Sul sito del Pd un articolo pone il problema: se si applica il curricolo di istruzione obbligatorio verticale, continuo e progressivo di dieci anni, con l’esame di terza media non si concludono gli studi perché i nostri alunni devono ancora assolvere l’obbligo per altri due anni. E allora l’esame può essere eliminato. Una riforma che si può fare subito. “A che serve una licenza media oggi, quando il minimo che si richiede a un cittadino è la certificazione di un obbligo decennale? Gli insegnanti della scuola primaria e media potrebbero più semplicemente adoperarsi perchè i traguardi per lo sviluppo delle competenze – quelli di cui alla Indicazioni di Fioroni – venissero raggiunti o avvicinati, in funzione di quelle competenze che i loro colleghi del successivo biennio avranno cura di far acquisire e di certificare. Questa riforma semplice, si può fare subito.”
A queste conclusioni l’articolo sul sito del Pd arriva dopo avere esaminato sia il ruolo del docente, che non può essere considerato una sorta di sergente che elargisce pene e premi, e sia quello più in generale della scuola che non tiene conto della condizioni sociali in cui essa stessa opera.
La scuola deve essere il mezzo per la crescita individuale e collettiva della nazione, per cui, come suggerisce l’Ocse, bisogna investire in istruzione di qualità aumentando il tempo scuola ed evitando i danni della bocciatura, inutile e dannosa (ricordiamo un seminario promosso dall’And dal titolo:Perché mi bocci?), e che fa aumentare gli abbandoni.
Il successo scolastico dipende in larga misura dalle condizioni economiche e sociali, per cui la scuola cosiddetta “selettiva”, perpetua all’infinito l’immobilità sociale di cui è affetto il nostro Paese.
Anche la Fondazione Agnelli ha certificato che “il retroterra socio-economico e culturale è ancora una discriminante, sia in termini di accesso che di successo formativo”.
E aggiunge pure che se l’intera popolazione italiana conseguisse un diploma di scuola superiore, eliminando il fenomeno degli abbandoni scolastici, e se il paese riuscisse a fare buon uso di questa ulteriore dotazione di capitale umano, si produrrebbe un incremento del tasso di occupazione pari al 6,3% (circa 1.300.000 occupati in più) e un reddito aggiuntivo di 70,7 miliardi di euro per anno, pari a circa il 4% del PIL.
Se bocciare dunque, viola in qualche modo il compito che la Costituzione assegna alla scuola: il diritto di tutti al “pieno sviluppo della persona umana”, rimuovendo gli “ostacoli di ordine economico e sociale”, che limitano “la libertà e l’uguaglianza dei cittadini”, non bocciare deve essere sostituito con la valutazione delle competenze e, soprattutto, nel senso di prevenire i disagi; non bocciare “significa seguire il cammino di ogni studente attraverso sistemi relazionali adeguati, supportare le difficoltà, creare percorsi di valorizzazione e incentivo; tutto questo suppone una scuola migliore, con un organico funzionale, con risorse sufficienti, con un sistema complesso che metta insieme diverse necessità: un maggiore raccordo curricolare tra i due segmenti scolastici la formazione dei docenti, l’uso delle nuove tecnologie (quanti disagi nascondono semplicemente la richiesta di un rinnovamento della didattica?), un’architettura e un’urbanistica scolastica tutta da rifare e anche un nuovo patto famiglie-scuola.
Sono anni che parliamo di un curricolo di istruzione obbligatorio verticale, continuo e progressivo della durata di dieci anni e quindi con l’esame di terza media non si concludono gli studi perché i nostri alunni sono tenuti a proseguirli per l’assolvimento dell’obbligo per altri due anni. Quell’esame di terza media, che non conclude nulla da quando abbiamo innalzato a 16 anni l’obbligo scolastico, può essere eliminato.
A che serve una licenza media oggi, quando il minimo che si richiede a un cittadino è la certificazione di un obbligo decennale? Gli insegnanti della scuola primaria e media potrebbero più semplicemente adoperarsi perchè i traguardi per lo sviluppo delle competenze – quelli di cui alla Indicazioni di Fioroni – venissero raggiunti o avvicinati, in funzione di quelle competenze che i loro colleghi del successivo biennio avranno cura di far acquisire e di certificare. Questa riforma semplice, si può fare subito.”
La Tecnica della Scuola 18.04.12
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Bocciare costa
Il ruolo dell’insegnante non è quello del sergente di caserma che premia o punisce. L’Ocse invita l’Italia a investire in educazione di qualità per fermare la dispersione scolastica. Chi vede nel docente una sorta di sergente di brigata che boccia e premia, ha una visione della scuola forse poco adeguata alla società del terzo millennio.
Se si guarda alla scuola come leva per la crescita
individuale e del Paese, e non con gli occhiali deformati dell’ideologia, non si possono che condividere le indicazioni date dall’ Ocse al nostro Paese per dimezzare il tasso drammatico di dispersione scolastica entro il 2020: non è utile, ma forse
dannoso, bocciare gli studenti, occorre piuttosto investire in educazione di qualità sin dalla prima infanzia, aumentare il tempo scuola (sig!).
Bocciare non serve a migliorare: sappiamo che solo il 2 o 3% degli studenti avrà un beneficio reale dalla ripetizione di un anno scolastico, ma la maggior parte di essi finirà in quel 21% di drop-out che penalizza l’Italia, una vera zavorra che peserà sulle spalle di tutti noi, quando dovremo tentare di includere coloro che avremo perso per la strada, in modo senz’altro meno efficace e senz’altro più costoso dell’Istruzione.
Se la bocciatura non migliora i ragazzi, tanto meno finisce col premiare il merito. Chi sostiene che bocciare è un modo di selezionare, è convinto che “la scuola non è per tutti”.
Non si tiene conto, però, che questa supposta selezione è pesantemente falsata da una serie interminabile di fattori, a cominciare dalle origini economico sociali della famiglia di origine e dal contesto territoriale in cui si è nati che in Italia ancora oggi incide sia sul rendimento e sul successo formativo e scolastico, sia sulle scelte dopo la scuola secondaria di primo grado.
Difficile, insomma, pensare che si tratti davvero di una selezione per ‘merito’. La scuola “selettiva” non fa altro che perpetuare all’infinito l’immobilità sociale di cui è affetto il nostro Paese. Per riattivare l’ascensore sociale di cui abbiamo bisogno, chiediamo agli insegnanti di combattere per la scuola del “non uno di meno”.
La Fondazione Giovanni Agnelli ci dà indirettamente una risposta, quando nel suo Rapporto sulla Scuola in Italia 2010 premette che le pari opportunità di accesso all’istruzione secondaria e terziaria sono ancora ben lungi dall’essere garantite, e osserva che “il retroterra socio-economico e culturale è ancora una discriminante, sia in termini di accesso che di successo formativo”.
E prosegue: “I figli dei genitori laureati e provenienti da gruppi sociali più elevati, non solo sono meno affetti dal fenomeno degli abbandoni scolastici, ma si concentrano in precise filiere educative (i licei) (…) Chi ha un retroterra svantaggiato, invece, si orienta o viene indirizzato, con una forma di selezione negativa, verso percorsi formativi ad alto tasso di dispersione (…) I destini occupazionali dei ragazzi si divaricano e la mobilità sociale diventa un miraggio”.
Dovremmo chiederci infatti, senza alibi e coperture ideologiche, se bocciare non contribuisca a vanificare il compito che la Costituzione assegna alla scuola: quello di rendere concreta la democrazia, offrendo a tutti il diritto al “pieno sviluppo della persona umana”, rimuovendo gli “ostacoli di ordine economico e sociale”, che limitano “la libertà e l’uguaglianza dei cittadini”.
L’immobilità sociale ha un costo, e non solo in termini di ‘giustizia sociale’. Secondo gli stessi dati della Fondazione Giovanni Agnelli, se l’intera popolazione italiana conseguisse un diploma di scuola superiore, eliminando il fenomeno degli abbandoni scolastici, e se il paese riuscisse a fare buon uso di questa ulteriore dotazione di capitale umano, si produrrebbe un incremento del tasso di occupazione pari al 6,3% (circa 1.300.000 occupati in più) e un reddito aggiuntivo di 70,7 miliardi di euro per anno, pari a circa il 4% del PIL.
Ripetizione degli anni e dispersione sono strettamente connessi e rappresentano uno spreco di capitale umano rilevante, dunque.
Non bocciare non vuol dire, però, permissivismo e lassismo, né significa abbassare la qualità, anzi è esattamente il contrario.
Non bocciare significa valutare le competenze e, soprattutto, prevenire i disagi, significa seguire il cammino di ogni studente attraverso sistemi relazionali adeguati, supportare le difficoltà, creare percorsi di valorizzazione e incentivo; tutto questo suppone una scuola migliore, con un organico funzionale, con risorse sufficienti, con un sistema complesso che metta insieme diverse necessità: un maggiore raccordo curricolare tra i due segmenti scolastici la formazione dei docenti, l’uso delle nuove tecnologie (quanti disagi nascondono semplicemente la richiesta di un rinnovamento della didattica?), un’architettura e un’urbanistica scolastica tutta da rifare e anche un nuovo patto famiglie-scuola.
Sono anni che parliamo di un curricolo di istruzione obbligatorio verticale, continuo e progressivo della durata di dieci anni, condivido dunque quanto suggerito di recente da Maurizio Tirittico ad uno dei nostri Forum dedicato alla scuola media: con l’esame di terza media non si concludono gli studi perché i nostri alunni sono tenuti a proseguirli per l’assolvimento dell’obbligo per altri due anni. Quell’esame di terza media, che non conclude
nulla da quando abbiamo innalzato a 16 anni l’obbligo scolastico, puo’ essere eliminato.
A che serve una licenza media oggi, quando il minimo che si richiede a un cittadino è la certificazione di un obbligo decennale? Gli insegnanti della scuola primaria e media potrebbero più semplicemente adoperarsi perchè i traguardi per lo sviluppo delle competenze – quelli di cui alla Indicazioni di Fioroni – venissero raggiunti o avvicinati, in funzione di quelle competenze che i loro colleghi del successivo biennio avranno cura di far acquisire e di certificare. Questa riforma semplice, si può fare subito.
www.partitodemocratico.it
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“Via l’esame di terza media e poi?”, di Reginaldo Palermo
La proposta di Francesca Puglisi (PD) appare (in teoria) interessante, ma è davvero praticabile? E, soprattutto, è una cosa semplice semplice come lei sostiene? I nodi da sciogliere sono davvero molti, forse troppi.
Come spesso accade, la politica tende a semplificare un po’ troppo il dibattito sui problemi della scuola. E quando il dibattito è semplificato anche le soluzione che vengono proposte tendono ad essere un po’ approssimative.
E’ il caso dell’ultima sortita della responsabile scuola del PD Francesca Puglisi che sostiene che una riforma semplice semplice ma particolarmente efficace potrebbe essere quella di eliminare l’esame di stato di terza media spostandolo al compimento del 16° anno di età degli studenti e cioè – afferma Puglisi – a conclusione dell’obbligo scolastico.
Purtroppo la faccenda non è così semplice.
Intanto la collocazione dell’esame di stato è prevista da una norma costituzionale e cioè precisamente dal 3° comma dell’articolo 33 (“E’ prescritto un esame di Stato per la ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale”).
La strada da percorrere è dunque quella della revisione di una norma costituzionale che non sembra proprio una cosa semplice semplice.
Si dirà: l’abolizione dell’esame di quinta elementare non ha richiesto nessuna revisione della Costituzione. Certo, ma all’epoca della Moratti venne approvata una riforma che istituiva il I ciclo di istruzione comprendente scuola primaria e secondaria di primo grado, con un Pecup unico e così via.
Di conseguenza la scuola primaria cessò di essere ciclo scolastico autonomo con relativo esame di stato finale.
Spostare l’esame di terza media al termine dell’obbligo scolastico è ipotesi certamente suggestiva che in molti, anche all’interno del PD, condividerebbero.
Ma c’è un piccolo particolare: per fare questo senza cambiare la Costituzione bisognerebbe istituire un unico ciclo di “scuola dell’obbligo” che parte dal primo anno della primaria e si conclude nel momento in cui cessa l’obbligo.
E qui nasce il problema: nel concreto, al termine di quale classe si dovrebbe fare l’esame di Stato?
Non dimentichiamo, infatti, che la legge attuale prevede che l’obbligo di istruzione si possa assolvere anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale e senza contare che il comma 8 dell’articolo 48 del decreto n. 183/2010 estende questa possibilità ai percorsi di apprendistato.
Insomma una bella complicazione, altro che “riforma semplice semplice”.
A meno che Puglisi non voglia proporre una soluzione ancora diversa: biennio unico per tutti (obbligatorio) dopo la terza media con esame di stato finale.
Questa sarebbe certamente una soluzione lineare, ma abbiamo qualche dubbio che sul piano politico la questione sia davvero semplice. Sull’ipotesi del biennio unico, che trova ampi consensi nel mondo sindacale e in settori significativi del centro-sinistra, si discute da almeno 15 anni, ma l’accordo ci sembra ancora molto lontano.
La Tecnica della Scuola 18.04.12