Un limbo moderno e tutto italiano quello degli esodati, ex lavoratori rimasti senza stipendio e senza pensione: hanno lasciato il posto dopo un accordo con l’azienda, convinti com’erano di raggiungere presto il meritato riposo, ma sono rimasti beffati dalla riforma Fornero, che ha spostato in avanti l’età pensionabile. Oggi queste persone si trovano troppo giovani per la pensione e troppo vecchie per lavorare. E lo «scandalo» nello «scandalo», per usare parole di Susanna Camusso, è che neanche l’Inps ha idea di quanta gente si trovi in questa condizione. Eccole le prime vittime (involontarie) della riforma «Salva Italia», che ha colpito chi ha smesso di lavorare da tempo ma anche chi pensava di andare presto in pensione.
Per loro i sindacati confederali hanno deciso di scendere in piazza a Roma il 13 aprile, ma nell’attesa che si levi la protesta il Partito democratico ha pensato di fare un po’ di conti, e qualche proposta.
Ieri i Democratici hanno presentato un testo di legge e diciotto interrogazioni parlamentari, ciascuna delle quali richiama il caso di una persona in carne e ossa e della sua spesso tragica situazione. In primo luogo, il Pd contesta al governo l’assenza di cifre certe. Dopo «l’audizione di ieri (mercoledì, ndr) del numero uno dell’Inps, Antonio Mastrapasqua – ha spiegato ai giornalisti Cesare Damiano – si è scoperto che non ci sono dati a disposizione. E preoccupa il fatto che si sia in presenza di una riforma che si basa su dati non certi». Finora il governo ha parlato di circa 240 milioni di euro da mettere sul piatto del sostegno al reddito di queste persone, ma con questa cifra – sostiene capogruppo in commissione Lavoro alla Camera – si riuscirebbe ad alleviare le difficoltà «solo di 65 mila lavoratori esodati. Quando è chiaro che il numero si aggira attorno alle 350 mila persone. E dunque le risorse dovrebbero quanto meno triplicare», raggiungendo oltre i 700milioni di euro.
Fornero, ricorda l’ex ministro del Lavoro, «ha promesso di presentare una legge ad hoc entro giugno. Noi vigiliamo affinché questo avvenga realmente». Ma nel frattempo, il governo «avrebbe potuto accantonare parte dei risparmi derivanti dalla riforma (12 miliardi nel 2015) per correggere queste storture e finanziare i nuovi ammortizzatori sociali». Cosa che non è avvenuta. Per questo il Pd incalza con un pacchetto di 18 interrogazioni, che fanno riferimento a casi di lavoratori «intrappolati». Come quella di Maria Paola, single 58enne con un alto profilo professionale: ex dipendente di un grande gruppo italiano entrato in crisi, doveva andare in pensione nel gennaio 2014 e adesso con la nuova riforma rischia di andarci nel 2018, quando compirà 65 anni.
Anche per Maria Paola, il Pd ha presentato una proposta di legge con un solo articolo di due commi. Il primo fissa al 31 dicembre 2011 (non più al 4 dicembre 2011, com’è oggi) la data entro la quale andava stipulato il contratto di mobilità aziendale che consente al lavoratore di mantenere i vecchi requisiti previdenziali. Il secondo è una modifica interpretativa per mantenere le vecchie regole per chi abbia «maturato il diritto» alla pensione nei 24 mesi successivi alla data di entrata in vigore della riforma. I Democratici chiedono di intervenire anche sulle ricongiunzioni onerose, quelle di chi ha versato i contributi in più casse previdenziali diverse. Perché oggi, per cumulare quanto versato negli anni a più enti bisogna sborsare migliaia di euro.
l’Unità 30.03.12
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“Camusso: Il Parlamento ha il dovere morale di ascoltare i lavoratori”, di Giuseppe Vespo
La controriforma del mercato del lavoro non passerà. Susanna Camusso lancia la sfida al governo Monti dal palco della Camera del Lavoro di Milano, per l’occasione talmente affollata da costringere la segreteria milanese della Cgil a montare degli amplificatori fuori dall’edificio. La sindacalista è alle prese con un tour per l’Italia per spiegare le ragioni della mobilitazione: pensioni, esodati – che sono i temi al centro della manifestazione unitaria del 13 aprile – ma soprattutto difesa dell’articolo 18 e dei diritti dei lavoratori. «La gente ha capito di cosa stiamo parlando – dice Camusso dal palco milanese – e se il Paese lo vorrà, la controriforma del lavoro non passerà».Maper riuscire nell’impresa c’è bisogno di tutti, anche di «Confindustria e delle associazioni», che hanno chiesto delle modifiche alla norma. Il sindacato ha organizzato la sua campagna suddividendo le 16 ore di sciopero indetto in due blocchi: le prime otto ore sono destinate agli scioperi, alle assemblee e alle diverse iniziative nei vari luoghi di lavoro; le altre otto ore saranno spese in blocco nello sciopero generale che arriverà quando il disegno di legge sul Lavoro approderà alle fasi finali della discussione parlamentare. «Continueremo il25aprile e il Primo maggio e in tutti gli appuntamenti che abbiamo davanti e continueremo quando il dibattito sarà in Parlamento». La data dello sciopero generale sarà decisa «quando capiremo che è il momento in cui bisogna dare la risposta generale ». Perché la guerra sul lavoro si vince sul terreno del consenso: sull’articolo 18 «il governo ha deciso uno strappo, ha immaginato che il consenso fosse tale da consentire questa operazione, ma non ha funzionato». Un concetto che la sindacalista ribadisce anche su twitter, sicura com’è che «sui licenziamenti facili» Monti «non ha convinto nessuno», perché «la riforma cambia brutalmente diritti in essere». La strategia di Corso d’Italia è chiara: conquistare lavoratori e società civile per puntare alle Camere, che hanno «il dovere morale, non il dovere tecnico, di guardare a cosa pensa il Paese e a cosa pensano i lavoratori ». Concetti che mettono in allarme il Pdl, che vuole portare a casa il pacchetto del governo così com’è, escludendo qualsiasi passo indietro. È presto per dire come andrà a finire ma la Cgil sente di avere «il passo di chi resiste e continua a farlo e non quello di chi ha preoccupazioni o qualche paura. Non siamo sicuri di vincere, ma siamo sicuri della nostra battaglia. Noi non basiamo le nostre ragioni sui sondaggi che sono mutevoli ma sulla conoscenza della realtà e dei suoi problemi». Parole che la segretaria di Corso Italia ripeterà nei prossimi giorni alle riunioni con i delegati di Bologna, Parma, Cremona e Pavia. Intanto da Milano rilancia la lotta su pensionati e esodati, entrambi pesantemente colpiti dal pacchetto governativo «Salva Italia ». In particolare i secondi, oggi si trovano senza pensione e senza stipendio: per Camusso è «scandaloso » che neanche l’Inps «sia in grado di quantificare il problema », ovvero il numero di queste persone.
L’Unità 30.03.12
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