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"Progressisti, da Parigi parte la sfida: cambiare il volto dell’Unione", di Simone Collini

Inizia oggi a Parigi la convention della Fondazione europea per gli studi progressisti. Democratici italiani, socialisti francesi per Hollande e socialdemocratici tedeschi, un fronte comune contro «Merkozy». Oggi a Parigi, ma la prossima primavera l’appuntamento sarà a Roma e poi in autunno a Berlino. Perché dopo le presidenziali francesi si voterà anche in Italia e in Germania. E, come dice Massimo D’Alema, qui in veste di presidente della Fondazione europea per gli studi progressisti (Feps), i prossimi 18 mesi possono «cambiare il volto dell’Europa».
Questa sorta di cooperazione rafforzata tra le forze progressiste europee è alla base di un’operazione che prende il via con la firma del documento intitolato «Un nuovo Rinascimento per l’Europa» ma che non si chiude oggi, quando il candidato all’Eliseo François Hollande, il leader del Pd Pier Luigi Bersani e quello della Spd Sigmar Gabriel sigleranno sotto la volta del Cirque d’Hiver una piattaforma programmatica comune sulle politiche comunitarie.
RICREARE FIDUCIA TRA CITTADINI E UE
Socialisti francesi, democratici italiani e socialdemocratici tedeschi (ma l’iniziativa è aperta ad altri e non a caso è arrivato a Parigi anche il britannico David Miliband e il primo ministro belga Elio Di Rupo) hanno deciso di fare fronte comune contro quell’asse «Merkozy» che in questi anni, attraverso politiche puntate essenzialmente sul rigore dei bilanci, le sanzioni, l’austerità, hanno finito per fare dell’Europa più un ente distante e da temere che un’opportunità per affrontare e superare la crisi economica.
«Bisogna ricreare un rapporto di fiducia tra i cittadini che soffrono la crisi e l’Europa», dice D’Alema durante una pausa dei lavori del seminario organizzato alla vigilia dell’iniziativa pubblica di oggi, «servono una strategia per la crescita, il completamento del mercato interno, gli Eurobond». Per questo le fondazioni vicine ai partiti progressisti europei (la nostra Italianieuropei, la francese Jean Jaurès e la tedesca Friedrich Ebert Stiftung, con la Feps a coordinare l’operazione) hanno avviato un percorso che per ora ha portato al documento che verrà sottoscritto oggi, ma che si svilupperà giocando un ruolo tutt’altro che secondario nelle campagne elettorali dei tre paesi, che insieme contano 200 milioni di cittadini europei su un totale di 330 milioni dell’Eurozona.
Inutile dire che se il primo passo dovesse andare in fallo tutto il resto del percorso sarebbe in salita. Insomma una vittoria di Hollande è importante per la Francia come per gli atri singoli paesi comunitari e per la stessa Europa. «Se a Parigi ci sarà Hollande lo scenario europeo cambierà e l’Europa sarà spinta a politiche più favorevoli alla crescita»,
è il ragionamento di D’Alema. «Anche rispetto ai nostri interessi nazionali, sarebbe un cambiamento positivo se si ponesse fine al blocco franco-tedesco verso tutte le proposte in favore della crescita». Soprattutto per un paese come il nostro colpito profondamente dalla crisi economica. «L’Italia è interessata in modo vitale ad un’Europa più attiva in direzione della crescita. Il presidente Monti non ha fatto mistero in diverse occasioni della necessità di una svolta in questo senso».
SOSTEGNO A HOLLANDE
A Parigi arrivano come un’eco lontana le voci critiche di esponenti Pd che giudicano un errore il sostegno ad Hollande e che non vedono di buon occhio la firma di Bersani del documento insieme ai socialisti francesi e ai socialdemocratici tedeschi. Beppe Fioroni, Marco Follini e una dozzina di ex-popolari hanno firmato una sorta di memorandum alternativo che è stato pubblicato dal Foglio. Ma se loro sono favorevoli ad appoggiare il candidato centrista François Bayrou piuttosto che Hollande, D’Alema ha gioco facile nell’ironizzare sul fatto che i candidati all’Eliseo li scelgono i francesi, non il Pd: «Il candidato in corsa per sostituire Sarkozy è Hollande, consiglierei a questi amici una attenta lettura dei giornali stranieri».
Ma al di là delle presidenziali francesi, che pure sono importanti, l’operazione avviata costituisce una novità di non poco conto perché ha come obiettivo, dice D’Alema, «fare della sinistra la forza più europea e più europeista»: «Tradizionalmente non era così sottolinea il presidente della Feps anzi, per certi aspetti la sinistra guardava alla costruzione europea come ad una grande avventura liberale, magari pensando che lo stato nazionale fosse la garanzia per certe conquiste sociali».
Oggi, tra scenografia e interventi, si vedrà il nuovo corso. Al Cirque d’Hiver parleranno i protagonisti dell’operazione e anche il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz.
Pier Luigi Bersani insisterà sulla necessità di dare all’Europa politiche per la crescita e non solo rigore, dicendo che «da Parigi deve ripartire il sogno di un’Europa libera, pacifica e più giusta». Il leader del Pd è arrivato ieri sera nella capitale francese, dove ha incontrato la portavoce del consiglio nazionale siriano Basma Qadmani. Le ha espresso la solidarietà dei democratici italiani per la dura repressione nel suo Paese e l’ha invitata a Roma per il 19 e 20 aprile, quando si terrà la conferenza internazionale dei leader progressisti e una parte dei lavori sarà dedicata proprio alla primavera araba.

l’Unità 17.3.12

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Il documento alla base dell’incontro di Parigi: «L’Europa è il nostro patrimonio»

Lavoro, solidarietà giustizia fiscale: così l’Europa può rinascere
Il testo alla base dell’incontro dei Progressisti a Parigi: la sfida per rilanciare l’Unione su basi di maggiore democrazia ed equità. Il ruolo delle tecnologie, delle infrastrutture e della ricerca. La scommessa di una nuova governance

Pubblichiamo il testo «Rinascita europea. Crescita, solidarietà, democrazia: un nuovo percorso è possibile» che è alla base dell’incontro di Parigi. Alla stesura hanno partecipato la Fondazione europea di studi progressisti, vicina al Partito Socialista Europeo, la Fondazione Jean Jaurès, vicina al Partito Socialista francese, la Fondazione Italianieuropei, vicina al Pd italiano e la Fondazione Friedrich Ebert, vicina alla Spd tedesca.
Asettembre 2011, i socialdemocratici danesi sono tornati al governo. Nel novembre 2011 il governo conservatore italiano ha rassegnato le dimissioni. A dicembre 2011 un primo ministro socialista è stato designato in Belgio. Nel 2012 e 2013 le elezioni in Francia, in Italia e in Germania possono rivelarsi decisive per intraprendere un nuovo percorso per l’Europa, sostenuto da una vasta alleanza dell’insieme delle forze socialiste, progressiste e democratiche.

L’Europa è il nostro patrimonio
comune. Il nostro compito è di perseguire la costruzione di un’Europa più unita e democratica. Prendiamo atto che l’assenza di una governance economica europea democratica ed efficace minaccia di trascinare l’Europa in recessione. Privilegiando la deflazione salariale, omettendo di condurre politiche per la crescita e l’occupazione, trascurando la solidarietà e la lotta contro le disparità, riducendo l’Europa a uno spazio di vigilanza e di sanzioni, trascurando il dialogo sociale e la democrazia, si voltano le spalle sia alla necessità di lottare contro la crisi che allo stesso progetto europeo.
Adesso spetta all’Unione europea fornire risposte appropriate. La responsabilità di bilancio e la disciplina fiscale sono degli imperativi per la stabilità nella zona euro e per rilanciare il modello sociale europeo. In ogni Stato dovrebbe essere istituito un percorso che garantisca la riduzione del deficit e dell’indebitamento. È indispensabile ridurre l’indebitamento sovrano in Europa. Ciò andrebbe fatto in modo responsabile, nel rispetto delle regole democratiche di una nuova sovranità europea condivisa e in accordo con i principi di uguaglianza e giustizia sociale. Dovrebbero essere adottate quanto prima iniziative, a livello di Unione europea, per stimolare una crescita sostenuta e sostenibile. Andrebbero rafforzati in questa direzione gli interventi della Banca Europea per gli Investimenti (Bei). Nella fattispecie, le priorità dovrebbero essere la creazione di posti di lavoro e la lotta contro la segmentazione del mercato del lavoro, in particolare nei confronti dei giovani e delle donne.
La politica industriale deve essere reinventata. Essa deve essere messa al servizio dello sviluppo dei grandi progetti industriali, tecnologici, infrastrutturali, di ricerca di innovazione, che favoriscano la conversione ecologica dell’Europa. La politica industriale dovrà favorire un’industria sostenibile («sobria in carbone») basata sulle tecnologie verdi, che assicuri impieghi duraturi e qualificati . Ci sembra inoltre fondamentale appoggiare la diffusione generale e l’armonizzazione dei «certificati verdi» già esistenti in alcuni Paesi dell’Unione europea, per contribuire alla lotta contro il riscaldamento climatico.
Devono essere create nuove risorse. Dovrebbe essere subito adottata dal Consiglio la proposta difesa da tempo dai progressisti europei e presentata recentemente dal gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici al Parlamento europeo che punta a istituire una tassa sulle transazioni finanziarie.
Questa consentirà un rincaro del costo delle operazioni speculative, il riequilibrio della tassazione del capitale e del lavoro e faciliterà la lotta contro l’ingiustizia fiscale. Questa tassa assicurerà inoltre che al rilancio dell’economia contribuiscano gli stessi soggetti che hanno provocato la crisi finanziaria. L’Unione Europea dovrebbe assumere iniziative sulle relazioni con i «paradisi fiscali», con l’obiettivo di lottare contro l’evasione fiscale e contribuire a sanare le finanze pubbliche.
Al tempo stesso, sarebbe opportuno affrontare seriamente i profondi squilibri macroeconomici e sociali all’origine della crisi nella zona euro.
Il miglioramento della competitività dei Paesi in situazione di deficit commerciale dovrebbe essere accompagnato da sforzi reciproci da parte dei Paesi che invece hanno eccedenze, stimolando la loro domanda interna. Ciò contribuirebbe ad invertire la tendenza alla distribuzione impari della ricchezza di questi ultimi decenni. Sarebbe necessario inoltre distinguere le spese per gli investimenti dalle spese di funzionamento.
La solidarietà deve essere posta al centro delle politiche europee. In questo modo sarà garantita la stabilità della nostra moneta. Proponiamo di prendere in considerazione il rafforzamento di una responsabilità comune europea per una parte del debito sovrano. Le euro-obbligazioni contribuirebbero a un nuovo fondo per il riassorbimento del debito e permetterebbero un riequilibrio delle finanze pubbliche. Il fallimento dei tentativi di rispondere alla crisi nella zona euro da parte dei governi conservatori in Europa, ha portato la Banca centrale europea a svolgere un ruolo attivo nei mercati finanziari. Se questo deficit di leadership politica persistesse, la Bce sarebbe, alla fine, obbligata a svolgere un ruolo ancora più forte per combattere la crisi finanziaria. Questo riorientamento delle politiche economiche in Europa non può comunque essere concepito senza un vero regolamento finanziario, che rimetta i mercati finanziari al servizio dell’economia reale e ristabilisca gli opportuni legami tra finanza ed economia.
Tutto ciò richiede il rafforzamento di una vera democrazia su scala europea. Per questo motivo, l’Unione europea dovrebbe rafforzare le proprie competenze e dotarsi di una vera governance. I cittadini europei dovrebbe essere messi nelle condizioni di poter decidere chiaramente gli orientamenti politici dell’Unione. Il metodo intergovernativo perseguito dai governi conservatori non aiuta. Converrebbe invece estendere la codecisione alle scelte fondamentali di politica economica e sociale. Ciò implica una democrazia europea basata sul metodo comunitario e su un ruolo più decisivo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali fondata sulla sussidiarietà e la partecipazione dei cittadini e accompagnata dal rafforzamento dell’influenza di veri partiti politici europei. A questo proposito, i partiti progressisti europei dovrebbero proporre un candidato comune alla presidenza della Commissione europea.
In questo modo, nel rispetto della Carta dei diritti fondamentali, un’altro cammino per l’Europa diventa possibile.

l’Unità 17.3.12

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“Gli ingredienti di un programma alternativo”, di Massimo D’Antoni

Guardando all’iniziativa di Parigi non può sfuggire innanzitutto il quadro di insieme, per così dire la foto di gruppo: il tentativo di realizzare quell’azione coordinata dei partiti progressisti europei che è la sola possibilità di segnare un cambio di direzione rispetto alla strada senza uscita imboccata negli ultimi anni. Per le sue conseguenze sul piano sociale e democratico, la ricetta dei conservatori europei sta creando tutte le condizioni per un ripiegamento nazionalistico e, se perseguita ulteriormente, porterebbe allo sfaldamento dell’euro prima e di ogni progetto di integrazione poi.
Rispetto alle difficoltà del nostro paese sarebbe certo ingenuo pensare all’Europa come al classico deus ex machina, ma lo sarebbe altrettanto scambiare l’attuale fase per la fine della fase acuta della crisi. L’abbiamo detto più volte: il recupero della credibilità nella conduzione della politica nazionale, e quindi il ripristino di condizioni di reciproca fiducia tra paesi, è un passo necessario, ma in nessun modo sufficiente. Né il nostro paese né gli altri paesi colpiti più duramente dalla crisi reggerebbe sul piano sociale la prospettiva di cinque o dieci anni di stagnazione cui ci sta condannando la linea dell’austerità. La finestra temporale concessaci dalla politica monetaria espansiva della Bce sotto la guida del presidente Draghi non durerà a lungo, e non ci si può illudere che la crescita riparta per effetto delle sole liberalizzazioni o magari di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, come qualcuno si ostina a suggerire.
Per superare le difficoltà del nostro paese, che vengono da lontano, servono interventi strutturali, ma questi richiedono risorse. Penso agli ammortizzatori sociali, a
investimenti infrastrutturali, alla crescita del capitale umano, alla ricerca, al ripristino della funzionalità della macchina pubblica, per garantire legalità e servizi pubblici; penso infine ad un piano per l’occupazione giovanile e femminile. È per questo che è vitale l’avvio urgente di una fase espansiva, mediante politiche di riattivazione della domanda che in questo momento le condizioni debitorie non consentono ai singoli stati ma che sono ancora possibili a livello europeo.
Nel documento di Parigi gli ingredienti per un programma alternativo rispetto all’attuale linea dell’Europa conservatrice ci sono tutti. Innanzitutto la denuncia dei rischi della ricetta deflazionistica che punta a colmare i divari di competitività tra le economie puntando su una riduzione dei salari nei paesi in difficoltà, e quindi scarica ancora una volta sul lavoro le tensioni macroeconomiche. A questo proposito, è di estrema importanza il riconoscimento che “il miglioramento della competitività dei paesi in deficit commerciale dovrebbe essere accompagnato da sforzi complementari nei paesi in surplus attraverso un ruolo di stimolo alla domanda interna”, nonché attraverso politiche di riduzione della diseguaglianza.
L’attenzione alle compatibilità di bilancio e alla disciplina di bilancio non è elusa, la necessità di puntare ad una riduzione dell’entità del debito sovrano è anzi affermata con chiarezza. Tale attenzione è tuttavia coniugata con l’esigenza di rilanciare il modello sociale europeo con i suoi ideali di solidarietà uguaglianza e sostegno all’occupazione; ciò in chiara antitesi con la tesi del pensiero conservatore, che considera tale modello esaurito e lo addita come responsabile dell’attuale difficoltà del continente. Il risanamento dei conti pubblici deve essere ottenuto con responsabilità, secondo principi di giustizia sociale e nel rispetto delle regole democratiche. Non è difficile cogliere qui un chiaro riferimento critico alla gestione della crisi greca, anche nella richiesta di mettere al centro dell’azione europea la solidarietà e il “rafforzamento della responsabilità comune” nella gestione dei debiti, mediante il ricorso agli eurobond.
E ancora: l’importanza di una politica industriale, che tra le altre cose sviluppi tecnologie per la sostenibilità ambientale; di reperire risorse (tramite la tassazione delle transazioni finanziarie, il coordinamento nella lotta all’evasione e l’emissione di project bond) per finanziare progetti europei di investimento; di progetti di sostegno dell’occupazione.
Infine: l’affermazione del metodo comunitario e del rafforzamento delle istituzioni rappresentative, al fine di costruire una democrazia su scala europea che segni la fine della prevalenza del metodo intergovernativo praticato dai governi di destra.
In poche pagine, una direzione indicata in modo tutt’altro che generico o inadeguato alla sfida del momento. Un progetto che, senza chiedere ai partiti che lo sostengono di rinunciare alla propria specificità culturale, alle proprie storie, ai tratti caratterizzanti la propria esperienza nazionale, individuando chiaramente quale propri riferimenti l’Europa, la giustizia sociale, il lavoro, la democrazia, si presta a definire l’identità di una forza progressista europea.

L’Unità 17.03.12