Un milione di giovani è sparito dal mercato del lavoro. È la parte del saldo che l’economia presenta agli under 34 alla fine del terzo anno di piena crisi. Nel 2008, secondo le medie fornite dall’Istat, gli italiani occupati tra i 15 e i 34 anni erano 7,1 milioni, alla fine del 2011 sono sei milioni e cinquantasei mila. La differenza è del 14,8 per cento e sembra -ma è un’illusione – compensata dall’aumento del numero degli occupati nella fascia d’età tra i 55 e i 64 anni: più 15 per cento, per un totale di 376 mila persone (si passa dai quasi due milioni e mezzo nel 2008 a quasi due milioni e novecento mila nel 2011).
PARITÀ DEI SESSI Ad accrescere il numero degli occupati over55 sono soprattutto le donne, sulle quali si è fatto sentire maggiormente l’innalzamento dell’età pensionabile, il cui iter è stato accelerato dal provvedimento che ha seguito la sentenza della Corte di Giustizia Europea sulla parificazione dei criteri pensionistici tra uomini e donne. Le lavoratrici sono salite in tre anni di circa il 23 per cento (202 mila donne), mentre gli uomini sono aumentati di quasi l’11 per cento (174 mila). Pochi giorni fa le statistiche avevano aggiornato l’allarmante livello della disoccupazione e dell’occupazione giovanile, la prima cresciuta di oltre quattro punti percentuali in un anno (31,9%), la seconda in flessione di un punto (al 19,4%). Di fronte a questi segnali aumentano le pressioni nei confronti del governo Monti, da un po’ di tempo sotto il fuoco di partiti e sindacati per quel che riguarda le misure a sostegno della crescita e delle nuove generazioni. Una parte dei commenti più critici al ddl di riforma del lavoro appena presentato fa leva proprio sull’assenza di misure a favore della mobilità in entrata (mentre quella in uscita è stata agevolata). Non stupisce quindi sentire il segretario confederale Cgil, Vincenzo Scudiere, ribadire che «l’efficacia delle politiche economiche del governo si misura esattamente dalla politiche per la crescita, rispetto alle quali si registra un grave ritardo». Il sindacalista rincara la dose aggiungendo al carico di occupati persi i «tre miliardi di ore di cassa integrazione relative allo stesso periodo. Un combinato disposto che figura la pesantezza di una crisi che si abbatte principalmente sulle fasce più deboli, i giovani». Secondo Scudiere, quindi, «vanno riviste le norme del ddl per allargare e includere le parti più deboli». Alla Cgil ieri si è aggiunta la Cei, con il responsabile della commissione lavoro della conferenza dei vescovi, monsignor Giancarlo Bregantini, che chiede alla stessa Chiesa e a mondo degli adulti maggiore sensibilità verso «le attese e le ansie dei nostri giovani e della gente che vive drammaticamente questa realtà» di difficoltà economica e sociale. Mentre l’Italia dei Valori con Maurizio Zipponi avverte che giovani, cassa integrazione e pensioni, sono un mix che potrebbe far deflagrare la tensione sociale. Un’analisi non lontana da quella del segretario della Uil, Luigi Angeletti, che stima per il 2012 «duecento mila posti di lavoro a rischio. E ancora non abbiamo conosciuto le tensioni sociali più serie che sono quelle che potrebbero essere provocate dai licenziamenti di massa delle persone adulte». La risposta del governo arriva dal Libano, dove si trovava ieri Mario Monti: il lavoro per i giovani è «lo scopo principale» della riforma del lavoro, dice il premier, «così come lo è tutta la politica economica del governo: una volta che tutti avranno dismesso le lenti del corporativismo lo riconosceranno e parteciperanno allo sforzo collettivo».
L’Unità 08.04.12