I problemi da risolvere sono tanti, economici e politici, ma tre sovrastano tutti gli altri perché rappresentano la chiave che può aprire la porta oltre la quale c´è la salvezza, e sono: l´evasione fiscale, il precariato, la creazione di nuovi posti di lavoro.
Ce n´era un quarto, la messa in sicurezza dei conti pubblici e del debito sovrano, ma questi sono già stati risolti nei primi tre mesi del governo Monti dalle congiunte azioni dei due Mario, quello che lavora a Palazzo Chigi e l´altro che sta a Francoforte nella sede turrita della Bce. Le dimensioni dell´evasione appaiono lampanti dalla tavola dei redditi resa nota nei giorni scorsi, aggiornata al 2010. Di solito, nelle società dove le imposte sono normalmente pagate, la distribuzione del reddito configura una trottola con un vertice sottile, una coda altrettanto sottile e un grosso corpo al centro; i ricchi, i poveri e la grossa pancia dove si addensa il ceto medio. Ma in Italia non è così, non è mai stato così. In Italia la grossa pancia poggia quasi a terra, sorretta da un piolo corto, mentre in alto si impenna un sottilissimo vertice. La grande pancia di questa trottola sui generis non si può definire ceto medio perché la fascia dei redditi che la compongono sta tra i 12 e i 20mila euro annui. Non sono tecnicamente poveri ma stentano molto a campar la vita e sono composti da pensionati, lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi con partite Iva e piccoli imprenditori.
Le prime due categorie pagano le imposte fino all´ultimo centesimo col sistema della ritenuta alla fonte cui non possono sfuggire; le altre categorie dichiarano il loro reddito e sono soggette agli accertamenti del fisco.
L´evasione è fondatamente stimata in 280 miliardi di reddito che equivalgono ad un minor gettito fiscale di 130 miliardi. Le sue dimensioni ammontano a un quinto del reddito nazionale. Criminalizzare nominativamente i contribuenti collocati nelle suddette categorie sarebbe scorretto, ma che gli evasori si trovino lì, in quella vastissima pancia schiacciata verso il basso nell´anomala trottola sopra descritta, è una certissima realtà, inesistente negli altri Paesi di capitalismo evoluto. Una lotta seria per recuperare il maltolto che danneggia al tempo stesso il fisco e la vasta platea dei contribuenti (forzatamente) onesti, non è mai stata fatta ma fino agli anni Ottanta dello scorso secolo la figura della distribuzione del reddito aveva la forma della piramide.
L´anomalia dell´evasione di massa è diventata intollerabile negli ultimi trent´anni e – vedi caso – è andata crescendo di pari passo con la crescita del debito pubblico.
Evidentemente c´è un nesso tra questi due fenomeni.
Quest´anno i primi risultati della lotta contro l´evasione sembrano positivi: 13 miliardi sono stati già recuperati; la cifra prudenzialmente prevista dall´Agenzia delle entrate è di 20 miliardi, ma potrebbe essere anche di più. Il governo non vuole ipotecare la sua distribuzione ma è logico pensare che il primo obiettivo debba essere quello di evitare l´inasprimento dell´Iva previsto – se necessario – dal prossimo settembre. Altri obiettivi, non necessariamente alternativi, potrebbero essere sgravi fiscali ai ceti medio-bassi, riduzione del cuneo fiscale e contributivo, infine una diminuzione delle aliquote Irpef cioè un generale sgravio fiscale socialmente modulato.
Il buon risultato della lotta all´evasione costituisce dunque la pre-condizione per risolvere le altre due emergenze: la creazione di nuovi posti di lavoro e la lotta contro il lavoro precario.
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C´è un´altra verità da tenere molto presente per avviarsi verso la porta oltre la quale c´è l´uscita dalla crisi attuale: l´importanza di diminuire la pressione fiscale. I conti pubblici sono stati messi in sicurezza, il pareggio del bilancio sarà raggiunto senza altre manovre, ma la pressione fiscale è poco diffusa (evasione) e troppo alta.
Purtroppo la diminuzione della spesa corrente, che pure rappresenta uno degli obiettivi dell´attuale governo, non si è verificata poiché la sua diminuzione si è finora ottenuta soltanto trasferendola a carico di Regioni e Comuni. Alcuni autorevoli economisti (Boeri, Penati, Giavazzi, Alesina) segnalano da tempo questo tema. Oggi certamente il rigore è necessario ma tagliare la spesa è meglio che accrescere la fiscalità. Spostare in futuro il peso delle imposte da quelle dirette a quelle indirette è una riforma da meditare con estrema cautela perché le indirette di solito hanno effetti socialmente regressivi per contrastare i quali sarebbe necessaria una patrimoniale ordinaria a bassa aliquota. Comunque la spesa corrente va contenuta, magari compensandola con l´aumento degli investimenti pubblici attualmente ridotti quasi allo zero.
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Oltre a quelli economici incombono con crescente urgenza alcuni problemi politici che richiedono un più attento coordinamento per i prossimi appuntamenti parlamentari e la riforma del lavoro che dovrebbe finalmente decollare con i cambiamenti necessari a recuperare una pace sociale gravemente turbata.
Se l´obiettivo di Monti e Fornero è quello di rassicurare gli investitori sul fatto che la concertazione con le parti sociali è ormai definitivamente archiviata, ci permettiamo di osservare quanto segue: ai fini dell´occupazione, della stabilità e dello sviluppo, la concertazione tra il governo e le parti sociali è di grandissima importanza purché non intacchi l´autonomia e la responsabilità di ogni istituzione. Non si deve confondere la concertazione con il consociativismo. Quest´ultimo, indebolendo l´autonomia e la responsabilità delle istituzioni, snerva le decisioni e impedisce di chiamare l´opera di governo con il suo nome appropriato che è «azione». Il consenso invece – che proviene dalla concertazione – è l´aria che deve sempre respirare un governo democratico, specie in una democrazia complessa e difficile che ha come riferimento economico il mercato aperto. Gli accordi di concertazione sono stati, a partire da quello del luglio 1992, la trama istituzionale su cui si è raccolto il consenso del Paese.
Leggete con attenzione questa frase che viene subito dopo i due punti.
Non è mia, ma potrebbe esserlo tanto è attuale e calzante con i fatti di questi ultimi giorni. Si tratta d´una citazione letterale del discorso che Ciampi, ancora presidente del Consiglio, tenne a Verona nell´aprile 1994, dopo aver già rassegnato le dimissioni a pochi giorni dalle elezioni che dettero inizio all´era berlusconiana: «La concertazione è la trama istituzionale su cui si è raccolto il consenso del Paese».
Questo è il punto di fondo e fu un tecnico emerito a dirlo dopo averne sperimentato gli esiti come capo del governo. Ci auguriamo che su questa inoppugnabile realtà meditino insieme Monti, i leader dei partiti, i ministri Passera e Fornero e Susanna Camusso. L´impasse sull´articolo 18 va superato con un accordo imposto dalla logica. Se il lavoratore licenziato per motivi economici ricorre al giudice com´è suo diritto e il giudice non ravvisa l´esistenza di quei motivi economici, la motivazione del licenziamento cade e con essa viene meno la limitazione dei poteri del giudice prevista dall´attuale bozza di legge. Il giudice cioè ha la potestà di annullare il licenziamento oppure di stabilirne l´indennizzo. Se questa potestà gli fosse negata saremmo davanti ad un impedimento del libero convincimento del magistrato, tutelato dalla Costituzione.
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L´altro e anch´esso incombente problema politico non riguarda il governo ma i partiti ed è la necessaria e urgente riforma della legge elettorale.
Anche qui c´è una bozza che diventerà, stando ai reciproci impegni dei tre partiti della «strana» maggioranza, una proposta di legge entro il corrente mese d´aprile.
Stando alla bozza, si tratta d´un meccanismo elettorale che ha la sua base nella proporzionalità del voto affidata a liste di candidati in collegi a base territoriale limitata; una soglia di sbarramento al 5 per cento, diritto di tribuna per i partiti che non superano la soglia e, infine, iscrizione sulla scheda elettorale del nome del leader del partito. È abolito l´apparentamento di coalizione tra partiti. Nulla invece si dice sul premio di maggioranza al partito che ottenga il maggior numero di voti, ma l´ipotesi più logica in un meccanismo dove ogni partito si presenta da solo, è che il premio sia abrogato o condizionato al raggiungimento d´un livello molto elevato e prossimo alla maggioranza assoluta dei voti espressi.
Viene dunque sancita la fine del bipolarismo. Le coalizioni si faranno nel nuovo Parlamento ad elezioni avvenute poiché è fin troppo ovvio prevedere che nessun partito da solo potrà mai raggiungere il 50,1 dei voti espressi.
Gli elettori non voteranno la coalizione ma il partito, il suo programma e i candidati in liste non bloccate. Può dispiacere la fine del bipolarismo, ma può piacere che in una legislatura con forte impegno costituente il consenso popolare sia equamente distribuito e la proporzionalità sia moderatamente corretta in favore della governabilità.
Sembra però del tutto inutile e inutilmente scorretto nei confronti del capo dello Stato l´iscrizione sulle schede elettorali del nome di riferimento dei leader di partito. A che cosa serve? A nulla per quanto riguarda la formazione del governo per la quale resta ferma l´indicazione costituzionale che attribuisce la nomina del presidente del Consiglio al capo dello Stato senza alcuna indicazione di procedure consultative. È stata questa la procedura adottata da Napolitano per la nomina di Monti e fu questa la procedura adottata da Pertini per la nomina di Spadolini e da Scalfaro per la nomina di Ciampi. Ci auguriamo che continui ad esser questa fino a quando l´attuale Costituzione sarà vigente e le sue norme non saranno manipolate dalla partitocrazia nella prima Repubblica e dal populismo nella seconda.
Post scriptum. Formulo gli auguri più sinceri e affettuosi a Pietro Ingrao in occasione del compimento dei suoi 94 anni, nel corso dei quali è stato dirigente autorevole del Partito comunista italiano ed anche presidente della Camera dei deputati al servizio dello Stato democratico e della Costituzione.
La Repubblica 01.04.12