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Università, prof italiani tra i più pagati "Ma quanto è difficile salire in cattedra", di Corrado Zunino

C´è prof e prof. E ci sono le loro buste paga. L´insegnante di scuola media e superiore guadagna poco. Tardi e poco. Il docente universitario italiano no. Guadagna in là con gli anni, diventa professore ordinario sulla soglia dei cinquanta, ma guadagna bene. Esce dal circuito ai settant´anni con uno stipendio netto tra i 5.000 e i 5.500 euro. In un´ipotesi virtuosa, ovvero stipendio base più 14 scatti d´anzianità e 5 ulteriori avanzamenti automatici, un cattedratico d´ateneo che ha esercitato a tempo pieno si congeda con 5.468,53 euro netti. Salari che in altre categorie di pari livello appartengono al passato. Nelle università resistono le buste paga pesanti: la riforma Gelmini non le ha intaccate.
Rivela tutto questo, o meglio lo ricorda, un´inchiesta diventata libro – “Paying the professoriate” – realizzata da Philip Altbach e quattro colleghi del Center for international higher education. Hanno fatto una comparazione mondiale di compensi, contratti ed eventuali benefit. I Paesi presi in esame sono 28 (otto europei) e i risultati sono stati resi omogenei sulla base del costo della vita locale e dell´inquadramento delle figure professionali. Tutte le università considerate sono pubbliche, le private non pubblicano i “salary data”. Bene, l´Italia ha i professori meglio pagati al mondo dopo il Canada. Nel dettaglio, siamo al secondo posto (dietro il Canada) nella classifica dello “stipendio lordo medio”, che da noi significa un po´ più di 3.300 euro al mese (tra i sette e i nove scatti d´anzianità). Siamo terzi nel “top level” (5.468,53, appunto). Scendiamo, invece, nella paga d´ingresso: decimo posto insieme a Olanda e Argentina (il Canada è sempre primo).
L´analisi scopre cose curiose. Le università messicane per combattere la fuga dei cervelli verso gli Stati Uniti hanno previsto per i docenti un bonus per il primo matrimonio e a Natale bottiglie di cidro e tacchini congelati. Altre rivelazioni, basate sui valori tabellari offerti dai ventotto ministeri dell´Istruzione, sono di sostanza. Sudafrica, Arabia Saudita e Malesia, per esempio, hanno “top wages” più alte degli Stati Uniti. Gli Usa, e come loro Germania, Israele e Giappone, «faticheranno ad attrarre giovani talenti se non alzeranno gli stipendi più alti». La Nigeria, d´altronde, paga i suoi insegnanti più o meno come Israele. Le recenti riforme tedesche hanno tagliato il 20-30% della parte fissa delle mensilità dei docenti, ma hanno aperto ai bonus basati sulle performance. In America Latina sette insegnanti su dieci sono part-time.
In molti Paesi le differenze tra professori d´eccellenza e la larga platea intellettuale degli atenei sono più alte che da noi. In molti stati, anglosassoni soprattutto, la paga è uno dei motivi d´attrazione in mano alle università, da noi gli stipendi sono decisi dal ministero. Nei Paesi di lingua inglese i docenti sono pagati per i periodi di insegnamento effettivo: 4 mesi, 9 mesi, poi devono andarsi a cercare consulenze altrove. Da noi, lo stipendio si prende tutti i mesi – anche in estate, con le università chiuse – e a Natale invece del tacchino arriva la tredicesima.
L´Ocse, che compara le scuole e le università di tutto il mondo industrializzato, non si era mai spinto a confrontare gli stipendi. Ora un libro colma il vuoto. E Piero Graglia, ricercatore della Statale di Milano in attesa di diventare “Po”, spiega: «Gli stipendi universitari possono essere anche buoni, ma in Italia ne potrai godere ben oltre i cinquanta».

La Repubblica 03.04.12

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