SE è vero che il mare copre il settanta per cento del pianeta, ed è fondamentale per l’equilibrio ecologico e per la vita dell’uomo, dovremmo preoccuparci di difenderlo meglio. Per tutelare innanzitutto la nostra stessa salute. E invece, lo consideriamo troppo spesso una pattumiera o addirittura una discarica a cielo aperto. Per un disastro ambientale evitato, come sembra fortunatamente accaduto ieri nel porto di Taranto, la verità è che tanti altri ne rischiamo ogni giorno intorno alla Penisola. Il mare è il più grande bene comune di cui dispone l’umanità ed esige senz’altro una vigilanza più adeguata: tanto più da parte di un Paese che, isole comprese, ha circa 7.500 chilometri di coste da salvaguardare. Una risorsa naturale, ma anche turistica ed economica, da cui dipende direttamente la sopravvivenza materiale di una buona parte della comunità nazionale.
Abbiamo ancora sotto gli occhi, purtroppo, il naufragio della Costa Concordia davanti al Giglio per non lanciare di nuovo l’allarme. Lì si trattava di una gigantesca nave da crociera, nient’affatto marina, una città galleggiante di dimensioni spropositate che trasportava passeggeri in vacanza; qui si tratta invece di un mercantile che doveva caricare coils, laminati d’acciaio, prodotti da un’ex “cattedrale nel deserto”. Ma in realtà non fa differenza. E poco importa, in fondo, che in questo caso lo sversamento di carburante sia avvenuto per una falla, per un errore di procedura o per qualsiasi altra causa.
È confortante apprendere che il sistema di protezione sia scattato tempestivamente, che le operazioni di disinquinamento siano iniziate subito e che la grande “macchia nera” sia stata già circoscritta. «La situazione è sotto controllo», assicura il mantra della Capitaneria di porto, secondo una liturgia planetaria dei disastri ambientalia cui ab biamo assistito fin troppe volte.
Sappiamo, però, che la bonifica durerà alcuni giornie auguriamoci che venga eseguita in modo rapido e completo per evitare danni ulteriori. L’allarme, tuttavia, non può finire qui. Dalle denunce di Greenpeace e di Legambiente, sappiamo anche che i tagli disposti dal governo sul bilancio del ministero dell’Ambiente (e della tutela del Territorio e del Mare, secondo la denominazione ufficiale) hanno ridotto drasticamente i fondi per la prevenzione e peri controlli.E sappiamo pure- come protesta il leader dei Verdi, Angelo Bonelli, candidato sindaco proprio a Taranto – che questo non è il primo incidentee il problema resta quello di “liberare il golfo dal petrolio”, qui e altrove.
Navi da crociera o mercantili che siano, tutte le grandi imbarcazioni commerciali sono cisterne naviganti e rappresentano perciò un pericolo potenziale. Senza dimenticare, poi, le petroliere vere e proprie che attraversano abitualmente le oasi marine e perfino la laguna di Venezia. Molte di queste navi sono vecchie, obsolete, classiche “carrette del mare”, prive di moderni apparati e dotazioni di sicurezza. E troppe continuano a seguire impunemente rotte proibite, mettendo a rischio l’ambiente e le coste.Nel naufragio della Costa Concordia, abbiamo scoperto recentemente la figura grottesca del comandante Schettino e il rito assurdo del cosiddetto “inchino”. Ma quand’è che impareremo finalmente a inchinarci alla forza del mare? A rispettarlo e a difenderlo? A mettere in giro navi più sicure e magari ad affidarle a mani più sicure? Saremo anche un “popolo di navigatori”, come recitava la retorica del regime, ma forse dobbiamo ancora cominciare a conoscere e ad amare realmente il mare.
La Repubblica 13.04.12