Verboten! Quando in Italia si parla di giustizia scattano subito i veti, a cominciare ovviamente dal partito di Berlusconi. Anzi, ad essere precisi, si può parlare di tutto ma con due eccezioni: la giustizia e la tv. Non è difficile capire perché: si tratta dei due pilastri del sistema di potere personale costruito in quasi vent’anni da Silvio Berlusconi.
E sono strettamente connessi: la televisione è stato uno strumento essenziale per costruire una forma di moderno dispotismo su base democratica; il controllo della giustizia, fin dall’inizio, è stata la leva utilizzata per cercare di mettere in sicurezza cioè al riparo della legge Berlusconi.
Dai suoi «valvassini» il Cavaliere ha fatto varare in Parlamento (almeno) 37 leggi ad personam: dalle rogatorie alla riforma dei reati societari, dalla legge Gasparri sulle televisioni al Lodo Alfano, fino al decreto Salva-Milan. In breve: non c’è stato aspetto del suo sistema di potere personale ed economico che non sia stato toccato, e salvato, dalla «grazia» (laica) del Parlamento attraverso una sistematica sostituzione dell’arbitrio alla legge, con una sfrontata mortificazione del principio di ogni democrazia moderna quello secondo cui «tutti i cittadini sono eguali di fronte alla legge».
In diciassette anni Berlusconi ha subordinato, senza mai distrarsi, l’attività legislativa ai suoi interessi personali in un crescendo inarrestabile, con un uso «privatistico» dello Stato tipico del dispotismo classico. Ne è scaturita una situazione premoderna, di tipo feudale: come direbbe il vecchio Marx, siamo ritornati alla «democrazia dell’illibertà», alla «compiuta alienazione» tipica del Medioevo, in cui «ogni sfera privata ha carattere politico» e si proietta in una legge che è pura e immediata espressione degli interessi privati.Tutto questo lo vediamo bene proprio mentre il berlusconismo tramonta ha acuito al massimo il problema di una pronta, efficace e severa riforma della giustizia in Italia. Come per la televisione, il tema della giustizia oggi riguarda direttamente la struttura e la costituzione interiore della nostra democrazia. Di qui non si esce, e non si può uscire, se si vuole porre su basi salde il nostro «vivere civile», cominciando a lasciarsi alle spalle la lunga stagione del dispotismo democratico e ristabilendo finalmente, e per tutti, il primato della legge, fondamento originario della eguaglianza dei cittadini.
I punti su cui lavorare sono chiari, nascono dalle cose: la lotta alla corruzione, anzitutto, che è un cancro della nostra economia; la giustizia civile che riguarda direttamente la vita dei cittadini e delle aziende; la responsabilità civile dei magistrati che va affrontata senza spirito di vendetta; la questione delicatissima, ma non più rinviabile delle intercettazioni telefoniche per tutelare al meglio diritto all’informazione e tutela della privacy quando si tratta di colloqui non penalmente rilevanti. Non si tratta, come si vede, di richieste di tipo giacobino; né di problemi che coinvolgono solamente le forze di sinistra. Sono questioni e problemi che concernono il «vincolo» originario di una comunità di cittadini e, perciò, anche di coloro che auspicano la formazione in Italia di una destra post-feudale, moderna, democratica. Quindi sono problemi che dovrebbero riguardare anche molti di coloro che, pur militando nel partito di Berlusconi, non identificano le sorti, e il futuro, del movimento con i destini privati e personali del suo fondatore. Osservino bene quello che accade nel Paese: la campana suona anche per loro.
L’Unità 17.03.12