Fare fuori ora il cavaliere e Monti: giochi sull’articolo 18 per mantenere Pdl e poltrone. Il notabilato del Pdl è isterico: per l’horror vacui sul proprio futuro appeso alla scadenza delle amministrative, da cui teme che Berlusconi possa prendere l’abbrivio per liquidare la baracca. Il Cavaliere tace, o rassicura senza troppa convinzione, alimentando così il terrore nel partito. Alfano sta in mezzo, stritolato da questi e da quello. Questa, in sintesi, la fotografia della destra oggi. Fatti loro? No, fatti di Monti. Perché le violente tensioni che scuotono il Pdl stanno cominciando a scaricarsi, pericolosamente, sull’esecutivo tecnico.
É di ieri la voce trapelata da palazzo Grazioli che Berlusconi si sia raccomandato così ad Alfano, nel fine settimana: «Facciamo attenzione a non tirare troppo la corda sull’articolo 18…». Già, perché le sortite dei falchi del Pdl (in testa la componente ex An) sulla riforma del mercato del lavoro senza modifiche all’articolo 18, dagli strilli sul decreto-legge alle intimazioni ad Alfano – che non l’ha ottenuto – a convocare i vertici del partito per una resa dei conti dicono dell’intenzione di cercare l’incidente per rovesciare Monti: cercando una saldatura tra le opposte insofferenze che serpeggiano a sinistra e a destra nei confronti il tecnogoverno.
La manovra fallirà, i pompieri sono subito entrati in azione. Ma all’interno del Pdl la tensione è cresciuta ben oltre il livello di guardia e gli incidenti sono destinati a moltiplicarsi. Dietro le quinte del partito di Berlusconi, sotto il governo Monti, è in atto un terremoto. La battuta di Berlusconi sul quid che mancherebbe ad Alfano, presa a ridere fuori dalle mura del Pdl, ha avuto all’interno del rissoso condominio di ex An e ex forzisti l’impatto di uno tsunami.
Anche i sassi hanno ormai capito che Berlusconi (vero ispiratore delle varie liste locali da Forza Lecco, Forza Verona, Forza Monza…) intende liquidare il Pdl che sta assumendo la forma a lui più invisa: riti, quote, guai delle tessere finte, liti tra cacicchi. Berlusconi non ha ancora deciso quando pronunciarne la sentenza di morte: intanto però ha ripreso i rapporti con Fini e Casini, in vista del 2013, prima attraverso Pisanu e poi direttamente. Senza troppa pubblicità, tiene strettissimi contatti con Monti e, in compagnia di Gianni Letta, sale ogni tanto al Colle da Napolitano. Conferme che Berlusconi vuol restare l’azionista principale del governo e ristrutturarsi per meglio pesare negli assetti futuri e essere tra i king maker nella partita per il Quirinale: il Pdl, questo Pdl, gli è d’impiccio e d’impaccio. Non riunisce l’ufficio di presidenza dal 6 dicembre, infischiandosene delle richieste di La Russa: vuol tenersi le mani più libere che mai, da allora ha invitato solo una volta capigruppo, coordinatori e Alfano a pranzo. Quelli del Pdl, che conoscono bene Berlusconi, avvertono il pericolo per poltrone e rendite di posizione.
Sanno che per sopravvivere politicamente dovranno a tutti costi sbarrargli la strada. Perciò il putsch strisciante dei colonnelli, giocando in parte di sponda con un Alfano complice che s’arrampica sugli specchi per tenere insieme capra e cavoli, imprigionato nelle ragnatele correntizie e d’apparato, è già scattato: obiettivo, tenere in piedi la baracca partito e spartirsi le quote. Con gli ex An che nei provinciali sarebbero “risaliti” al 70/30 dei tempi di Fini.
Se la situazione politica precipitasse anzitempo, o comunque se si andasse al voto con un Pdl così, uguale a se stesso, senza alleati, condannato a perdere, per loro sarebbe una fortuna: un Berlusconi nell’ombra per cinque anni alle elezioni successive avrebbe 81 anni. E nessuna influenza sul partito.
da Europa Quotidiano 27.03.12