Le opinioni sono tutte legittime, ma i fatti, a questo punto, sono chiari. Il primo fatto è che è il governo Monti ad aver scelto di rompere con la Cgil, e non viceversa. Il secondo è che non lo ha fatto per ragioni di merito, ma per ragioni politiche. Sul primo fatto, semmai qualcuno avesse ancora dei dubbi, basta andarsi a rivedere i commenti degli ultimi sette giorni, quando su tutti i giornali e in tutte le trasmissioni televisive si è descritto fino al dettaglio l’accordo imminente sul cosiddetto modello tedesco. Le rassegne stampa e gli archivi televisivi sono pieni delle espressioni di delusione e delle facce compunte di chi sperava nella rottura. Fino alla sera di martedì, infatti, tutti davano per scontato che la proposta del governo sarebbe stata quella emersa dal vertice della settimana scorsa, su cui si erano già espressi favorevolmente anche i vertici del Pd.
Viene quindi da chiedersi per quale ragione, dunque, martedì il governo abbia deciso improvvisamente di alzare la posta, abbandonando il modello tedesco e virando verso la pura e semplice cancellazione dell’articolo 18. Perché di questo si tratta, come dimostra il titolo scelto ieri dal Sole 24 Ore: «Articolo 18, addio per tutti… La regola generale diventa l’indennizzo». Semplice, chiaro e conciso. Non ci sono molti motivi plausibili che possano spiegare un simile comportamento. Non certo ragioni di merito, giacché non si trattava di importare la normativa dell’Unione Sovietica, ma quella della Germania, la maggiore economia europea, che oggi dà lezioni di rigore e competitività a tutto il Continente.
Di conseguenza, non appare plausibile nemmeno che il governo abbia scartato quella possibilità per timore del giudizio dei mercati finanziari: è evidente che il varo di una simile riforma, per giunta con l’accordo di tutte le maggiori forze politiche e sindacali, sarebbe stato una notizia ben più rassicurante sulle prospettive dell’Italia, per i mercati come per qualunque persona dotata di raziocinio. Non resta quindi che la
spiegazione più semplice: che il governo abbia cercato la rottura per la rottura, perseguendo intenzionalmente l’asse con Cisl e Uil contro la Cgil (con il conseguente colpo al Partito democratico), nonostante tutte le rassicurazioni date in senso contrario.
Difficile dire quanto Mario Monti o Elsa Fornero siano artefici e quanto strumento dell’operazione, ma certo ora tornano alla mente le molte voci circolate in questi mesi sulle grandi manovre dietro le quinte, affinché sulla scheda delle politiche del 2013 gli elettori trovino anche una sorta di partito dei tecnici. Perché l’unica ragione politica che spiega la scelta della rottura è proprio questa: aprire la strada a una nuova formazione che possa collocarsi al centro e spaccare il Pd, così da ottenere domani una maggioranza simile a quella che attualmente sostiene il governo Monti, ma con diversi rapporti di forza.
Lasciando quindi alle forze di centrosinistra la non entusiasmante alternativa tra l’accordo in posizione di totale subalternità e l’opposizione in condizioni di isolamento e delegittimazione. Il coro intonato dai mezzi di informazione in questi mesi, con l’abituale corredo di pseudoretroscena e pseudosondaggi, è un significativo anticipo della musica che ci aspetta in campagna elettorale. Una campagna che per qualcuno, evidentemente, è già cominciata.
L’Unià 22.03.12