Sospiri e sussurri, al massimo un sms che fa più moderno. Saranno gli interessi coinvolti, saranno le ire di Mediaset, ma sul beauty contest vale la regola del mezzo silenzio: bocche cucite tranne qualche fazzoletto lasciato cadere con sapienza a metà del ballo. Così, aspettando il 19 aprile, quando scadrà la moratoria decisa dal governo, il ministro Passera fa sapere che le nuove frequenze tv, quelle liberate nel passaggio dall’analogico al digitale, non saranno più regalate come prevedeva un decreto del governo Berlusconi, ma vendute all’asta. Con una frase recapitata a Repubblica (qualcuno parla di un sms) il ministro delle Comunicazioni “comunica” che la decisione è presa.E che il concorso di bellezza, singolare meccanismo che avrebbe consegnato gratuitamente quelle frequenze a Rai e Mediaset, verrà azzerato.
Mancano i dettagli ma anche le smentite. Che nel linguaggio della politica significa molto. E dal ministero di Passera fanno sapere che «la decisione è imminente» anche se «restano ancora dadefinire i contorni tecnici». Che in effetti non sono poca cosa. Perché il governo Monti deve prima annullare quanto deciso dal governo Berlusconi. Con che strumento: un decreto? una legge ad hoc? un emendamento inserito da qualche parte? Una volta cancellato il beauty contest, si tratterà poi di capire come assegnare le nuove frequenze. E qui la materia diventa scivolosa perché la palla dovrebbe passare nel campo dell’AgCom. Il governo può infatti dare indicazioni di massima ma i dettagli della probabile asta (chi invitare, che pacchetti vendere, con che base di partenza) li potrà decidere, per evidenti motivi di indipendenza e trasparenza, solamente l’Autorità delle Comunicazioni. I cui vertici, ecco il punto, scadranno a metà maggio. Cosa farà il governo? Forzerà i tempi per passare la patata bollente nelle mani dell’uscente Calabròo si limiterà ad azzerare il beauty contest in attesa della nuova Authority? E nel frattempo, mentre la crisi corre, si congela la vendita di un bene pubblico che Mediobanca stima intorno a 1-1,2 miliardi di euro? Domande tutt’altro che banali a cui i messaggi smarriti di Passera non portano risposta. Vedremo oggi se al convegno di Confindustria sull’Agenda digitale – settore strategico di sviluppo in cui l’Italia è in grande ritardo – i ministri Passera e Profumo, ospiti d’onore assieme al Commissario europeo Neelie Kroes, lasceranno cadere qualche altro fazzoletto. Come hanno detto ieri sia Vincenzo Vita che Antonio Di Pietro, le indiscrezioni sulle intenzioni del governo sono incoraggianti ma a nove giorni dalla scadenza della moratoria, sarebbe ora che il governo rivelasse e confermasse ufficialmente le
proprie decisioni. Tra sospiri e sussurri, qualche dettaglio comincia comunque a prendere corpo. Quello ad esempio di uno spacchettamento delle frequenze, come anticipato dall’Unità la scorsa settimana. Le frequenze da vendere, infatti, sono di qualità diversa. Quelle della banda 700 (i canali 54, 55 e 58 Uhf) sono disponibili subito ma hanno un “problema”: come deciso dall’Unione europea, dovranno essere liberate nel 2015 per diventare delle autostrade a banda larga e consentire lo sviluppo di internet sui telefonini di nuova generazione. Chi comprerà delle frequenze pregiate da usare solo per tre anni? In teoria le più interessate all’acquisto sarebbero le compagni telefoniche che, a differenza delle compagnie televisive e vista la destinazione d’uso decisa dall’Europa, potrebbero ricevere quei canali per vent’anni. Peccato che le stesse aziende (Tim, Vodafone, Winde Tre) abbiano appena partecipato, lo scorso autunno, a un’asta simile sborsando la bellezza di 4 miliardi di euro. Saranno intenzionate, le stesse aziende, a rimettere mano al portafogli? Ci sono poi altre altre frequenze (6 Vhf e 23-28 Uhf) che potranno venire assegnate alle compagnie televisive per vent’anni. Ma anche qui c’è un ostacolo da superare: prima di essere utilizzati questi canali dovranno attendere la riorganizzazione di tutto il sistema etere; uno “spectrum review” che non ha certo l’aria di essere una faccenda veloce.
Prodotti diversi a prezzi diversi: è questa dunque l’ipotesi più probabile a cui il governo sta lavorando. L’importante, come detto ieri da Gentiloni, deputato Pd e ministro delle Comunicazioni al tempo di Prodi, è che alla fine si tratti di un’asta vera e non di una svendita a prezzi stracciati. Sarebbe un risarcimento ai delusi del beauty contest. E uno schiaffo agli italiani.
l’Unità 11.04.12