Restringendo per una volta il nostro sguardo nell’ambito degli orizzonti nazionali, cerchiamo di capire come va oggi l’economia italiana e cosa probabilmente ci capiterà domani. Nelle ultime settimane siamo stati infatti oggetto di messaggi contrastanti. C’è chi ci descrive ormai fuori dal tunnel e chi prevede invece che la crisi durerà ancora a lungo. Essendo Pasqua cominceremo con pensieri positivi, tra i quali emerge il risanamento del bilancio pubblico che, pochi mesi fa, ci metteva in stato d’accusa di fronte a tutta la comunità internazionale. Il cammino verso il pareggio procede nei tempi richiesti e nessuno ci può più chiedere di fare i compiti a casa, anche se la mancanza di direzione della politica europea alimenta ancora gli umori negativi dei mercati. Gli spread oscillano verso l’alto e verso il basso anche quando non vi sono sostanziali novità nel quadro economico. L’incertezza domina, ma il rischio di un collasso italiano sembra essere definitivamente alle nostre spalle. L’Europa è in stato confusionale ma non saremo noi i primi a cadere.
La crisi dell’economia reale è invece ancora pesantemente in corso in Italia e un deciso segno meno caratterizza i dati degli ultimi mesi e le più recenti previsioni sul futuro (Prometeia Aprile 2012). Le tensioni della scorsa estate hanno ulteriormente aggravato lo stato di salute di un’economia già fragile, approfondendo ancora più la distanza tra l’Italia e gli altri grandi Paesi europei. Il Pil cala pesantemente ed è lontanissimo dai livelli pre-crisi. La conseguenza è un vero e proprio crollo dei consumi, degli investimenti e della produzione industriale. Tutti hanno ben presente i dati disastrosi della domanda e della produzione di automobili, ma ugualmente negativo è il mercato degli altri beni durevoli. La ferita è così profonda e così grave che persino i prodotti alimentari hanno un andamento negativo. I consumi globali caleranno di un altro 3% nell’anno in corso, per perdere un ulteriore 1% durante l’anno prossimo. Il cammino verso il basso dell’intera economia continuerà perciò almeno lungo tutto il 2012, con una caduta del Pil dell’1,5% quest’anno e con una crescita quasi nulla nel 2013.
La frana dei consumi si fermerà solo nel 2014 ed essi aumenteranno in modo quasi impercettibile nel periodo successivo. Se non vi saranno elementi nuovi si dovrà arrivare alla fine del decennio perché la nostra economia ritorni ai livelli del 2007. Con questi dati la disoccupazione non può che aumentare, per assestarsi non lontano dal fatidico 10%, mentre tre volte maggiore sarà la disoccupazione giovanile. A questa caduta della domanda interna e del potere d’acquisto delle famiglie non può porre rimedio il discreto andamento delle esportazioni perché, nonostante quest’aspetto positivo, la produzione industriale è ora del 18% inferiore rispetto al 2007. Inoltre, nel periodo precedente la crisi, la nostra economia si era salvata attraverso un attivo contributo dell’edilizia e della pubblica amministrazione, settori che ora esercitano ovviamente più la funzione di freno che di motore. Ci troviamo quindi in un quadro in cui le ombre sono più delle luci ma nel quale tutto è già stato programmato con estrema lucidità da una politica europea sempre meno comprensibile. Le decisioni dell’Ue impongono bilanci restrittivi e, a parte le aperture di credito della Bce, la strategia imposta dalla Germania non offre alcun sollievo nemmeno a chi ha fatto tutti i compiti a casa.
Il peso dell’aggiustamento viene lasciato interamente sulle spalle dei Paesi in difficoltà, a costo di indebolire la dinamica stessa dell’economia tedesca. Dobbiamo quindi arrangiarci da soli ma dobbiamo farlo in fretta. In primo luogo è urgente mettere in atto una politica industriale volta ad aumentare la produttività delle imprese e a incentivare gli investimenti. Le esportazioni, con tutti i loro limiti, rimangono di fatto l’unico elemento propulsivo dell’economia. Le imprese esportatrici sono quelle che hanno i bilanci più in ordine e che investono e innovano maggiormente. Sono la carta su cui scommettere.
In secondo luogo, a seguito della politica della Bce, è possibile riattivare progressivamente i canali del credito bancario, anche se in molti casi è la domanda stessa di credito a essere deficitaria. È in terzo luogo doveroso accelerare i pagamenti ai fornitori da parte della pubblica amministrazione centrale e locale, costruendo anche, se necessario, un accordo di ampio respiro con tutto il sistema bancario. Non è in ogni caso tollerabile che le imprese falliscano perché la pubblica amministrazione non paga i debiti e non è tollerabile che i prezzi delle forniture siano costantemente più elevati in Italia rispetto agli altri Paesi europei proprio in conseguenza di questi comportamenti dell’acquirente pubblico.
Queste misure sono semplici e di facile applicazione: non saranno certo sufficienti per dipingere di rosa un quadro che si presenta con i colori scuri che ho descritto in precedenza ma si tratta tuttavia di misure in grado di aiutare il sistema economico in modo rapido e duraturo. In ogni caso è inaccettabile che le conseguenze depressive di una necessaria operazione di risanamento del bilancio non siano accompagnate dall’adozione di tutte le misure capaci di accendere almeno una luce che ci aiuti ad attraversare il tunnel di una crisi che sembra non finire mai.
Il Messaggero 08.04.12