Le decisioni dell’Eurogruppo di ieri avvicinano la creazione del fondo permanente per il contrasto delle crisi dei debiti pubblici dell’area dell’euro: il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), finanziato dai governi. E’ ora più chiara la relazione fra il Mes e i fondi provvisori già utilizzati per aiutare l’Irlanda, il Portogallo e la Grecia. Nell’insieme raggiungeranno una capacità di intervento di 800 miliardi di euro. I governi hanno anche deciso di accelerare il versamento al Mes del capitale sulla base del quale potrà indebitarsi sui mercati globali e intervenire a favore dei Paesi in difficoltà; vi è poi l’impegno dell’Eurogruppo a ulteriori contributi a favore degli interventi anti-crisi del Fmi, che collaborerà col fondo europeo.
È opinione diffusa che il Mes non aggiunga abbastanza alla dimensione potenziale degli interventi anti-crisi. Speriamo che i mercati si convincano invece che la dimensione è sufficiente a rafforzare la stabilità dell’area dell’euro nel medio termine.
Solo allora la speculazione sarà scoraggiata e gli interventi effettivamente necessari saranno minori di quelli possibili. Ma l’attenzione dei politici, degli operatori e dell’opinione pubblica si è finora concentrata troppo sulla questione del volume di fondi a disposizione, trascurando altri importanti aspetti del Mes. Guardiamone due, uno positivo, l’altro negativo.
In positivo va detto che il Mes concretizza un vero e proprio meccanismo di solidarietà fra i governi dell’area dell’euro. Essi mettono a rischio i soldi dei loro contribuenti per acquistare quote di capitale di un singolo, grande intermediario, che aiuterà gli stessi governi quando avranno difficoltà nel rifinanziamento dei loro debiti. E’ un rischio che i governi corrono congiuntamente e senza che siano predeterminati i futuri beneficiari degli aiuti. Chi è più grande rischia di più: la Germania verserà più di un quarto del capitale del fondo, la Francia un quinto, l’Italia il 18%. Non solo: se un governo avrà difficoltà a versare la sua quota, gli altri subentreranno temporaneamente al suo impegno.
Il principio di solidarietà, indispensabile per la stabilità finanziaria europea, non si è mai concretizzato in modo così esplicito. Occorrerà prima o poi andare oltre, fino a organizzare un grado di accentramento delle decisioni di finanza pubblica che consenta l’emissione di veri eurobond. Ma la costituzione del Mes è un passo politicamente cruciale. Ancor meglio sarebbe se almeno parte dei prestiti del fondo non godessero del privilegio di essere rimborsati prima dei creditori privati nel caso di default dei governi: infatti il privilegio attenua la solidarietà e aumenta il rischio dei titoli pubblici in mani private.
Fra gli aspetti negativi del Mes viene troppo poco discusso il fatto che il fondo potrà intervenire solo in supporto di singoli governi le cui crisi debitorie mostrino specifiche debolezze e che prendano l’impegno di correggerle. Non potrà invece decidere interventi di sua iniziativa a sostegno di titoli di Stato di Paesi le cui difficoltà non derivino tanto da loro manchevolezze quanto da turbolenze speculative che colpiscano i mercati internazionali nel loro insieme, cioè un sistema molto interconnesso dove la stabilità di tutti dipende da quella di tutti gli altri.
Questo aspetto è particolarmente importante per l’Italia. Supponiamo di riuscire ad annullare presto il nostro deficit e a mantenere disciplina di bilancio: ciononostante l’ammontare di debito pubblico italiano rimarrà ingente per più di un decennio. I nostri titoli restano perciò fra quelli acquistati meno volentieri quando nel mondo succede qualcosa che fa diminuire la propensione al rischio degli investitori. Gli speculatori possono allora esasperare l’aumento del nostro «spread». Anche senza alcuna nostra colpa: per esempio, se il Portogallo si avvicina al default, se la Francia litiga con la Germania sui Trattati dell’euro, se ci sono violente uscite di capitali dall’Est Europa, se fallisce una banca inglese, se la politica Usa mette in crisi il dollaro, se precipita la congiuntura cinese, e così via.
All’Italia servirebbe un fondo autorizzato, sulla base di una sua analisi dell’intrecciarsi dei rischi internazionali, a intervenire a sostegno dei nostri titoli pubblici, senza che il nostro governo, per ipotesi virtuoso e coi conti in ordine, debba far la figura del debole indisciplinato chiedendo aiuto al Mes promettendo chissà quale maggior virtù. Invece il Mes potrà concedere linee di credito preventive, ma in forme inadeguate ad affrontare tempestivamente le turbolenze sistemiche.
Contro le quali rimane dunque solo la Bce. Ma lo scopo del Mes è anche quello di sollevare la Bce dal compito improprio di pagare i conti dei governi. Il problema è che, per aver poteri di iniziativa autonoma, il fondo dovrebbe essere un organo sovrannazionale con un profilo di autonomia simile a quello della Bce. I politici degli Stati membri non sono ancora pronti a questo genere di delega, che implicherebbe l’amministrazione di capitale versato con soldi dei contribuenti. Speriamo che ciò non significhi sacrificare anche l’autonomia della Bce obbligandola a mettere i problemi sotto il tappeto col trucco della creazione di moneta.
La Stampa 31.03.12