Mentre la scelta del governo di non cercare l’accordo sul mercato del lavoro è destinata ad assumere il profilo di una decisione tutta politica che rischia di dividere il Paese e mandare in frantumi la coesione sociale, la giunta di Confindustria, sia pure con un ristretto voto di margine, ha designato Giorgio Squinzi a prossimo presidente. Squinzi per storia e caratteristiche è un uomo di dialogo e attento a preservare l’autonomia delle relazioni industriali. Mentre Alberto Bombassei, lo voglia ammettere o meno, è stato l’uomo delle divisioni e degli accordi separati, sia tra i metalmeccanici sia tra le confederazioni. Bisognerà naturalmente attendere il presidente designato alla prova del programma e della squadra di governo ma la novità c’è ed è forte anche in ragione degli schieramenti interni al sistema imprenditoriale che si erano coalizzati in favore del proprietario della Brembo, compreso un forte ed esteso apparato mediatico di supporto. Proprio questo mette in luce la vera differenza tra i disegni che sostenevano le due candidature. Da un lato chi puntava a fare svolgere un ruolo più politico a Confindustria con un intervento diretto nelle vicende politiche del Paese, magari fiancheggiando ambizioni e progetti che sappiamo essere in campo. Dall’altro chi intendeva riportare il ruolo dell’associazione entro ambiti più autonomi dalla dialettica politica e più attenti a ricreare le condizioni attraverso il dialogo e il confronto tra tutte le parti. Insomma a un ruolo propositivo delle forze della rappresentanza sociale. In questo senso la vittoria di Squinzi favorisce un’idea più ordinaria e ordinata dei ruoli, dei poteri e delle funzioni della rappresentanza degli interessi sia verso le istituzioni sia verso la politica, restituendo a ognuno il ruolo che gli è proprio. Anche sui temi di merito sindacale le due candidature non sono e non erano uguali. Colpisce il coraggio che Giorgio Squinzi ha avuto, nel corso di una campagna elettorale difficile, quando ha affermato che l’articolo 18 rappresentava l’ultimo dei problemi per la vita e la competitività delle imprese italiane a fronte di un orientamento diverso assunto dalla stessa Emma Marcegaglia in tutta la fase della trattativa con governo e sindacati. Ha tutto il suo peso in questa posizione l’esperienza che nel settore dei chimici ha plasmato cultura, atteggiamenti ed accordi maturati in decenni di buone pratiche sindacali. E che oggi si potranno ritrovare nella cultura di chi sarà chiamato a guidare Confindustria nei prossimi quattro anni. È presto dire come questo si rifletterà concretamente nelle scelte che andranno fatte: contratti in scadenza, gestione degli effetti dei provvedimenti presi soprattutto sul mercato del lavoro e dell’età di pensionamento, crisi settoriali e aziendali, il Mezzogiorno, la politica industriale. E insieme il problema di un accordo generale sui contratti che non porta la firma e la condivisione della Cgil. La stessa situazione della Fiat, con la vittoria di Squinzi, richiederà da parte di Marchionne una valutazione più ponderata e speriamo inedita. Ma non c’è dubbio che si può pensare a un clima che riprovi a costruire regole condivise e assetti di relazioni più stabili con i tempi e le gradualità necessari. Il modello tedesco, se preso per intero nel Paese che mantiene la seconda manifattura europea, ci dice dove si può arrivare ed anche la distanza che bisogna saper colmare.
L’Unià 23.03.12