Con la Borsa in ribasso del 5% in un solo giorno e lo spread tra Btp e Bund tedeschi che risale fino alla soglia d’allarme di 400 punti la domanda che emerge è se abbiamo sbagliato tutto, se dobbiamo attenderci un’altra correzione dei conti pubblici, se la baraonda della crisi non finisce mai. Naturalmente prendiamo per buone le assicurazioni del presidente Mario Monti che esclude qualsiasi manovra aggiuntiva nel corso dell’anno, ma non possiamo negare, tuttavia, che la situazione resterà ancora al limite dell’emergenza nei prossimi mesi come indicano previsioni e analisi di autorevoli fonti italiane e internazionali. La sensazione più chiara, lampante, che deriva dalla mole finanziaria e dall’impatto sociale delle manovre, decise dall’agosto scorso ad oggi prima da Tremonti-Berlusconi e poi dall’esecutivo dei tecnici, è che il malato è debole, troppo debole e rischia di non farcela. Famiglie e imprese, che pur non si sono tirate indietro quando sono state chiamate a sopportare pesanti sacrifici, hanno bisogno di una mano, di un alleggerimento della pressione fiscale, di liberare un po’ di risorse da investire, per pagare i debiti e ridare fiato ai consumi. Sarà una ricetta banale, troppo semplice, ma dobbiamo trovare il modo di rimettere qualche euro in più nelle buste paga dei lavoratori, di sostenere i pensionati, di offrire uno spiraglio alle famiglie che faticano a pagare il mutuo, le bollette e ora temono, giustamente, la stangata dell’Imu. Le associazioni stimano in circa 2500 euro il costo per i cittadini tra aumenti delle bollette e nuove tasse. Come ha ben spiegato la Banca d’Italia il formidabile risparmio degli italiani si sta erodendo, il welfare familiare ha garantito in questi anni di crisi una tutela concreta a chi perdeva il reddito, ma i miracoli sono finiti e in questa congiuntura, con un’economia che non cresce più, le formichine italiane non riescono a esercitare le loro tradizionali virtù. Il problema è sempre quello di trovare i soldi necessari a cambiare l’agenda. L’impegno del governo Monti nella lotta all’evasione fiscale può produrre importanti risultati se mantenuto nel tempo. Anche se alcuni hanno storto il naso davanti ai controlli a tappeto da Cortina a via Montenapoleone, non c’è dubbio che queste azioni e le eventuali sanzioni siano state utili per dare credibilità alla strategia del governo. Le risorse incassate con il contrasto all’evasione fiscale potranno finanziare la riduzione delle tasse per imprese e lavoro? È una strada sulla quale il governo Monti si è indirizzato, ma va anche detto che una possibile manovra di riequilibrio della pressione fiscale è attesa solo per l’inizio del 2013, per non turbare i nostri conti e il giudizio degli osservatori e dei mercati. Ci possiamo permettere di non fare nulla in un anno come questo, di crisi e di nuovo allarme sociale? Possiamo negare un aiuto alle famiglie i cui “fallimenti”, secondo il Fondo Monetario Internazionale, accentuano e allungano la recessione internazionale? Un aggiustamento in corsa della politica economica forse è possibile, anche per mantenere quel rapporto di fiducia che si è creato in questi mesi tra governo e opinione pubblica. Proprio chi chiede sacrifici al Paese deve avere la credibilità e l’autorevolezza di colpire privilegi e aiutare chi sta peggio. Di più: l’esigenza di cambiare le priorità dell’agenda di governo e della maggioranza diventa importantissima se valutiamo le condizioni della nostra industria. Ci sono situazioni di grave sofferenza che non possono esser trascinate a lungo. La Fiat, che ha registrato un calo delle vendite del 37% in marzo in Italia, chiuderà per due settimane a maggio lo stabilimento di Melfi, il più efficiente, il più moderno, per adeguare la produzione alle richieste modeste del mercato. I fornitori della componentistica temono un esodo dei grandi gruppi perché la produzione italiana di auto rischia di diventare residuale. La multinazionale Alcatel ha confermato al ministro Passera che intende tagliare la presenza italiana, nella Silicon Valley brianzola, con conseguenze gravi per il tessuto industriale di una delle zone più produttive del Paese. Finmeccanica, uno dei motori della politica industriale, è ostaggio di una gestione opaca e della mancanza di una nuova strategia dell’azionista. Un po’ di soldi in busta paga, una politica industriale che punti su settori innovativi e valorizzi il patrimonio produttivo nazionale, il recupero di risorse dall’evasione per alleggerire il peso del fisco sulle imprese: forse da questi interventi può ripartire la nostra economia.
l’Unità 11.04.12