“Io vedo la possibilità di un punto di caduta condiviso in Parlamento e lo scenario di un incaponimento del governo non lo prendo nemmeno in considerazione”. Sa che il dossier lavoro sta diventando il segno distintivo di questa legislatura. Ma soprattutto, per Pierluigi Bersani, è l’occasione affinché il governo Monti e questa “strana maggioranza” “non mandino all’aria una riforma rilevante”. “Una buona riforma – aggiunge Bersani – se si corregge qualche aspetto”. Il segretario dei Democratici vuole aprire tutti possibili spiragli per evitare che il disegno di legge vada a impantanarsi nei corridoi di Montecitorio e Palazzo Madama. È sicuro che “un’intesa sia vicina”, basta ricorrere a un “pò di senso di equilibrio”. Ed è pronto a mettere sul tavolo della trattativa alcune delle richieste del Pdl sulla “flessibilità in entrata”: “soprattutto se si tratta di alleggerire un certo carico burocratico”. Seduto sul divano della sua casa a Piacenza, più che dettare le condizioni segnala la mediazione possibile per un accordo. “E per approvare il testo in tempi rapidi. Almeno in un ramo del Parlamento vorrei chiudere la sostanza del problema anche prima del 6 maggio, prima delle amministrative. Non si può lasciare per aria questo tema per troppo tempo, nessuno ci guadagna a perdere giorni”.
Il testo studiato dal ministro Fornero, però, non è stato ancora definito. Il via libera del consiglio dei ministro è stato solo “salvo intese”. Un modo istituzionale per dire che va ancora approfondito e soprattutto elaborato. E infatti verrà depositato in settimana al Senato e alla Camera dopo l’ultimo vaglio da parte del premier. Che domattina discuterà proprio le ultime limature con la titolare del welfare e con il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera.
Dopo il lungo tour in Asia, Mario Monti torna stasera in Italia. E sulla sua scrivania a Palazzo Chigi troverà un solo capitolo da affrontare con la massima urgenza: quello della riforma del lavoro. Un’impellenza che non si basa solo sulla necessità di mettere mano a un provvedimento atteso dalla comunità finanziaria internazionale, ma anche su quella di tenere unita la sua maggioranza.
Il nodo che al momento sembra inestricabile si stringe sempre più intorno all’articolo 18. Le parole magiche che i democratici ripetono sono vieppiù le stesse: “reintegro” e “sistema tedesco”. “Ma non per lasciare le cose come stanno – spiega il leader Pd – . Anche io lo voglio cambiare, ma ci sono delle strade che renderebbero tutto più facile e soprattutto più comprensibile per il Paese”. Il capo dei democratici sembra in primo luogo preoccupato che la sua posizione non venga interpretata come una battaglia “partitica”: “Non voglio piantare bandierine, cerco una soluzione equilibrata. Avete visto le cose che ha detto il Cardinal Bagnasco? Mica anche lui sarà al seguito della Cgil… “.
Quindi, qualcosa che “si avvicina al modello vigente in Germania”, e non esattamente la sua riproposizione, metterebbe in discesa la discussione. “Vedo – avverte Bersani – che alcuni meccanismi di instabilità finanziaria stanno tornando, l’Europa soffre perché i famosi mercati vedono l’avvitarsi della situazione nei meccanismi dell’austerità e non della crescita. Il nostro dovere, allora, è lanciare un segnale di solidità: dire che remiamo tutti dalla stessa parte”. Nei mesi scorsi è stata compiuta già un’operazione – “quella sì epocale” – sulle pensioni. Adesso “abbiamo l’opportunità – se non vogliamo farci del male – di effettuare le stesse scelte sul lavoro con soluzioni che assomiglino ai modelli migliori, il tedesco e il danese”. E a suo giudizio, “il messaggio al mondo sarebbe comunque positivo”. In Europa, il paese in grado di investire il suo surplus nei nostri confini è la Germania. I tedeschi – è il ragionamento che si fa a Largo del Nazzareno – non potrebbero certo rifiutare il loro stesso metodo. Anzi, l’argomento più usato da Berlino è un altro: “Ci chiedono semmai di distruggere lo scoglio della corruzione”.
Per Bersani dunque, la traccia di un’intesa è disegnabile rapidamente. Un patto “spendibile” anche all’estero come ha fatto in questi giorni il presidente del consiglio in Corea, Giappone e Cina. “Perché non è nemmeno accettabile il discorso secondo cui se c’è conflitto e scioperi, allora la riforma va bene. Noi dobbiamo chiarire ai nostri interlocutori internazionali che stiamo cambiando davvero e che lo facciamo tutti insieme. Che questa è l’Italia che si rinnova”. E se Palazzo Chigi si rifiutasse di modificare il testo in questa direzione? “È uno scenario che nemmeno considero”.
A suo giudizio, invece, Monti dovrebbe subito immaginare un percorso che reintroduca in modo diretto o indiretto il reintegro in caso di licenziamento non giustificato dalle motivazioni economiche. “Diamo al giudice – spiega – la possibilità di scegliere soltanto per quei casi tra due opzioni: il reintegro o l’indennizzo. Se ci fosse solo il reintegro, capirei, ma io immagino altro”. Alfano, però, le fa notare che con i magistrati italiani l’opzione sarebbe unica: il reintegro. “Ma non è vero, perché spesso è il lavoratore a non volere tornare. Basta guardare le statistiche. E comunque ho la sensazione che anche nel Pdl ci stanno riflettendo. Perché il problema esiste e non tocca solo le tute blu”. Ad esempio, “si accorgono che la questione tocca anche il pubblico impiego”. Non solo. Questa riforma rischia di creare uno “stato di ansia e di instabilità in tutti i cittadini. C’è qualcuno che può far finta di niente? Se una persona equilibrata e moderata come il presidente della Confagricoltura Mario Guidi ha detto sabato scorso che è doveroso tenere conto dell’ansia che c’è in giro, noi cosa facciamo? Ignoriamo?”.
Certo, il testo del governo non è ancora pronto. Il premier intende trasmetterlo ai segretari della maggioranza nella giornata di domani. Solo da allora il confronto potrà essere più concreto. Bersani punta dunque ad un percorso velocizzato da qualche modifica: sull’articolo 18, ma anche sui cosiddetti “esodati”. Un’intesa va trovata in Parlamento o il premier deve modificare prima il disegno di legge? “Una rapida ricognizione delle forze sociali, poi il governo e il Parlamento possono trovare la strada di un emendamento”. Come è accaduto con tutti i decreti dell’esecutivo, anche i più urgenti come il Salva-Italia o le liberalizzazioni. Qualche correzione è intervenuta. “Se anche in questo caso si arriverà a qualcosa che assomiglia al modello tedesco, noi lo voteremo”. E se ci fosse il niet della Cgil? “Noi abbiamo le nostre idee e non accetto da nessuno che si dica che siamo agli ordini del sindacato. Noi quel testo lo voteremo”.
La Repubblica 02.04.12