Il 2012 è un anno simbolico e carico di aspettative. Simbolico perché denso di anniversari fatidici per la nostra storia. Perché si ricorda la morte, trent’anni fa, di un uomo politico come Pio La Torre che, fra i primi, aveva ben chiaro che la politica dovesse fare della lotta alla mafia la sua priorità.
E dovesse farlo non delegando alla magistratura impropri compiti di supplenza, ma nel contempo fornendole strumenti idonei per colpire della mafia la struttura militare e le risorse economiche. E si ricorda, dello stesso 1982, la lezione istituzionale e culturale di un uomo dello Stato rimasto troppo solo come il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa. Ed è anno cruciale perché si deve ricordare il ventennale dello stragismo corleonese esploso a Palermo, momento tragico della nostra storia che diede luogo tuttavia a una stagione di impegno e di riscatto.
Da allora non c’è dubbio che la lotta alla mafia ha fatto molti passi avanti, sia sul piano dei risultati repressivi che su quello della sensibilizzazione di settori sempre più ampi dell’opinione pubblica. Ma perché, oggi, sebbene sia fortemente calato il tasso di impunità dei boss mafiosi, tanto che i latitanti più pericolosi si contano sulle punte delle dita di una sola mano, e nonostante l’imponenza dei patrimoni illeciti confiscati dallo Stato, le mafie non sono affatto sul viale del tramonto? Per una ragione molto semplice. Per aver dimostrato, ancora una volta, una straordinaria capacità di adattamento. L’esperienza della reazione repressiva post-stragista ha indotto il sistema criminale mafioso a mutare strategia, ed ecco come si spiega l’inabissamento che ha comportato la tregua armata, e nel contempo l’investimento di tutte le energie criminali nella finanziarizzazione del fenomeno e nell’espansione dell’economia mafiosa che ha avviato un processo di colonizzazione del Nord e di penetrazione e integrazione nell’economia delle regioni più ricche, che può definirsi come forma di mafiosizzazione del Paese. Mafiosizzazione, che ha trovato terreno fertile nella scarsa diffusione della cultura della legalità nei piani alti della società italiana, che si rivela nella capillarità di un sistema corruttivo, pubblico e privato, senza precedenti nella nostra storia.
E l’antimafia? L’antimafia non ha fatto tesoro di una delle lezioni fondamentali lasciata dai maestri il cui anniversario della morte si ricorda proprio in questi mesi: saper analizzare le evoluzioni del fenomeno ed elaborare nuove strategie. Contro una mafia che militarmente è in tregua non può più bastare l’antimafia della repressione. Contro una mafia che cerca convivenza occorre opporre una strategia della convenienza dell’antimafia. Che significa antimafia della convenienza? Significa voltare pagina. Significa stimolare gli operatori economici a prendere le distanze dalla tentazione di integrarsi con i processi illegali della mafia e della corruzione. Significa premiarli con meccanismi come il rating antimafia proposto da Antonello Montante. Significa essere consapevoli che il più importante fattore di crescita, di cui ha bisogno l’economia nazionale in questo grave momento di crisi, è la crescita del tasso di legalità del Paese.
Elevare il tasso di legalità nel mondo dell’economia premiando le imprese che agiscono dentro le regole significa, infatti, metterle nelle condizioni di non essere svantaggiate rispetto a quelle che dalle relazioni privilegiate col sistema criminale della mafia e della corruzione traggono benefici. Significa ristabilire sani principi di competitività e di correttezza, ripristinare le regole del libero mercato e consentire alle aziende davvero valide e sane ad affermarsi ed emarginare le imprese che finora occultano la loro debolezza aziendale sopravvivendo ed ingrassando solo per la carica di illegalità di cui si avvalgono, che costituisce la zavorra del nostro sistema economico e quindi ne impedisce la crescita. Crescita, peraltro, che è ostacolata anche dall’immagine negativa che l’Italia si è conquistata nel mondo. Certo è che un Paese con un tasso di illegalità così alto, con una presenza così diffusa sull’intero territorio nazionale di un’economia mafiosa e di un sistema di corruzione privata e pubblica così capillarmente diffuso, e con una giustizia così lenta e poco efficiente, non può che scoraggiare qualsiasi operatore economico straniero ad investire.
Se vogliamo riscattare la nostra immagine internazionale, che negli ultimi anni si è offuscata, non abbiamo altra strada che quella di dimostrare una seria volontà, con risultati effettivi, di liberarci del peso delle mafie e della corruzione. E per fare questo occorre una vera ed efficace riforma della giustizia, e della legislazione antimafia e anticorruzione, per rendere davvero conveniente la legalità. Proporsi nel mondo come modello di legalità. Nella storia più nobile del nostro Paese abbiamo uomini riconosciuti nel mondo proprio come modelli di riferimento. Un patrimonio ideale ed etico al quale abbiamo il dovere di attingere per progettare e costruire un Italia migliore, nel segno della convenienza della legalità.
L’Unità 16.04.12