La vita pubblica delle ultime settimane è stata punteggiata da una serie di episodi di corruzione e, più in generale, di malcostume politico che rendono sempre più urgente il varo di una rigorosa legge di contrasto al fenomeno: dalle vicende del leghista Davide Boni a quelle del tesoriere della Margherita Luigi Lusi, dalle inchieste su Romano La Russa alle cozze pelose del sindaco Michele Emiliano. Si tratta di una costante di lungo periodo della storia italiana, ma il peso del passato, con i suoi luoghi comuni e inevitabili fatalismi, non è una buona ragione per relativizzare la necessità di un impegno a cui ogni cittadino e ogni generazione sono chiamati a offrire il loro contributo.
Cambiano i contesti, i protagonisti, le modalità e le finalità, ma il tasso di inquinamento della nostra vita pubblica resta elevato, superiore a quello della media europea. Secondo il Global corruption barometer, nel 2010, il 13 per cento degli italiani ha dichiarato di avere pagato una tangente, quando la media continentale è del 5 per cento. Inoltre, il contrasto giudiziario è clamorosamente diminuito negli ultimi anni, mentre la percezione del fenomeno è andata aumentando: nel 1996 le condanne per reati di corruzione furono 1700, dieci anni dopo sono state 239. Nell’affrontare l’argomento è opportuno evitare la fiera dell’ovvio, in fondo una forma di corruzione intellettuale anch’essa. E dunque non è possibile limitarsi a esecrare il malcostume perché tra le file di quel coro i primi a levare alti lai di indignazione sono di solito proprio i malfattori. Così come non funziona l’atteggiamento di quanti, pur animati dalle migliori intenzioni rigeneratrici, scaricano ogni responsabilità sulla politica e sui partiti, postulando l’esistenza di una società civile vittima o pregiudizialmente incontaminata. Una chiave di lettura che in Italia riscuote uno straordinario successo anche perché serve da copertura per gli autori di comportamenti illeciti, in base al principio che se tutti i politici sono ladri, nessuno è ladro. Infine, è bene differenziare la condotta morale dall’attitudine moralistica, ossia dall’uso strumentale della postura etica, un filone che, non a caso, trova da secoli negli intellettuali del Belpaese degli interpreti insuperabili. Ci si scava così una nicchia di supposta superiorità morale ove trova riparo nobilitante una sterile miscela di radicalismo e indifferentismo. Purtroppo, anche in questo caso, il moralismo consente al ladro di travestirsi da santo, all’amministratore corrotto di vestire i panni del fustigatore dei pubblici costumi in nome del rinnovamento della politica e al mafioso di diventare un sostenitore della battaglia antimafia.
Di conseguenza l’unica strada percorribile è quella di esercitare l’arte della distinzione e della responsabilità, sviluppando un atteggiamento critico che impedisce di fare di ogni erba un fascio. Anzitutto, al di là dei pronunciamenti giudiziari, bisogna individuare diversi livelli di colpevolezza che in concreto significa ricordare come le spigole di Emiliano non siano paragonabili ai 12 milioni di euro sottratti da Lusi. In secondo luogo, vuol dire valorizzare la diversità delle reazioni delle parti politiche sotto accusa, un dato di fatto che impedisce di considerarle uguali:a destra, di norma, si resiste incollati alla propria poltrona e si accusa la magistratura di politicizzazione,a sinistra si fa un passo indietro e si esprime fiducia nell’azione giudiziaria.
Si diceva che la corruzione costituisce il cuore antico di un problema economico e di cittadinanza sempre attuale. Essa costa moltissimo alla collettività poiché altera la libera concorrenza dei mercati e lede i principi di uguaglianza, allontanando gli investitori e diminuendo la fiducia nelle istituzioni. Alcuni fattori rivelano che la corruzione in Italia è sistemica e per questa ragione richiede una grande battaglia civile e politica non solo sul terreno della repressione, ma su quello della prevenzione, a partire dalla famiglia e dalla scuola. Il primo problema riguarda la credibilità dell’azione giudiziaria, ossia la capacità di contrastare il fenomeno a causa della lentezza del sistema e della inadeguatezza della legislazione. C’è poco da fare ma gli standard italiani sono più bassi di quelli europei. Ad esempio, per responsabilità della legge 251/2005 (ex Cirielli) voluta dal governo Berlusconi, oggi in Italia il delitto di corruzione si prescrive in sei anni e non in dieci.
Inoltre nel nostro Paese l’87 per cento delle condanne per concussione e corruzione produce pene al di sotto dei due anni, il che significa una sostanziale impunità del reo, a causa del meccanismo di sospensione condizionale della pena.
La seconda specificità nazionale, come racconta la battaglia di Roberto Saviano, è la saldatura della corruzione con la criminalità organizzata. Essa prospera soltanto dove c’è una zona grigia di passività, fatalismo, consenso che le fornisce l’ossigeno per affermarsi e apparire invincibile. Pertanto il problema non riguarda soltanto la grande corruzione, ma quella piccola e persino inconsapevole, di carattere ambientale, che si manifesta nel tollerare le regole di un sistema fuorilegge. Il nodo della corruzione riconduce al deficit di riformismo che caratterizza la nostra democrazia, refrattaria ad adottare condotte di trasparenza, integrità e tutela per chi denuncia il malaffare: il sentiero è stretto, ma è l’unico percorribile per vedere un po’ di luce. Altrimenti prevarrà sempre la delega purificatrice alla magistratura, oppure la scorciatoia giustizialista, accompagnata dall’eterna tenzone fra anti-italiani e arci-italiani, esterofili e strapaesani. Tra una mazzetta e l’altra, mentre contempliamo la nostra decadenza.
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I PEGGIORI D’EUROPA, di DONATELLA DELLA PORTA
Se le indagini giudiziarie sulla corruzione e le trasformazioni politiche ad esse seguite avevano fatto parlare ottimisticamente di un passaggio a una seconda (e migliore) repubblica, alcuni indicatori confermano la percezione diffusa (sia fra gli esperti che nella opinione pubblica più in generale) di una corruzione ancora rampante.
Si può iniziare dai dati elaborati da una associazione internazionale, Transparency International, fondata proprio con lo scopo di contribuire alla diffusione di politiche anti-corruzione. Il Corruption perception index di Trasparency International è basato sulle opinioni di osservatori privilegiati, combinando le analisi di 13 organizzazioni indipendenti che valutano il livello di trasparenza su una scala dove 10 rappresenta assenza di corruzione e 0 massima corruzione. Nel 2010, l’Italia si colloca al 67° posto, il livello più basso da quando l’indice ha cominciato ad essere usato alla fine degli anni Novanta. In una comparazione internazionale, l’Italia è considerata come più corrotta degli altri paesi europei (esclusi Grecia, Bulgaria e Romania), ottenendo un punteggio peggiore anche rispetto Rwanda, Ghana, Tunisia, Namibia, Malesia, Giordania. la percentuale dei cittadini italiani che dichiarano di avere ricevuto o offerto una tangente è, nel 2009, del 17% in Italia, contro il 9% della media europea. Dati simili sono riportati dal Global corruption barometer: il 13% degli intervistati in Italia ha dichiarato di avere pagato almeno una tangente, contro il 5 per cento della media della Ue. Nel tempo, la percezione che vi sia in Italia una corruzione diffusa tende a crescere. Secondo Transparency International, nel 2010, l’Italia con il 3,9 totalizza il peggior punteggio dalla prima rilevazione del 1998.
Questi dati mettono in evidenza che la percepita causa della crisi della così detta “Prima repubblica” appare ancora pienamente caratterizzare il panorama politico italiano di quelli che alcuni si sono affrettati a definire “Seconda repubblica”. La ricerca sul caso italiano segnala l’anomalia di un paese liberal-democratico industrializzato che presenta livelli di corruzione paragonabili a quelli dei paesi in via di sviluppo, segnalando la presenza di condizioni particolarmente vantaggiose per gli aspiranti corrotti e corruttori.
In Italia i fattori che orientano le scelte dei potenziali corrotti e corruttori, tanto a livello di occasioni economiche che di vincoli morali, pongono deboli barriere alla diffusione del fenomeno. Come ha osservato Alessandro Pizzorno, si è sviluppata una conventio ad consociandum, con residui di conflitto ideologico nella sfera visibile della politica, e invece accordi di reciproca connivenza in una sfera occulta della politica. Accanto alla politica, anche il mercato appare storicamente permeabile alle pressioni partitiche, data la tradizione di imprese familiari, il controllo politico delle fonti di credito, il debole sviluppo della borsa.
Se gli scandali di “tangentopoli” riguardano gli anni Ottanta e Novanta, le condizioni di quei fenomeni di corruzione della democrazia sono storicamente radicate. Proprio la bassa trasparenza della politica e della amministrazione è una chiave di lettura delle radici storiche profonde della corruzione in Italia. Sei nomi dei partiti sono cambiati dopo il terremoto di Tangentopoli, non sembra però che i partiti siano riusciti a riconquistare legittimazione tra la popolazione, che anzi assegna ai partiti percentuali di fiducia sempre più basse. Senza una riforma della politica, la corruzione appare in vigorosa crescita.
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LA BUSTARELLA NELLE MUTANDE, di FILIPPO CECCARELLI
Pensi ai preziosi molluschi del sindaco Emiliano e in cortocircuito di scomodi omaggi e necessitati appetiti ritorna alla memoria la leggenda di quel presidente socialdemocratico dell’Inail che alla fine degli anni 80 durante una perquisizione afferrò un documento, se lo mise in bocca e se lo inghiottì, glòp.
Ah, la corruzione di una volta! La prontezza sacrificale di Mario Chiesa che butta i quattrini nel cesso e tira lo sciacquone, la furia tesaurizzante di Poggiolini e dei suoi puff a doppio fondo ricolmi di dobloni, i metal-detector, la radaristicae la geofonia per scoprire l’oro nelle fioriere di Licio Gelli. Ma si stava peggio, in realtà, anche quando si stava peggio, nel senso che ieri e oggi e sempre in Italia il malaffare si porta appresso un eccesso di immaginazione, un costante aggiornamento fantasmagorico. E se vent’anni orsono Tangentopoli si annunciò con la saga delle “mutande col pizzo”, cioè bustarelle nascoste nell’intimo,e semprea Roma la moglie indignata di un tangentista gettò dalla finestra il maltolto – che sembra la scena di un film: grida nel silenzio della notte, pioggia di banconote come coriandoli, carnevale di rabbia e di vergogna – ecco che anche in questo tempo nell’albo nero della commedia si possono inscrivere le cozze pelose e rivelatrici, gli sciagurati spaghetti al caviale da 180 euri, la casa “a sua insaputa” di Scajola e perfino i massaggi nel Centro del Benessere notturno, per l’occasione rifornito di champagne e costumini da ballo brasiliani, da cui peraltro l’illustre ed eroico beneficiato non riusciva più a venir fuori, prigioniero dell’omaggio dei suoi amici ricchi e cattivi.E così anche nelle mazzette, altrimenti dette “stecche”, “cresta”, “malloppo”, come pure più pudicamente “provvigioni” o “risorse”, o più prosaicamente “merluzzi”, “biscotti”, “fischioni”, “zucchine”, ecco che in tutto questo si rivela qualcosa che ondeggia tra l’inferno dantesco e il cinepanettone. Vedi la torva pratica dello “scaricamorto”, le tangenti dell’oltretomba, da addebitare ai defunti, ma vedi anche il farsesco vitalismo del braccio destro del compunto ministro dell’Economia che distribuisce orologioni, scorrazza con la Ferrari e per Natale si fa pagare il viaggetto a New York con De Sica e la Ferillona.
E comunque, pure al netto di pruriti estetici, viene da chiedersi su che cosa, su quali comparti della società in questi anni non sono passati quattrini sporchi! E vale quasi l’elenco alfabetico: acqua, aids, anziani, quindi “vecchietti d’oro”, lenzuola “d’oro”, perfino carceri – e ce ne voleva! – “d’oro”.
Con il risultato che un’immane pubblicistica disorientai più scrupolosi collezionisti di ritagli in una girandola di inaudite scorrerie, perché si è rubato sul pane e sulle tombe, sugli aerei da guerra e sulle dentiere, sui casinò e sul palco del Papa (in Campania, costò un miliardo e 500 milioni).
Il tutto a colpi di valigette, buste policrome, scatole da scarpe o di cioccolatini, fascette, elastici, pacchetti di sigarette, custodie di cd. Intanto il ragioniere della Parmalat prende a martellate il pc per cancellare le tracce del conto “Epicurus”. E pare di riascoltare le risate di sciacalleschi costruttori la notte del terremoto dell’Aquila.E ci si scoprea immaginare l’inaudito, ma ritenendolo possibile solo qui in Italia. Le partitelle di calcetto con Previti. La ” Guida al carcere” di Zamorani. Lo yacht di Comunione liberazione. I macachi e lo zoo di don Verzè. L’arresto in diretta telefonica di Prosperini: «Non posso parlare, ma sono qui tranquillo e bello pacciarotto… però devo mettere giù».
La Repubblica 22.03.12
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