionale»; più la popolazione invecchia, meno giornali, a quanto pare, si vendono. Si diffondono altri sistemi di informazione, assai più rapidi e gratuiti; bellissima cosa, se a essa non seguisse una riduzione e un appiattimento della notizia. Anche la notizia diviene un evento spettacolare, conformisticamente regolato (e in mano per lo più a quei “privati” i cui capitali dovrebbero salvare la democrazia). Si aggiunga un fatto ben noto: che il moltiplicarsi esponenziale delle notizie di ogni genere che riempiono i nuovi media (dallo sport, alla moda, al costume, agli svaghi di massa, agli scandali, alla pornografia ecc.) genera un rumore di fondo il cui effetto è sostanzialmente quello di elidere l’incidenza stessa della notizia. Una fame onnivora di notizie sempre fresche cancella ogni desiderio di approfondimento e di reale coinvolgimento. Trascinata in questo fiume, anche la politica affonda in una esistenza precaria, governata dagli umori e dai clamori del momento e dalla regola del pressappoco. Ogni programmazione, ogni strategia di lungo termine diviene irrealistica, dal momento che essa comunque non riuscirebbe a incidere sulla comprensione razionale degli elettori.
Se questi sono alcuni dei problemi, è evidente che una rifondazione della politica deve affrontare il tema delle modalità effettive della vita democratica nei partiti e nel Paese. Occorre trovare nuove forme di partecipazione e di dialogo, mettendo a frutto gli attuali mezzi di comunicazione e di informazione, ma senza farsene stravolgere. Anche per questo, pubbliche risorse sono indispensabili.
L’UNità 18.04.12