attualità, politica italiana

“Quando i professori non sanno comunicare”, di Giovanni Valentini

Avevamo apprezzato tutti, agli esordi del governo guidato da Mario Monti, il rigore e la compostezza del Professore. Il cambio di passo e di stile, rispetto all´happening quotidiano a cui ci aveva sottoposto il suo predecessore, con un bombardamento continuo di polemiche, insulti, smentite e controsmentite. E proprio in questa rubrica, a metà gennaio l´avevamo definito “il buongoverno dei castigamatti”, auspicando tuttavia che il presidente del Consiglio e i suoi ministri “tecnici” non cedessero alla cattiva abitudine di colpevolizzare la libera stampa per le eventuali critiche né alla suggestione mediatica dei talk-show televisivi.
Ma ora, a quattro mesi dall´insediamento del nuovo governo, sono diventati troppi gli incidenti di percorso a cui Repubblica Tv ha dedicato ieri un efficace servizio di Laura Pertici. Dalla prima “gaffe” del ministro Clini a favore del nucleare a quella del ministro Fornero sull´articolo 18; dalla sortita del ministro Cancellieri sul posto fisso a quella del vice-ministro Martone sugli studenti universitari “sfigati”, fino all´ultimo caso del ministro Riccardi che confida fuori onda alla collega Severino: “Sono schifato dalla politica”.
Non vogliamo discutere qui sul merito di questa affermazione. La politica può piacere o non piacere, fare schifo o meno. E francamente, in questo momento non dà il meglio di sé. Ma è certo comunque che un ministro della Repubblica, legittimato dal voto e dalla fiducia del Parlamento, non può esprimersi in questi termini come fosse Beppe Grillo. Tant´è che lui stesso ha sentito opportunamente la necessità di scusarsi.
Altrimenti, si fa terra bruciata, rischiando di alimentare l´antipolitica o addirittura il qualunquismo. E quando il presidente Monti parla dello spread fra i partiti che sostengono la maggioranza, dovrebbe usare l´accortezza di distinguere tra partito e partito, in base alle rispettive responsabilità. In fondo, avendo accettato il laticlavio di senatore a vita, lui stesso ormai fa parte integrante del Parlamento e quindi della politica.
Quando i tecnici comunicano male, dunque, non giovano evidentemente al Paese. Ma la domanda ulteriore è un´altra: perché comunicano male? Ovvero, perché non sanno comunicare? Il fatto sarebbe già grave per qualsiasi professore, maestro o docente di università, che – oltre alla conoscenza della materia che insegna – dovrebbe possedere anche la capacità didattica di comunicare e trasmettere il suo sapere ai propri allievi. Ma ovviamente è tanto più grave quando i professori vanno al governo, e per ciò stesso diventano politici, perché sono chiamati a comunicare con una platea ancora più ampia, con i cittadini più o meno istruiti, con tutta la società, con la gente comune.
Nel caso del governo in carica, non c´è però solo un orientamento pedagogico che in questa situazione sarebbe più che lecito e naturale. C´è anche l´atteggiamento punitivo dei “castigamatti”, appunto. E al fondo, si coglie perfino un vago disprezzo per l´intero ceto politico che – oggettivamente – fa di tutto per meritarselo.
Il metodo maieutico dell´esecutivo tecnico non corrisponde insomma alla ricerca del maggior consenso possibile, attraverso il confronto, la persuasione e – diciamo pure – la mediazione. Non si vuole tanto convincere, quanto imporre le scelte. Una tecnocrazia italo-europea che a volte rischia di sfiorare l´autoritarismo, magari in modo inconsapevole, tranne quando si tratta delle banche o delle liberalizzazioni, quelle vere; della Rai o delle frequenze televisive.
Prendiamo come paradigma il caso della Tav in Val di Susa. Non basta dire che si deve fare perché si deve fare. O perché i governi italiani hanno già assunto tutti gli impegni, perché la Francia ha costruito i suoi tunnel, perché bla-bla-bla. Bisogna coltivare, da parte del governo, la volontà, la capacità e la pazienza di spiegare, di chiarire, di motivare.
È pur vero che il dialogo c´è stato e s´è già discusso ampiamente. Che alcune delle richieste sono state recepite, tant´è che il progetto originario è stato modificato con costi supplementari per il tratto della ferrovia “in trincea”, cioè interrata. Ma si può pensare davvero di realizzare un´opera del genere attraverso la militarizzazione permanente del territorio? E quanto costerebbe presidiare i cantieri con le forze dell´ordine, 24 ore su 24, per i prossimi dieci o quindici anni?
Forse il governo dei professori non farebbe male a nominare uno “speaker”, un portavoce ufficiale, un responsabile delle Relazioni esterne, al quale affidare il compito di comunicare con i giornalisti e quindi con l´opinione pubblica. Ma comunque per tutti loro sarebbe opportuna una minore esposizione sul piano mediatico, una maggiore discrezione e riservatezza. La riconoscenza per il terribile impegno che Monti e i suoi ministri si sono assunti, a vantaggio del Paese e quindi di tutti noi, non impedisce di esprimere qualche cauta e rispettosa riserva nei confronti di certi comportamenti.
Piaccia o non piaccia ai tecnici del governo, anche loro al momento sono rappresentanti del popolo: nel senso letterale che rappresentano gli interessi legittimi, le aspettative e le speranze dei cittadini. Non si può stare al governo come si sta nel consiglio di amministrazione di un´azienda o nel “board” di una multinazionale. Più che un esercizio di potere, la politica – compresa quella “pro tempore” – è o dovrebbe essere innanzitutto un servizio alla collettività.

La Repubblica 10.03.12

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