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"Il vero allarme è sulla crescita", di Massimo Riva

Una riapertura pessima dei mercati dopo la parentesi pasquale con le Borse in calo in tutta Europa e un record negativo di Milano a meno cinque per cento, mentre il fatidico “spread” è risalito di colpo oltre quota quattrocento. Ma stavolta sarebbe davvero un serio errore di prospettiva leggere questi scivoloni come l´ennesimo avvertimento a rincarare la dose dei tagli alla finanza pubblica.

Il mini-tsunami finanziario di ieri per unanime e planetaria convinzione nasce tutto da fattori connessi all´economia reale. È da questo terreno, infatti, che stanno arrivando segnali particolarmente allarmanti che investono le due principali potenze mondiali. Negli Usa si sta aprendo la stagione dei primi rendiconti trimestrali delle aziende e le previsioni sono nettamente di profitti in calo. Da Pechino poi giunge la conferma che il temuto rallentamento della grande locomotiva cinese è ormai un dato di fatto reso esplicito dalla frenata delle importazioni.
Se fino a ieri dinanzi alle brusche altalene sui mercati era possibile almeno in parte consolarsi con la tesi dell´irrazionalità dei movimenti speculativi, ora la questione sta cambiando pericolosamente di segno. Non è più soltanto la fragilità contabile di alcuni Paesi a innescare ondate di vendita nelle Borse, le paure maggiori nascono dalla sfiducia sul futuro immediato delle attività produttive. Insomma, dal serio rischio che anche le più prudenti stime di crescita dell´economia mondiale dovranno essere ridimensionate in corso d´anno. Con conseguenti riflessi sugli investimenti e quindi sui livelli dell´occupazione, soprattutto nei Paesi occidentali fra i quali gli europei per primi.
In un Paese come l´Italia questo mutamento del quadro internazionale riporta con prepotenza in primo piano il tema finora più trascurato dei tre impegni proclamati dal governo Monti: quello degli stimoli alla crescita. La strategia dei due tempi – prima il rigore con l´equità e poi, appunto, la crescita – appare ormai superata dagli eventi. Alla lunga i mercati si rivelano sempre intelligenti. In questi mesi hanno dato chiari giudizi di apprezzamento per l´austerità fiscale realizzata nel Paese senza troppi contrasti sociali, come ha testimoniato il corso finora discendente del differenziale coi titoli tedeschi. Ma ora giustamente cominciano a chiedersi se la minaccia di default scongiurata con misure rapide di fiscalità straordinaria non possa ripresentarsi da un altro lato: quello di una caduta della crescita tale da vanificare il risanamento momentaneo dei conti per effetto dell´impoverimento collettivo del Paese. Esito che renderebbe ancor meno sostenibile nel medio periodo l´abnorme debito pubblico accumulato.
Il governo Monti ha voluto caricare sulle spalle proprie e del Paese un impegno particolarmente gravoso: quello di raggiungere il pareggio di bilancio entro la fine del prossimo anno. Per arrivare a questo traguardo ha impostato una politica fiscale di insolita durezza, sicuramente necessaria in prima battuta per riconquistare quella credibilità sui mercati che era stata dissipata dalla gestione precedente. Ma poi ha creduto o fatto finta di credere che chissà quali stimoli alla crescita potessero venire da provvedimenti di malcerta gestione e di dubbia efficacia come i decreti sulle liberalizzazioni o sulla semplificazione, finendo poi per infilarsi in una riforma del mercato del lavoro che – pure al netto dell´inutile teatrino sull´articolo 18 – potrà forse dare qualche beneficio nell´arco di alcuni anni. Quel che sta accadendo ora sui mercati non dice che la strada intrapresa sia sbagliata, ma indica che il passo deve essere accelerato e che la vera e indispensabile “svolta storica” va attuata sul terreno dell´economia reale.
Compito che travalica sicuramente i confini del Paese e postula una mobilitazione in chiave europea. Terreno sul quale Mario Monti ha oggi tutte le carte in regola per ingaggiare battaglia. La campana dei mercati ha suonato per tutti.
Perciò, se non ora, quando?

La Repubblica 11.04.12

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“Troppa austerity e niente crescita” i Fondi abbandonano Roma e Madrid, di Maurizio Ricci

Italia sulla graticola anche per le modifiche alla riforma del lavoro E i rendimenti tornano vicino al 6%. Più grave la situazione della Spagna che insiste nella politica di massicci tagli al bilancio: 37 miliardi per il 2012
Da capo. I mercati finanziari europei sembrano tornati sull´orlo di una crisi di nervi e, questa volta, ad alimentare la tensione ci sono paesi importanti, Italia e Spagna, cioè economie pesanti, che non possono essere salvate con programmi, relativamente contenuti, di aiuto europeo, come quelli che hanno permesso di tamponare, con poco più di 200 miliardi di euro, le crisi di Grecia, Portogallo e Irlanda. Anche se i picchi dello scorso novembre sono ancora lontani, gli spread con il Bund tedesco hanno ripreso a correre: 404 punti percentuali per l´Italia, oltre 430 per la Spagna. In parte, questo è dovuto al riprendere della fuga verso i titoli tedeschi, i cui rendimenti continuano, quindi a scendere. Ma il tasso sui Bonos decennali spagnoli è pericolosamente vicino al 6 per cento e quello italiano è oltre il 5,65 per cento: in pratica, nell´ultimo mese, abbiamo perso quasi un intero punto percentuale.
Le banche scricchiolano
Molti, a cominciare dallo stesso presidente, Mario Draghi, avevano previsto che l´effetto dei mille miliardi di euro di liquidità, iniettati nelle banche dalla Bce, fra dicembre e febbraio, sarebbe stato solo temporaneo. Qualcuno aveva anche predetto che, paradossalmente, questi soldi avrebbero aumentato la fragilità del sistema. Se ne stanno convincendo anche i mercati, come mostra il crollo delle azioni bancarie in Borsa. Con i prestiti della Bce, infatti, le banche italiane e spagnole hanno acquistato in massa, per circa 100 miliardi di euro, i titoli pubblici dei rispettivi paesi, favorendo la discesa dei tassi. Ma, adesso, quelle banche hanno le casseforti piene, rispettivamente, di Btp e di Bonos: un eventuale default italiano o spagnolo, anche parziale, le metterebbe in ginocchio. Simmetricamente, un crac bancario devasterebbe i bilanci statali di Roma e Madrid. Secondo l´acido commento di un operatore londinese, «è un po´ come legare insieme due che stanno annegando, sperando che, così, galleggino».
Il problema è più acuto a Madrid che a Roma, perché il sistema bancario spagnolo, investito da uno scoppio della bolla immobiliare digerito solo in parte, è più pericolante. Willem Buiter, capoeconomista a Citigroup, prevede che, se la situazione economica spagnola peggiorerà ancora, le insolvenze nei bilanci delle banche iberiche potrebbero aumentare di 200 miliardi di euro.
Sfiducia internazionale
Il nodo che strangola Roma e Madrid è, però, il mancato ritorno nelle aste dei Btp e dei Bonos dei soldi degli investitori istituzionali, i quali non sembrano credere alle promesse di risanamento dei due paesi. Lo scetticismo, tuttavia, non nasce da una eccessiva timidezza dell´austerità imposta dai governi Monti e Rajoy, ma dagli effetti che questa stessa austerità può avere su economie, già in recessione. Un buon interprete degli umori di questi investitori – Charles Dallara, il capo dell´Institute of International Finance, la lobby bancaria che ha negoziato la ristrutturazione del debito greco – ha osservato ieri che «l´Europa si sta concentrando troppo sull´austerità e questo minaccia la sua ripresa economica», cruciale per rimpolpare le entrate fiscali e rinsaldare i bilanci. E´ una tesi che si scontra da mesi con l´intransigenza di Berlino. In effetti, questo nuovo capitolo della crisi si è aperto un mese fa, quando, nel giorno stesso in cui l´Europa, sulla spinta tedesca, varava un patto che sancisce l´obbligo di bilanci virtuosi, il premier spagnolo Rajoy annunciava che la Spagna non avrebbe centrato gli obiettivi previsti, perché la recessione era troppo dura. Da allora, il governo spagnolo ha varato nuovi massicci tagli al bilancio di quest´anno (ieri ha aggiunto altri 10 miliardi di euro ai 27 miliardi decisi poco più di una settimana fa), ma pochi credono che, con un´economia che sta colando a picco, possa farne ancora l´anno prossimo, per rispettare gli impegni con l´Europa.
Febbre spagnola
L´Italia rischia di cadere nella stessa spirale, se i dati sulla situazione economica dovessero ulteriormente peggiorare nei prossimi mesi. La somiglianza delle due situazioni è l´innesco di quel “contagio spagnolo” che, in un momento di sincerità, il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha indicato. Il clima pesante che si respira in Europa è testimoniato dal modo in cui, ieri, il governatore della Banca centrale spagnola, Miguel Angel Fernandez Ordonez, ha pensato bene di restituire il colpo. «In Italia – ha detto Ordonez – la retromarcia sulla riforma del lavoro sta creando enorme ansia». Per quanto maligna, la sortita del governatore spagnolo trova riscontro in commenti e umori internazionali. Il governo Monti sembra incontrare, per la prima volta, un problema di credibilità. Forse, non era inevitabile. Avendo fatto, per primo, dell´articolo 18 la pietra di paragone del programma italiano di riforme, ora Monti paga il prezzo del passo indietro.

La Repubblica 11.04.12

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