Arriva l’Imu e tutti si sono chiesti in che misura la Chiesa la pagherà. Il criterio è quello dell’attività “non commerciale” che determina l’esclusione dalla tassa. Ma i modi per eluderla sono molti, i controlli minimi e le scuole confessionali sono già sul piede di guerra: “Comunque non pagheremo perché saremmo costretti a chiudere. Fioccheranno i ricorsi”. Il decreto sulle liberalizzazioni è diventato legge dello Stato. Tra le varie misure ritorna la tassa sui fabbricati, l’ex Ici, ora Imu che dovrà essere pagata anche dalle scuole paritarie, comprese quelle cattoliche.
I tentativi di sfuggire al fisco sono numerosi: far rientrare l’immobile nel patrimonio della congregazione religiosa a cui fa riferimento la scuola. Oppure passare la proprietà ad una Onlus o creare una cooperativa ad hoc.
Tra le scuole paritarie non cattoliche molte sono i vecchi “diplomifici” che hanno cambiato pelle ed a volte anche nome, continuando a spillare soldi alle famiglie con i corsi di recupero degli anni persi dallo studente e con rette che a volte superano, iscrizione a parte, i 3 mila euro.
Nel mirino dei Comuni, beneficiari di una quota dell’Imu, anche istituti religiosi di prestigio. L’Istituto Paritario Santa Maria ha sede in un grande edificio in viale Manzoni a Roma. L’offerta comprende tutti i cicli scolastici: materna, elementare, media inferiore e liceo. Le attività sportive sono di alto livello: piscine e palestre. Ed oltre all’immancabile chiesa una “residenza” ovvero un albergo. Il padre “gestore” della congregazione dei Marianisti non accetta visite e si rifiuta di fornire le cifre sulle rette. L’unica dichiarazione che rilascia è: “Gli immobili sono di proprietà della congregazione che certamente non ha fini di lucro”. Stessa musica per l’Istituto Paritario San Leone Magno di Roma, di proprietà dei fratelli Maristi. Il Collegio Nazareno, invece, ha deciso di ridurre l’attività scolastica ed affitta una parte del prestigioso immobile in pieno Centro Storico alla direzione nazionale del Partito Democratico.
Ora, approvato il decreto, le scuole religiose sono passate al contrattacco. “Le scuole cattoliche non pagheranno l’Imu perché nel giro di un anno sarebbero tutte costrette a chiudere e a mandare a casa 40 mila lavoratori. Faremo ricorso al giudice. L’Imu che andrebbe ad aggiungersi ai deficit gestionali. Oggi in molte scuole cattoliche stiamo applicando i contratti di solidarietà, d’accordo con i sindacati, per cui il dipendente prende il 30 per cento in meno e lo Stato assicura il 100 per cento dei contributi”. Parola di padre Francesco Ciccimarra, presidente dell’Associazione Gestori Istituti Dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica.
Critico anche Luigi Sepiacci, presidente dell’Associazione Nazionale Istituti non statali di Educazione e Istruzione, aderente a Confindustria. “Se il governo vuol fare un favore alle scuole cattoliche lo dica chiaro e tondo – afferma – vorrei ricordare che la Corte di Cassazione ha stabilito che l’attività scolastica, ancorché svolta dietro corrispettivo, è un’attività commerciale”.
Nei giorni scorsi, spiegando il senso dell’emendamento del governo sul pagamento dell’Imu per gli immobili di
proprietà della Chiesa cattolica, aveva precisato: “Saranno esentate quelle che svolgono la propria attività con modalità concretamente ed effettivamente non commerciali”. Ma chi decide se la scuola paritaria non accantona utili, grazie alle rette e ai contributi dello Stato, facendo risultare il bilancio in pareggio o addirittura in rosso? Qui l’affare si complica. Il Ministero dell’Istruzione ha solo compiti di indirizzo e di registrazione dei dati. Chi fornisce i dati sulle scuole paritarie? In base alla legge, il compito spetta ai direttori scolastici regionali. Quali strumenti hanno a disposizione? Ovviamente gli ispettori. Peccato che siano meno di 70 in tutta Italia e controllare quasi 14 mila scuole paritarie è una missione impossibile. Ergo, la prassi diffusa è quella dell’autocertificazione.
Già oggi, una notevole percentuale delle scuole paritarie non risulta a scopo di lucro. Su un totale di 13.910 istituti, le materne sono 9.929 (il 95% delle quali dichiara di non guadagnare un euro dalla sua attività), le elementari sono 1.539 (73% non a scopo di lucro), le medie inferiori 690 (72% senza profitti) e le superiori risultano 1.752. Qui le cose cambiano: solo il 38%, infatti, non sono a scopo di lucro.
Non restano che i Comuni, i beneficiari, almeno in parte, della tassa sugli immobili cancellata nel 2008 dal governo Berlusconi. Per l’Anci, l’Associazione nazionale dei Comuni Italiani, un’inaspettata tegola sulla testa. Ce la faranno gli Uffici Tecnici comunali, falcidiati dal blocco del turn-over a verificare quali sono le scuole profit e quelle no-profit? Servirebbe un miracolo ma nessuno ci crede. Il dramma è che il tempo che resta è poco, perché entro il prossimo 30 giugno le amministrazioni locali dovranno presentare le cartelle esattoriali e saranno sommersi da una valanga di ricorsi.
Con molta probabilità andrà a finire come per le scuole paritarie: prendere per oro colato le autocertificazioni. Come è accaduto per anni, la legge 62 del 2000, di berlingueriana memoria, stabiliva che per ottenere la parità, quindi l’equiparazione al sistema pubblico dell’istruzione, gli aspiranti avrebbero dovuto rispettare alcune regole. Applicare ai dipendenti, insegnanti e non docenti il contratto nazionale della scuola. Rispettare i programmi stabiliti dal ministero dell’Istruzione. Assumere i docenti rispettando le graduatorie pubbliche. Accettare gli studenti “diversamente abili” e per le cattoliche “non precludere l’iscrizione ai ragazzi di fede diversa”. E dulcis in fundo, rispettare il principio della trasparenza dei bilanci.
Vediamo cosa succede sul campo. Diego Bouché è il direttore scolastico regionale della Campania, dove nella provincia di Caserta su 400 scuole, oltre 230 risultano “paritarie”. “Il nostro è un compito sicuramente difficile, visto che abbiamo 4 ispettori su un organico previsto di 24 – dichiara Bouché – noi controlliamo, compatibilmente con le forze a disposizione, le iscrizioni degli alunni, i titoli degli insegnanti, la struttura degli edifici e la sicurezza. Per quanto riguarda la trasparenza dei bilanci non siamo mica dei fiscalisti. Attendiamo con ansia la conclusione del concorso nazionale per i nuovi ispettori sperando di recuperare almeno in parte quelli che sono andati in pensione”.
Le cose vanno meglio nel Lazio? Neanche per sogno. “L’ufficio può contare su 3 ispettori, uno dei quali segue anche due dipartimenti amministrativi per carenza di organici – spiega la direttrice scolastica regionale Maria Maddalena Novelli – ora abbiamo messo in campo un piano straodinario di controlli che coinvolge 200 istituti paritari, utilizzando anche i dirigenti scolastici come consigliato dal Ministero, e dai primi risultati non emergono irregolarità. Vorrei ricordare che nel 2005 abbiamo revocato la parità a 12 scuole. Per quanto riguarda i bilanci sono gli istituti che si assumono la responsabilità di quanto messo nero su bianco”.
Siamo alle solite. Nessuno controlla. La regola aurea è “facciamo a fidarci”.
La Repubblica 27.03.12