La riforma del lavoro che si va delineando ha due pregi e molti difetti. Il primo pregio è nel metodo. Sancisce, almeno sulla carta, la fine del diritto di veto delle parti sociali, che è cosa diversa dalla concertazione. Il lungo negoziato si concluderà senza firma delle parti sociali ma con un verbale in cui si annotano le differenti posizioni. E poi il governo procederà comunque. Staremo a vedere se il Parlamento permetterà all´esecutivo di intervenire senza il consenso delle parti sociali. embra, infatti, che si procederà non per decreto – come sin qui previsto nel caso di accordo – ma per legge delega e sappiamo quanto lungo, tortuoso e spesso inconcludente sia il processo di attuazione delle leggi delega. Ad ogni modo la novità è importante e positiva: le parti sociali non possono porre il veto su materie di portata così generale.
Il secondo pregio è nell´ampiezza della riforma. I problemi da affrontare erano quattro 1) l´entrata nel mercato del lavoro 2) la cosiddetta “flessibilità in uscita” 3) il riordino degli ammortizzatori sociali e 4) il dualismo fra lavoratori precari e lavoratori assunti con i contratti di lavoro a tempo indeterminato. La riforma indubbiamente affronta tutti questi temi.
Purtroppo questa ampiezza avviene a scapito della profondità e si ha come l´impressione di un intervento voluto dal Principe di Salina, “affinché tutto cambi perché nulla cambi”, per accontentare gli investitori esteri con il tabù infranto dell´articolo 18 e l´opposizione ricercata della Cgil (segnale del fatto che “è una riforma vera”), ma volendo di fatto conservare lo status quo. Vediamo perché, iniziando dalla flessibilità in uscita, dall´articolo 18.
La riforma dell´articolo 18 non riduce l´incertezza per le imprese dal partecipare alla roulette russa del licenziamento. La nuova norma – stando a quanto dichiarato dal ministro Fornero e ai testi circolati sino ad oggi – lascia in vigore il fronte esistente tra licenziamento giuridicamente legittimo e illegittimo, ma apre un nuovo fronte che sin qui non c´era: quello della distinzione fra licenziamenti economici individuali e licenziamenti disciplinari. Fino ad oggi il lavoratore licenziato in maniera illegittima non aveva interesse a chiedere di far valere la distinzione fra licenziamento disciplinare e licenziamento economico. Con la nuova riforma questa distinzione diventa cruciale. Col licenziamento disciplinare, infatti, il lavoratore è maggiormente compensato e, giudice permettendo, può essere reintegrato. La distinzione fra licenziamento economico e disciplinare è nella pratica molto labile. Chi è davvero in grado di stabilire se un lavoratore è poco produttivo perché lavora male (licenziamento disciplinare) o perché inserito in un´unità in crisi in cui non può “dare di più” (licenziamento economico)? In verità tutte e due le ragioni sono sempre vere, altrimenti l´azienda non lo avrebbe licenziato. Per questo il contenzioso inevitabilmente finirà per riguardare anche la qualifica, economica o disciplinare, del licenziamento.
Insomma, con la riforma si trasferisce un potere enorme ai giudici che, d´ora in poi, dovranno prendere le seguenti decisioni. Se il licenziamento è legittimo o illegittimo. Nel caso in cui fosse illegittimo, se è discriminatorio o non discriminatorio. Nel caso in cui non sia legittimo e non discriminatorio, se il licenziamento è economico o disciplinare. Nel caso in cui il licenziamento sia disciplinare, se si deve imporre la reintegrazione o solo il risarcimento del lavoratore.
Si aumenta così l´incertezza del procedimento e molto probabilmente la sua lunghezza. Chi guadagnerà veramente da questa riforma non saranno nè le imprese, nè i lavoratori, bensì gli avvocati specializzati in cause di lavoro.
Sugli ammortizzatori sociali non c´è allargamento nella platea dei potenziali beneficiari, estesa dalla riforma ai soli apprendisti e artisti-dipendenti, meno di 250.000 persone in tutto. I lavoratori a progetto e i precari continueranno ad essere esclusi dagli ammortizzatori. Non c´è neanche il promesso riordino degli strumenti esistenti. Non verrà abolita la cassa integrazione straordinaria, né di fatto verrà soppressa la cassa integrazione in deroga, destinata a trasformarsi in un ampio numero di fondi di solidarietà, presumibilmente uno per settore produttivo. Non viene abolito il sussidio di disoccupazione a requisiti ridotti e l´indennità speciale per i lavoratori agricoli e nell´edilizia, che servono oggi per lo più a integrare i salari di chi già lavora, piuttosto che ad aiutare chi ha perso il lavoro e ne sta cercando un altro. La recessione non è comunque il momento migliore per avviare queste riforme. Si rischia, infatti, di far decollare nuovi strumenti che sono strutturalmente in passivo e che richiederanno, ben oltre la recessione e la “paccata di soldi” data oggi, trasferimenti dalla fiscalità generale.
La riforma ridurrà in parte le differenze tra lavori precari e non. I lavori precari costeranno di più in termini di contributi, sia nel caso di contratti a tempo determinato che di lavori a progetto. Questa avviene aumentando il cuneo fiscale, la differenza tra costo del lavoro pagato dalle imprese e reddito netto percepito dal lavoratore. Nel caso di un vero riordino degli ammortizzatori, l´aumento dei contributi sarebbe potuto apparire ai lavoratori come un premio assicurativo piuttosto che una tassa. Così il legame fra contributi e prestazioni sarà tutt´altro che evidente.
In assenza di un salario minimo, nel caso di lavoratori a progetto e altri lavoratori parasubordinati, il maggiore carico contributivo potrà facilmente essere fatto pagare al dipendente sotto forma di salari più bassi. I lavoratori parasubordinati stanno già ricevendo lettere dai datori di lavorano in cui si annunciano riduzioni del loro compenso nel caso di riforme che aggravino i costi delle imprese.
Il meccanismo di entrata principale sarà quello dell´apprendistato. è un contratto che offre poche protezioni durante il periodo formativo, perché può essere interrotto al termine del periodo di apprendistato senza alcun indennizzo. Inoltre si applica soltanto ai giovani fino a 29 anni, mentre oggi più del 50 per cento dei lavoratori precari ha più di 35 anni. Inoltre le parti sociali si aspettano un alleggerimento fiscale per l´apprendistato. Quello di aver aperto il portafoglio è stato forse il maggiore errore negoziale fatto del governo, poiché non è servito nemmeno a “comprare” il consenso delle parti sociali. E avrà effetti negativi sul deficit di bilancio.
In conclusione, gli interventi sul dualismo possono peggiorare la condizione dei lavoratori duali e aggravano i costi delle imprese senza offrire una vera e propria nuova modalità contrattuale in ingresso. Tutto questo rischia di ridurre fortemente la domanda di lavoro. La vera sconfitta e il vero paradosso sarebbe proprio quello, che la grande riforma non solo cambi tutto per non cambiare nulla, ma addirittura riduca il numero dei lavoratori occupati.
La Repubblica 22.03.12