Antonio Ereditato si è dimesso. L’uomo dei «neutrini più veloci della luce» ha lasciato il suo incarico di coordinatore del Gruppo «Opera», l’esperimento internazionale che studia il comportamento delle elusive particelle generata al Cern di Ginevra e rivelate nei Laboratori che l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare possiede sotto il Gran Sasso. Le dimissioni di Antonio Ereditato erano state chieste da alcuni componenti del Gruppo «Opera». La richiesta è stata messa in votazione. Ma è stata respinta. Sia pure con margini ristretti Ereditato vanta il consenso della maggioranza del Gruppo. Ma il fisico ha preferito lasciare. Non ha voluto commentare la sua decisione.
L’uomo ma anche il fisico merita l’onore delle armi. Per almeno due motivi. Ma prima di indicarli, conviene ricordare la sua vicenda.
Il Gruppo «Opera» studia da ormai molto tempo il comportamento dei neutrini, le più numerose ed elusive particelle conosciute. Negli anni scorsi, anche con la guida di Ereditato, il gruppo ha potuto confermare la previsione di Bruno Pontecorvo: i neutrini oscillano. Ognuno dei tre tipi viaggiando nello spazio può trasformarsi nell’altro. Il che significa che i neutrini hanno una massa. «Opera» si è così conquistata sul campo un’autorità scientifica assoluta nell’ambito della fisica di queste particelle leptoniche. Negli ultimi tre anni il Gruppo «Opera», senza volerlo in maniera specifica, ha misurato una velocità apparente dei neutrini, lungo il tragitto da Ginevra al Gran sasso, leggermente superiore a quella della luce. Un risultato anomalo, che contraddice una delle teorie fondamentali della fisica, la relatività di Einstein. I fisici per prudenza e i filosofi per approccio epistemologico sostengono che quando un fatto sperimentale è in contrasto con una teoria fondamentale, largamente validata, è il fatto che deve cedere il passo. Almeno momentaneamente. Finché nuove le misure non sono state controllate con cura e un possibile errore non è stato trovato.
Il Gruppo «Opera» ha raccolto dati e riverificato le sue misure per oltre due anni, in gran segreto. Senza trovare una qualche fonte di errore. Dopo tutto questo tempo la larga maggioranza del gruppo con Ereditato ha deciso che non si poteva più aspettare. E che occorreva rendere pubblico il dato anomalo.
È quello che hanno fatto lo scorso mese di settembre. Ereditato e «Opera» hanno puntualizzato che la loro era solo l’annuncio di una misura. E non una sua interpretazione. Che un errore era possibile. Che loro avrebbero continuato a cercarlo. E che altri, in maniera indipendente, lo avrebbero cercato. Solo alla fine del processo si sarebbe tentata un’interpretazione.
MISURE
Ma la notizia era troppo ghiotta perché i media non se ne impossessassero. E la notizia di un dato anomalo si è trasformata, malgrado la prudenza di Ereditato e del Gruppo «Opera», nella scoperta del «neutrino che va più veloce della luce». Va detto, tuttavia, che una parte del Gruppo «Opera» avrebbe preferito attendere ancora. Avrebbe preferito una verifica indipendente prima dell’annuncio. Ma va detto anche che entrambe le posizioni erano deontologicamente legittime.
Come sia andata è poi cosa nota. Lo stesso Gruppo «Opera» nelle settimane scorse ha annunciato di aver scoperto in un cavo mal funzionante la possibile causa dell’errore. Poco dopo un altro esperimento, condotto dal gruppo «Icarus» di Carlo Rubbia sul medesimo fascio di particelle, ha annunciato di aver misurato a sua volta la velocità dei neutrini in viaggio da Ginevra al gran sasso, trovando come atteso una velocità inferiore a quella della luce.
A questo punto l’ipotesi di un errore nella misura di «Opera» è diventata una certezza pressoché assoluta. Le ripercussioni interne al gruppo sono state molto forti. E si è arrivati alla conta. Ereditato ha ottenuto una riconferma di fiducia da parte della maggioranza, ma ha preferito lasciare.
Merita, appunto, due volte l’onore delle armi. Come fisico, perché si è comportato in maniera niente affatto censurabile in una situazione molto delicata, sempre in bilico tra la gloria e il ridicolo. Ereditato e la maggioranza del gruppo «Opera» hanno fatto prevalere il principio, decisivo nel modo di lavorare degli scienziati, della massima trasparenza sul principio, altrettanto importante, della prudenza e dello scetticismo sistematico. Ma non sono stati mai, in nessun caso, trionfalisti. Dunque hanno scelto una via pericolosa, ma dignitosa.
L’ONORE DELLE ARMI
Ma Antonio Ereditato merita l’onore delle armi anche per queste sua dimissioni. Aveva ancora dalla sua la maggioranza del gruppo. Sarebbe potuto restare, in attesa di ulteriori verifiche e della decantazione mediatica della vicenda. Ma nonostante questo ha preferito lasciare, anteponendo il bene di «Opera» al suo personale. Chapeau.
L’Unità 31.03.12
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“La scienza deve essere libera”, di Umberto Guidoni
Voglio prendere spunto dal caso dei «neutrini più veloci della luce» per riflettere sul ruolo della scienza nella società moderna. La notizia delle dimissioni di Antonio Ereditato – responsabile dell’esperimento «Opera» che ha dato notizia di un risultato dimostratosi falso – riporta alla ribalta il tema dei condizionamenti della ricerca. Negli ultimi decenni, la scienza è apparsa sempre più condizionata dalla dimensione economica: una tendenza che porta a favorire la ricerca applicata rispetto a quella di base, lo sviluppo di nuove tecnologie piuttosto che la scoperta di nuove teorie scientifiche. Secondo uno studio dell’Onu: «la ricerca scientifica e tecnologica è sempre più mirata alla ricerca del profitto, piuttosto che alla soluzione dei problemi fondamentali per l’umanità… Soltanto il 10% della spesa per la ricerca è dedicata ad affrontare il 90% dei problemi più urgenti nel mondo». La comunità scientifica ha tentato di resistere ai tentativi di ingabbiarla. Gli scienziati hanno creato una comunità globalizzata, che ha reso possibile quella grande circolazione di idee che ha portato allo straordinario sviluppo di conoscenze del secolo scorso. Ma proprio grazie a questi successi, la tecnologia è entrata sempre più nei processi produttivi e la ricerca ha finito per essere percepita come un elemento di natura economica, a cui applicare le leggi del mercato. Dietro l’affanno a pubblicare i risultati ancor prima di una verifica tra la comunità scientifica c’è, forse, la pressione del «mercato», la necessità di ottenere risultati «visibile» per giustificare i costi della ricerca o per ottenere nuovi finanziamenti dagli sponsor. In questo modo si cercano i sentieri più facili, quelli che portano direttamente sulle pagine dei quotidiani e sui set televisivi, tralasciando cammini più impervi che richiedono anni di «oscuro» lavoro di elaborazione e di studio. Così si rischia di stravolgere la vera missione della ricerca scientifica: la creazione di nuovo sapere. Il rapporto fra ricerca, innovazione e sviluppo economico è certamente reale, ma va articolata su livelli di maggiore complessità. La scienza, infatti, è un lavoro collettivo di individui e gruppi, in un delicato equilibrio fra competizione e collaborazione. Alterare questa complessa alchimia, favorendo la competizione a danno della diffusione della conoscenza, fa inaridire la creatività e rischia di rallentare il progresso scientifico. Viceversa, quando il frutto della ricerca produce nuove idee diventa un palestra per preparare le persone a risolvere «problemi complessi» e contribuisce all’evoluzione complessiva della società. Ma per farlo, deve mantenere la sua libertà di azione, senza vincoli politici od economici, condizione che può essere garantita solo dall’intervento pubblico. E qui veniamo al caso specifico del nostro Paese: il taglio drastico ai fondi pubblici per la ricerca sta costringendo le Università e gli Epr a cercare risorse private con il rischio di mettere in discussione l’autonomia stessa della scienza!
L’Unità 31.03.12
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