Le sentenze che entrano nella storia di un Paese sono rare, ma quella della Corte di Cassazione che ha affermato, con una lunga, drastica e rigorosa motivazione il diritto delle coppie omosessuali ad avere una famiglia, a essere una famiglia, è una di queste. Il discorso del matrimonio fra omosessuali è lasciato in un angolo. La Corte si è limitata a ribadire il rifiuto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso, in quanto non consentito dalla nostra legge. Ma l’attenzione dei giudici della Suprema Corte è concentrata sulla mancanza di regole che consentano agli omosessuali di avere un nucleo familiare regolamentato dalla legge, sia nelle fasi di serenità della vita insieme, sia nei casi di crisi quando la coppia entra in conflitto, perché è evidente che anche le coppie omosessuali possono avere un percorso litigioso, che la legge deve regolamentare. Si tratta in concreto della fissazione di un assegno di mantenimento, dell’assegnazione della casa, dei diritti successori, della reversibilità della pensione.
La sentenza della Cassazione non si presta a interpretazioni ideologiche o preconcette. La sentenza non è un lenzuolo troppo corto che ciascuno può tirare dalla sua parte, a seconda delle proprie tendenze di pensiero. Nessuno può dire che i giudici hanno fatto una legge, perché non è il loro mestiere. Nessuno può dire che i giudici di merito potranno, caso per caso, disporre assegni di mantenimento, disporre diritti successori, disporre pensioni di reversibilità.
I giudici della Suprema Corte non hanno modificato la legge, hanno fatto una diagnosi sociale, hanno guardato i fatti e, come si sa, i fatti sono argomenti testardi. Le coppie omosessuali sono una realtà sociale estesa, regolamentata nella maggior parte dei Paesi della nostra civiltà, e in quanto tali occorre una legge che dia le regole. Altrimenti le norme del nostro ordinamento che si occupano solo dei rapporti giuridici tra le coppie sposate, in Chiesa o in Comune, finiscono sugli scogli della incostituzionalità. Una incostituzionalità che non nasce, come per solito, da una legge esistente che viola le norme costituzionali, ma da una legge che tace, da una legge che resta in silenzio di fronte ad un fenomeno che riguarda cittadini che sono contribuenti come gli altri, che sono un nucleo della società che va tutelato come gli altri.
Questa corretta lettura della sentenza emerge proprio dai commenti positivi e negativi nel mondo laico e politico e nel mondo della Chiesa. Insomma è la legge che deve venire e questo è tanto vero che alla Commissione Giustizia della Camera ripartono le proposte per una normativa che scaturisce dall’insegnamento della Suprema Corte e che a quell’insegnamento dovrà ispirarsi con chiarezza dopo la serie senza fine e inutile dei tentativi non riusciti: Pacs, Dico e così via. Le sigle sono venute a noia, ci vogliono delle norme e un accordo bipartisan di uomini e donne dei vari schieramenti, forse si profila. Sarebbe ora.
Il Corriere della Sera 20.03.12