Sommersa di post it, ritagli di notizie, dati e cronaca metto insieme i pensieri prima di partire per Bologna. È il 23 marzo e in tutta Italia, da Pesaro a Ragusa, da Milano a Roma, si celebra, con “L’Urlo della Scuola”, grazie a un gruppo indomito di colleghi e genitori bolognesi. Oggi ci riuniremo in un teatro, proprio a Bologna, al teatro Testoni, dalle 10 del mattino alla sera, per definire una Convenzione per la Scuola Pubblica, coi promotori, con quelli che accorreranno, con coloro che hanno aderito, con gli interventi, tra gli altri, di Alex Zanotelli, di Girolamo De Micheli, a difendere ancora una volta la scuola. Ancora? Dopo la “cacciata” di quegli altri e l’arrivo del governo dei tecnici, di Profumo, di Rossi Doria? Beh sì. C’è da difenderla eccome la scuola. Perché ci pare che la terribile rotta intrapresa non si sa da quanti anni non accenna a cambiare. Ho sotto gli occhi la lettera di un collega napoletano che scrive della «scuola dell’obbligo, ma di fotocopiare».
Perché nei luoghi dove i ragazzi hanno maggior bisogno di risorse sono, adesso come l’altro ieri, privi di risorse: rimane qualche fotocopia, a spese di noi docenti spesso. Qualche cifra. Fondi di funzionamento delle scuole: nel 2012 caleranno rispetto al 2011 di 48 mln di euro e ammonteranno in tutto a 78,7 mln di euro. Per darvi un’idea: nel 1999 le somme disponibili per l’offerta formativa erano 345,6 mln. Altro che fotocopie. Un altro ritaglio mi ricorda dell’abbaglio denominato «organico funzionale». Ci luccicavano gli occhi nel sentirlo nominare al ministro Profumo. Cos’è? È la possibilità per ogni scuola di definirsi da sé il fabbisogno di risorse professionali per funzionare al meglio. E siccome è noto a tutti che siamo sottodimensionati «l’organico funzionale» costerebbe di più. Per cui rimane sì nel decreto semplificazioni ma è vincolato al tetto finanziario di Tremonti stabilito nel 2008. Ergo ce lo sogniamo. Ho gli appunti sulla determinazione degli organici nelle scuole: per la prima volta saranno stabiliti non in base al dato demografico degli studenti, ma alle necessità di cassa del Ministero.
Come dire: in un ospedale ci sono 100 malati o 1000? Non importa, avrete comunque 5 infermieri e 2 medici. E poi una marea di tabelle: quelle dei numeri di docenti decimati in ogni ordine di grado e scuola, quelle della quantità in crescita dei ragazzi nelle classi, e le ore tagliate. Le necessità di ore di scuola richieste dalle famiglie (tempo pieno e tempo prolungato) e le ore effettivamente concesse. Molte ma molte di meno. Specie al Sud, dove tempo pieno e tempo prolungato non ci son mai stati e dove ogni anno qualche beota ha il coraggio di stupirsi per i bassi livelli cognitivi dei ragazzi, non facendo nemmeno la fatica di sapere che hanno anche altissimi livelli di povertà e degrado. Altri numeri: la dispersione. Quanti ragazzi lasciano le scuole? Perché? Di chi è la colpa?
Qualità dell’istruzione e fichi secchi. Percentuale di Pil investito in istruzione e ricerca: Islanda 7,6%, Stati Uniti 7,6 %, Sud Corea 7 %, Francia 6 %… Tra gli ultimi ci siamo noi, Italia 4,3 %. «Noi investiremo sui giovani e sul futuro». Bugiardi. Investire su giovani e futuro vuole dire balzare in cima con l’8% , non arrancare con ragionamenti illogici. Mi chiedo quante scuole si aggiusterebbero con un km di Tav. Qualcuno mi rimprovera: non sono investimenti confrontabili, entrambi servono per metterci al passo coi tempi. Epperò la Tav la faranno, le risorse per scuola e ricerca invece caleranno, si prevede di arrivare al 3,7 % nel 2015. Dunque di cosa parliamo? Domani parleremo di “Scuola Bene Comune”. Inizio a pensare che il termine “bene” non “vada bene”. Un bene è qualcosa connesso con un possesso, con qualcosa di fisico, con un patrimonio. La mia giacca è un bene, la strada qua sotto è un bene. L’acqua, sì, l’acqua è un bene, comune certo, ma è un bene, fisico. In questi anni ci siamo riempiti la testa di termini quantitativi ed economici anche per difendere le scuole. Risorse, giacimenti, investimenti, sviluppo economico, Ocse…
No. La scuola no. La scuola è un valore. Siamo noi. È la nostra identità, è ciò che ci forma. È la nostra memoria, la nostra educazione, la nostra storia. No… non è un bene, è di più. È pregiudiziale a tutto questo e forse lo abbiamo dimenticato in tanti, in troppi. Non solo i governi. Per questo arranchiamo verso il 3% e ci sogniamo l’8%. Perché nessuno di noi ci crede più. Saviano ha dichiarato: «i professori sono sacri». Sarebbero, aggiungerei. Sarebbe sacro il sapere se tutti ci credessimo: al valore pregiudiziale e primario del sapere, della memoria, dello studio. Dobbiamo tornare a crederci tutti e mettere sotto ricatto le forze politiche su questo. È il paese intero a non averci più creduto. Io dico: non abbiamo risorse che tengano, tolta la scuola nessun art.18 riscritto ci salverà. Ecco perché stiamo urlando.
L’Unità 24.03.12