Il presidente dell’Anpi sugli attacchi alla figura di Rosario Bentivegna «Grave che vengano da chi predica memoria condivisa e pacificazione». Il giorno dopo la scomparsa di Bentivegna e gli attacchi alla sua figura, come «assassino» detto da Storace, la replica nelle parole e nel ricordo del numero uno dell’Associazione nazionale partigiani.
Forse anche peggio degli insulti, «assassino», quel minuto di silenzio da spartirsi con Chinaglia. Con tutto il rispetto per Bob, non proprio geniale l’idea che è venuta al quinto municipio di Roma, mescolare la memoria di un partigiano con quella di un calciatore, già che c’erano potevano infilarci anche un tributo ai dischi in vinile. Vedi alla voce rispetto, insomma.
Quello che non tutti hanno dimostrato per Rosario Bentivegna, coi suoi novant’anni di battaglie e di ferite, nonostante gli onori resi dal presidente della Repubblica, Carlo Smuraglia, presidente dell’Anpi, non si era però fatte molte illusioni «Spero sempre che prevalgano il buon senso e la ragionevolezza, ma che questi attacchi vengano proprio da chi predica la condivisione di valori e di una memoria comune vuol dire che possiamo aspettarci qualsiasi cosa. Trovo inqualificabile queste espressioni di odio e disprezzo. Anche perché, perfino sotto il profilo giudiziario, sono state cancellati tutti i dubbi su Bentivegna».
Si riferisce alle accuse su via Rasella naturalmente.
«Certo, ci sono una serie di sentenze che hanno fatto chiarezza una volta per tutte su quella vicenda. Non c’erano nemmeno i presupposti in concreto per fare lo scambio con i prigionieri poi giustiziati, per il semplice motivo che i tedeschi hanno parlato delle Fosse Ardeatine solo dopo, a massacro avvenuto».
La figura di Bentivegna secondo l’Anpi?
«Un comandante partigiano che coi Gap e poi anche col Comitato di liberazione nazionale ha combattuto a tutto tondo per la libertà e per i diritti di questo paese, con una coerenza e un impegno che non sono mai venuti meno. Dopo tante strumentalizzazioni e speculazioni sarebbe ora di ragionare in termini diversi, certi atteggiamenti non fanno onore a chi li tiene perché non è solo questione di rispetto per chi muore, ma anche per chi ha dedicato la vita alla libertà degli altri». Ferite che dopo tanti anni non sono ancora chiuse.
«Evidentemente c’è ancora chi non accetta la resistenza, le stesse persone che come detto parlano spesso di memoria condivisa e di pacificazione. Eppure credo che in un paese civile sia necessario una specie di patto storico comune sulle vicende fondamentali come il risorgimento, la resistenza e la costituzione. Per questo un paese come l’Italia deve saper fare i conti col proprio passato e ricordare la sua storia più importante, invece si continua a sentire di negazionismi e revisionismi». Come racconterebbe Bentivegna ad un ragazzo del Duemila?
«Un uomo che con l’Italia divisa in due per l’occupazione dei tedeschi ha scelto di combattere per il suo paese unito e per il bene di tutti, anche dei ragazzi di oggi, nel nome della libertà e della democrazia».
l’Unità 05.04.12
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«Ciao, patriota Sasà» l’addio al partigiano fra rose, pugni chiusi e segni della croce, di Gioia Salvatori
La folla è sfilata alla camera ardente, allestita alla sede della provincia di Roma. Commozione e riconoscenza per l’uomo di via Rasella, che «ha lottato per le sue idee, ed erano idee di libertà». Presenti Veltroni e Zingaretti.
di Gioia Salvatori
C’è chi depone una rosa rossa e chi fa il saluto militare. Chi dice una preghiera, chi alza il pugno chiuso dopo essersi fatto il segno della croce. Sfilano pezzi del Pd, della sinistra radicale, ex partigiani, iscritti all’Anpi di ogni età, i ragazzi delle occupazioni e dei centri sociali. Accanto alla bara, la compagna Patrizia Toraldo di Francia resta in piedi: accoglie, saluta, ringrazia. Indossa un tailleur nero, i bianchi capelli allacciati in una coda. Si vede che è orgogliosa di “Sasà”, nonostante le abbia fatto lo scherzo di andarsene, il 2 aprile, per le conseguenze di un ictus.
Ieri centinaia di romani hanno salutato per l’ultima volta Rosario
“Sasà” Bentivegna nella camera ardente allestita nella sede della Provincia di Roma. Per tutti è il partigiano che ha messo la bomba in via Rasella il 23 marzo 1944, ma il suo impegno politico è durato una vita lunga 90 anni. Se ne va un «combattente», «un patriota» dice la gente: un partigiano che ha fatto la storia ma anche un uomo che non ha mai smesso di battersi per le sue idee, un pensatore libero che non si sottraeva ai confronti, da ultimo attivissimo nelle scuole su progetti per la memoria. Uno col quale era facile polemizzare, uno che non la mandava a dire, un oratore brillante, appassionato. La figlia naturale, Elena, avuta dalla moglie e partigiana Carla Capponi, ieri ha assistito insieme alla sorella di Rosario Bentivegna ai funerali laici. A loro hanno stretto la mano parenti, amici e tanti romani che non avevano mai conosciuto di persona Bentivegna. «Se ne va un partigiano che ha fatto la storia mettendo la bomba di via Rasella, con l’intento di risvegliare una città», dicono. «Se volete vedere dove è nata la nostra Costituzione dovete andare in via Rasella», diceva Piero Calamandrei, ieri citato da Walter Veltroni. Lo sa chi è a ricordare “Sasà”, non lo sa chi anche nel giorno della morte chiama Bentivegna, scagionato in più processi, «assassino». Non perde l’occasione Francesco Storace de La Destra che ieri ha abbandonato l’aula del consiglio regionale durante il minuto di silenzio commemorativo. Il giorno prima lo avevano fatto tre consiglieri del Pdl nel diciassettesimo municipio romano.
LA GENTE NON LO DIMENTICA
«La madre degli Storace è sempre incinta», replica senza tenersi il vicepresidente vicario dell’Anpi Roma, Ernesto Nassi. Ma anche se La Destra e alcune frange del Pdl rivangano l’antica polemica, anche se il sindaco di Roma Alemanno manda un assessore ai funerali laici di Bentivegna, la città è con il partigiano gappista, poi militante del Pci, di cui tutti ricordano la passione. Sfila, nella camera ardente, un universo vario che va dai ragazzi col bomber a Giorgio Cremaschi, Gianni Borgna, Carla Verbano e tanti iscritti all’Anpi. Durante il funerale laico viene ricordato quanto Bentivegna diede alla medicina del lavoro e quanto amasse l’arte moderna. Il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti apre la cerimonia ricordando l’impegno di “Sasà” per la memoria ed esorta alla raccolta del testimone; il segretario del Pd Bersani in una nota mette tutta la sua gratitudine al partigiano e il suo omologo del Pd Lazio, Enrico Gasbarra, chiede che a Roma venga intitolata una strada a Rosario Bentivegna. Davide Conti, storico e amico di “Sasà”, piange mentre elenca i falsi storici su cui si basano le tesi revisioniste perché soffrendo, Bentivegna, vi ha combattuto contro tutta una vita: via Rasella è sempre stata con lui. Nella sede della Provincia di Roma per l’ultimo saluto sono pugni chiusi sulle note di Bella Ciao, poi c’è il trasferimento al cimitero per la cremazione.
L’ultimo saluto di Vittorio Sartogo per l’amico “Sasà” è con i versi de Il congedo del viaggiatore cerimonioso di Giorgio Caproni, poeta amato da Bentivegna: Ciao e grazie per l’ottima compagnia.
l’Unità 05.04.12