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"Lusi, altri 13 milioni sospetti", di Mariantonietta Colimberti

Altri 13 milioni di euro sospetti sono stati evidenziati dall’esame della contabilità 2001-2011 della Margherita effettuato dalla Kpmg, la società di consulenza la cui relazione è stata depositata ieri in procura di Roma dai legali del partito, Margherita Titta Madia e Alessandro Diddi. La cifra riguarderebbe operazioni per gli anni dal 2001 al 2007, sulle quali non sono state effettuate ulteriori verifiche in attesa che si esauriscano le attività di controllo dell’Autorità giudiziaria e della Banca d’Italia.
Dalla relazione emergono anche altri particolari relativi alla gestione dei fondi della Margherita da parte di Luigi Lusi. Come gli oltre 800mila euro di spese non documentate, solo per il 2011. «Dall’esame della situazione contabile dell’esercizio 2011 – si legge nel documento di cinque pagine – risultano spese per viaggi e trasferte elettorali pari ad euro 869.428 che si riferiscono a centinaia di assegni di piccolo taglio (inferiori ai 12mila euro) emessi dal tesoriere sul conto corrente acceso presso Bnl».
Secondo i consulenti tali assegni sono registrati in contabilità «senza alcun documento a supporto della spesa sostenuta». Ci sono poi le fatture emesse, sempre nel 2011, con descrizione generica di una agenzia di viaggi di Roma, per un valore complessivo di 228mila euro. Nel documento si precisa che l’agenzia di viaggi ha fornito tutta la documentazione dalla quale è emerso che le fatture sono riconducibili a servizi di viaggio fruiti da Lusi e/o persone a lui riconducibili.
Nell’esercizio 2011 sono state rinvenute anche fatture emesse dall’agenzia Leader per servizi di aereo-taxi di cui una, presumibilmente riconducibile all’ex tesoriere, per la tratta Roma-Biggin Hill (Londra)-Roma svolta il 29 e 30 marzo 2011 al costo di 15mila euro. «Prosegue il rigoroso accertamento di tutta la verità in costante collaborazione con gli inquirenti. Siamo determinati a recuperare per intero il maltolto per restituirlo ai cittadini», hanno dichiarato in una nota Francesco Rutelli, Enzo Bianco e Gianpiero Bocci.

da Europa Quotidiano 13.04.12

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“AL DI SOTTO DI OGNI SOSPETTO”, di MASSIMO GIANNINI

POSSIAMO battezzare la fase con altre parole, e non evocare precedenti storici troppo «impegnativi»: Questione Morale, Tangentopoli, Mani Pulite.

Ma non possiamo non vedere che ancora una volta il fatiscente Palazzo d’Inverno della politica è assediato da una «batteria» impressionante di inchieste della magistratura. E non possiamo non vedere che la risposta della politica, dalle norme anti-corruzione a quelle sui rimborsi elettorali, è paurosamente lenta, inadeguata, al di sotto di ogni sospetto.

L’assedioè nei fatti. Dalla Carrocciopoli di casa Bossi alle nuove carte che inchiodano Berlusconi sul Ruby-gate. Dallo scandalo della ex Margherita di Lusi all’indagine sulla sanità nella Puglia di Vendola. L’assedio è nei numeri. In quest’ultima legislatura, i parlamentari indagati e/o condannati per corruzione, concussione, truffe e abusi d’ufficio sono stati 90, di cui 59 del Pdl, 13 del Pd e 8 dell’Udc. Nello stesso periodo, gli amministratori locali coinvolti da inchieste giudiziarie per gli stessi reati sono stati circa 400, di cui 110 del Pd e quasi il triplo del Pdl. Il garantismo è un presidio irrinunciabile della democrazia liberale: nessun imputato è colpevole finché la sentenza non è passata in giudicato. Ma di fronte a questi fatti e a questi numeri non si può non constatare che la democrazia liberale ha un problema enorme, e che i partiti non trovano la forza e la voglia di risolverlo.

La vicenda della nuova disciplina sul finanziamento ai partiti è penosa. Gli «sherpa» di Pdl, Pd e Terzo Polo hanno annunciato in pompa magna un accordo bipartisan. Pochi punti, ma «qualificanti»: certificazione dei bilanci a cura delle società di revisione, controllo affidato a una nuova «Commissione per la trasparenza», obbligo di pubblicizzare le donazioni private superiori ai 5 mila euro, sanzioni fino a tre volte gli importi non dichiarati, sospensione del versamento dell’ultima «rata» da 166 milioni di rimborsi dovuti ai partiti nel prossimo luglio. Hanno promesso solennemente: faremo un emendamento al decreto legge sulle semplificazioni.

Oggi il bluff è già scoperto. L’emendamento al decreto è giuridicamente inammissibile: abbondano i requisiti «di necessità», ma mancano quelli «di urgenza», come avrebbe previsto una qualunque matricola di giurisprudenza. Si ripiega sul solito disegno di legge, appeso ai tempi insondabili del Parlamento. Il ddl porta una firma autorevole, perché «tripartisan»: Alfano, Bersani e Casini. Ma al di là del suo valore simbolico, è un pannicello caldo sul corpo martoriato della politica: i partiti, qui ed ora, non si riducono un euro di rimborso. E dal testo scompare persino il rinvio del versamento della rata di luglio. Si passa dal decreto-fantasma al disegno di legge truffa. Non ci si può stupire se gli italiani, già pronti a pagare la stangata dell’Imu, si indignano. Non ci si può rammaricare se i populisti, a destra e a sinistra, si ingrassano. La vicenda della nuova disciplina contro la corruzione è pericolosa. Un timidissimo disegno di legge presentato dall’allora maggioranza forzaleghistae pluri-inquisita giace alla Camera dal maggio 2010. Ora, sull’onda dei furori di popolo alimentati dal malaffare dilagante, il governo Monti tenta un’accelerazione. Ma le nuove norme del ministro Guardasigilli Severino sono un impasto di buone intenzioni e di cattive soluzioni. Tra le prime, spiccano l’inasprimento delle pene per tuttii reati di natura corruttiva, dalla «corruzione privata» alla corruzione in atti giudiziari, dal peculato all’abuso d’ufficio, e poi l’introduzione del nuovo reato di «traffico di influenze» (che sarà punito fino a tre anni e colpirà «il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che fa promettere a sé o ad altri denaro o altra utilità»).

Tra le seconde, campeggia la riscrittura dell’articolo 317 del codice penale, cioè la «riforma» del reato di concussione. Una revisione spacciata dal centrodestra con una bugia: «Ce lo chiede l’Ocse e l ‘ E u r o p a » , c o m e h a non casualmente scritto «Il Giornale» della f a m i g l i a Berlusconi il 26 marzo scorso, in un’intervista al presid e n t e d e l gruppo di lavoro sulla corruzione Mark Pieth, i n t i t o l a t a «La concuss i o n e è u n ‘ i n v e n zione italiana». La verità, come ha spiegato il direttore del Servizio studi Davide Bonucci al Sole 24 Ore, è che «l’Ocse non ha mai chiesto all’Italia di eliminare la concussione». Nonostante questo, la «strana» maggioranza vuole eliminarla. Il Pd ha presentato a suo tempo una proposta che va proprio in questa direzione. La Severino ha dovuto cercare una mediazione. Il testo attuale prevede una pena fino a 12 anni per chiunque, abusando della propria posizione di pubblico ufficiale, ottenga da un altro soggetto denaro o altri vantaggi per sé o per un terzo. Il nuovo testo cancella questo reato, e lo riconfigura in due reati diversi: la concussione «per costrizione» (per la quale la pena massima resta di 12 anni ma la minima sale da 4 a 6) e la «indebita induzione» (per la quale la pena si riduce da un minimo di 3 a un massimo di 8 anni). Al di là dei tecnicismi, quello che conta è il risultato pratico di questa riformulazione del codice, che mette stranamente d’accordo sia il Pdl che il Pd. La nuova norma impatta su tutti i processi in c o r s o p e r concussione, che sono quasi un terzo dei 90 nei quali sono stati e sono c o i n v o l t i deputati e senatori e q u a s i l a metà degli oltre 400 che riguardano gli amministratori locali. Ma tra i processi in corso che rischiano di venire stravolti ce n’è soprattutto uno, che da solo spiega l ‘ i n t e r a «operazione»: è il processo di Berlusconi a Milano per il caso Ruby, che oltre alla prostituzione minorile vede l’ex premier imputato proprio per concussione, cioè per la famosa telefonata alla questura di Milano in cui chiese e ottenne da un funzionario il rilascio della papi-girl marocchina perché «nipote di Mubarak». Incidentalmente, ma finoa un certo punto, trai processia rischio c’è anche quello che riguarda l’ex vicepresidente del Consiglio regionale lombardo del Pd Filippo Penati,a sua volta imputato per concussione nella vicende delle aree ex Falck.

Ma è chiaro che quello che muove il sistema è soprattutto il destino giudiziario del Cavaliere.

Se al Ruby-gate fosse applicata la nuova norma, nella peggiore delle ipotesi salterebbe il processo. Nella migliore il reato addebitato all’ex premier non sarebbe più la concussione, ma l’«indebita induzione», per la quale si ridurrebbe non solo la pena, ma anche (e soprattutto) la prescrizione, che scenderebbe da 15 a 10 anni. Con un risultato paradossale: quello di contraddire i precetti dell’Ocse e della Ue (che invece ci chiedono di aumentare la prescrizione) e quindi di sconfessare il «movente» affermato per giustificare la riforma. Dunque, c’è da chiedersi il perché di questa strana rincorsa a «derubricare» un reato che può avere effetti devastanti, non solo sul piano giudiziario, ma anche dal punto di vista dell’immagine che la politica dà di sé, in questa lunga notte della Repubblica .

Ma c’è di più, e c’è di peggio. Nel negoziato sulla giustizia, oltre alle norme anti-corruzione, tornano di prepotenza anche quelle sul giro di vite delle intercettazioni telefoniche e sulla responsabilità civile dei magistrati. Misure che il Pdl torna ad usare come minaccia o come «merce» di uno scambio scellerato. Forzature irricevibili, e tanto più insopportabili in un momento come questo. L’opinione pubblica chiede verità e trasparenza. Alla vigilia di una tornata di amministrative che porterà alle urne 9 milioni di italiani, e poi del voto nazionale del 2013, gli elettori hanno il diritto di sapere se il candidato che stanno per votare ha pendenze giudiziarie.

La politica non può ricadere nei vecchi ricatti berlusconiani, rispondendo a questa domanda di legalità della società civile con le leggi ad personam o le leggi-bavaglio. Sarebbe un colpo di coda da «casta». L’ultimo, prima dello tsunami dell’anti-politica.

La Repubblica 13.04.12