L’8 marzo dello scorso anno un’autorevole delegazione di donne democratiche consegnò a Palazzo Chigi un pacchetto che rappresentava simbolicamente milioni di firme che il Pd aveva raccolto per chiedere le dimissioni di Berlusconi. Oggi possiamo dire che quelle firme hanno avuto la loro risposta, ma siamo ancora nel pieno di una grave crisi di sistema, che ci chiede di sostenere il lavoro di Monti senza smarrire la consapevolezza della necessità di una lunga fase di ricostruzione del Paese. Uscire dal berlusconismo, cosi come dalla crisi economica più grave dal dopoguerra, significa interrogarci a fondo su quale futuro immaginiamo. Con la consapevolezza che i danni prodotti dal considerare le istituzioni oggetti di proprietà o luoghi dove affrontare e risolvere questioni patrimoniali o giudiziarie del premier, sono profondi ed investono tutti.
Quello che è venuto alla luce in questi mesi, e che è stata una delle ragioni del successo della manifestazione del 13 febbraio, è che questa concezione individualista e proprietaria, fondata sul travisamento assoluto dell’idea della libertà, è strettamente intrecciata con la marginalizzazione della forza femminile, con lo squilibrio profondo dei ruoli tra uomini e donne, con le offese alla dignità femminile. Tutto ciò non solo costituisce una violazione dei diritti delle donne, ma è un blocco per lo sviluppo del Paese.
Allora, la parola chiave che vogliamo sia al centro del nostro progetto è democrazia paritaria. È la ricostruzione delle istituzioni democratiche attraverso la condivisione del potere pubblico e delle responsabilità private, che presuppone una rivoluzione nella mentalità, nella cultura, nel modo in cui oggi il potere è distribuito nel nostro Paese, nelle forme in cui il lavoro è organizzato. La democrazia paritaria è la risorsa attraverso cui dare forza al cambiamento della politica. Non è solo un tema di riequilibrio della rappresentanza, ma significa costruire un legame diverso tra cittadini ed eletti, fondato sulla qualità della proposta e del progetto politico.
Se guardiamo alla storia dei 150 anni dell`unità d’Italia, i 60 anni trascorsi dal diritto di voto sono pochi, eppure molti passi avanti sono stati fatti. Ma se guardiamo ora, con gli occhi delle donne che faticosamente hanno conquistato autonomia e senso di sé, al panorama di amministrazioni spesso completamente maschili, una politica chiusa alle capacità e ai bisogni femminili non è più accettabile.
A Milano, Bologna, Trieste, Cagliari, la formazione di giunte paritarie è seguita ad una straordinaria partecipazione femminile che ha contribuito alla vittoria del centro sinistra. A Roma e in altre città i Tar hanno dato ragione ai ricorsi per la presenza delle donne nelle giunte.
Ma ci vogliono nuovi strumenti, a partire dalla rapida approvazione in Parlamento della legge che prevede la doppia preferenza di genere per le elezioni nei Comuni e quote per le giunte. La stessa legge che stiamo chiedendo in tante Regioni. Finalmente discutiamo di abolizione del “Porcellum”, ma dopo 10 anni trascorsi dall’approvazione del nuovo articolo 51 della Costituzione, dobbiamo farlo assumendo il tema di regole e sanzioni per la presenza delle donne nelle liste e la loro successiva elezione.
Partiamo dalla proposta del Pd, che prevede la parità tra uomini e donne nella parte delle candidature riferibili ai collegi e l’alternanza in quella proporzionale (siamo il partito che ha eletto la più alta percentuale di donne in Parlamento…). Ma molte studiose, costituzionaliste, associazioni hanno proposto regole per la parità da applicare anche in presenza di sistemi elettorali diversi e per l’ipotesi di primarie. Le soluzioni non mancano, così come le esperienze europee. Naturalmente, le leggi elettorali non bastano se non sono accompagnate dalla capacità dei partiti di ripensare la propria organizzazione, le modalità di partecipazione, la costruzione del consenso, la selezione e formazione dei gruppi dirigenti. Attraverso quel metodo democratico richiamato dell’art. 49 della Costituzione che dovrebbe essere tradotto in legge.
Le donne hanno bisogno di partiti forti, di sedi trasparenti della decisione, dove siano chiari responsabilità e percorsi. Partiti che abbiano saldi rapporti con l’Europa ed investano sulla sua dimensione politica. Insomma, partiti che agiscano come soggetti collettivi, non come la risultante di personalismi. Questa fase di cambiamento ci offre l’opportunità di un grande dibattito pubblico, politico e culturale, per rendere la nostra democrazia più ricca, giusta, inclusiva.
L’Unità 08.03.12
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Otto Marzo, “Il ruolo delle donne è decisivo per lo sviluppo e la crescita del Paese”, di Pier Luigi Bersani
“Oggi è un giorno importante perché pone al centro la valorizzazione del ruolo delle donne, che è uno dei pilastri della nostra linea politica, delle nostre proposte concrete, e rispetto al quale in tutto il mondo e anche in Italia c’è ancora moltissima strada da fare”, ha detto il Segretario del PD Pier Luigi Bersani per la giornata internazionale delle Donne.
“Il ruolo delle donne nel mondo del lavoro, attraverso il sostegno all’occupazione e alle possibilità di avanzamenti economici e nelle carriere, il rispetto della dignità femminile, dei diritti sociali, la parità nella composizione dei gruppi dirigenti nei diversi ambiti, dalla politica alle aziende: sono obiettivi decisivi per lo sviluppo e la crescita sui quali siamo fortemente impegnati. Il grado di civiltà di un paese si misura dal modo con il quale vengono considerate e trattate le donne. In questo stesso contesto – ha aggiunto Bersani – desidero ricordare che oggi è un giorno importante anche per un altro motivo: esattamente l’otto marzo dello scorso anno, quando tutto l’establishment economico, amministrativo e dell’informazione italiano sosteneva a spada tratta Berlusconi e Tremonti che con le loro scelte ci stavano portando al disastro, una delegazione di donne del Partito Democratico consegnò a Palazzo Chigi una parte dei milioni di firme raccolte tra gli italiani per chiedere che Berlusconi se ne andasse e consentisse così la formazione di un governo di transizione. Fu uno dei momenti, non l’unico, in cui le donne italiane, non solo quelle che si riconoscono nel Pd, hanno saputo sostenere il risveglio del civismo e dell’impegno nel nostro paese”.
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nna Finocchiaro, Presidente del gruppo del PD nel suo intervento nell’aula del Senato, nella giornata dell’8 marzo, ha parlato della mozione unitaria per il riequilibrio della rappresentanza di genere nella prossima riforma della legge elettorale. “La discussione di questa mozione, non riguarda la tutela di una minorità o di una categoria di soggetti che ha bisogno di una particolare tutela. Qui stiamo parlando della questione politica che viene in campo ai fini della compiutezza dei sistemi democratici e della forza di un Paese in ragione della forza e del protagonismo delle donne italiane. Questa è la questione – ha chiarito – come mettere in condizione l’Italia di giovarsi della forza e del protagonismo delle donne italiane, anche nella politica e nelle istituzioni, per la sua modernizzazione e il suo rilancio? Cosa serve perché in Italia la forza delle donne possa essere trasferita nei luoghi della politica? Come fare per aprire il mercato delle opportunità di accesso alle sedi di rappresentanza politica e di esercizio del potere alle donne? Quanto ancora il fortilizio del potere maschile dovrà essere chiuso?”
Finocchiaro ha aggiunto che di tratta di “una discussione che ha interessato non solo tutte le democrazie occidentali, ma direi tutti i paesi del mondo, alla quale partecipano parlamenti e governi che sono chiamati ad esprimersi nei consessi internazionali più prestigiosi, dalle sedi Onu a quelle europee. Ma è una questione urticante, spinosa, perché mette in discussione la distribuzione del potere, per tradizione nella mani maschili. La questione del riequilibrio della rappresentanza in tutte le democrazie occidentali è infatti preliminare per la scelta dello strumento elettorale, più di quanto non lo sia la scelta tra maggioritario e proporzionale. Perché è ovvio che misurare lo strumento elettorale rispetto alla necessità di riequilibrare la rappresentanza impone delle scelte. Poniamo quindi il tema politico per quello che è – ha concluso Anna Finocchiaro – questo tema ci accompagnerà nel lavoro di questi mesi e di questi anni”.
www.partitodemocratico.it
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“L’anno delle donne senza più Nemico”, di Franca Fossati
L’8 marzo è un compleanno, l’occasione di un “ripasso” dei mesi trascorsi. Inevitabile è tornare al febbraio 2011: tutte quelle donne in piazza e quei sentimenti mischiati, la protesta, l’orgoglio, la dignità offesa e il denominatore comune dell’antiberlusconismo.
Ci fu dibattito, prima, e servì a frenare la deriva di una messa all’indice delle ragazze licenziose. Fu prova di forza: la misura era colma (se non allora, quando?). Gli arcinemici del premier tutti a dire evviva le donne, mentre prolificavano comitati con quel nome da fumetto, Snoq. Voglia di iniziativa su tutti i fronti di vecchie e nuove militanti e piccole burocrazie in ascesa.
Sotto il sole di Siena, a luglio, quel movimento elencava piattaforme e obiettivi, con la crisi che azzannava l’Europa. Ai nomi delle olgettine si sostituivano parole poco piccanti come occupazione, precarietà, welfare. È a novembre che Berlusconi se ne va, dai cuori di molte se ne era già andato a febbraio. Il governo tecnico fa sperare: tre donne ministro, ministre sul serio. Sarà l’occasione per ridisegnare l’Italia a misura di donna? La manifestazione che le promotrici di “Se non ora quando” avevano convocato per l’11 dicembre, pensata con Berlusconi regnante, perde impeto e risulta difficile riempire piazza del Popolo. Non c’è più il Nemico e la proposta di un Pink new deal non scalda i cuori, anche se anima gruppi di lavoro e di ricerca. Ma non sembra interessare il governo nè i grandi organi di informazione che tanto avevano esaltato l’indignazione femminile.
Certo, fanno notizia le lacrime di Fornero come fa notizia che siano tre signore a occuparsi del tema più caldo e più doloroso, il lavoro. Alla ministra delle pensioni e dell’articolo 18 però non si perdona niente, eccola dipinta come sadica maestrina dalla penna rossa (Aldo Grasso, Corriere della Sera) o addirittura come «Domina», «lady di ferro trattenuta e marziale, mistress algida e scudisciatrice seriale» (Andrea Scanzi, Il Fatto quotidiano). Era stato facile farsi paladini della dignità femminile quando c’era da abbattere il premier dongiovanni, senza di lui riemerge la misoginia quotidiana. Ma la stagione precedente ha lasciato anche tra le donne una discutibile eredità. Quello che, nel suo saggio appena pubblicato per il melangolo, Valeria Ottonelli definisce il «femminismo moralista».
Per giorni, ad esempio, si accaniranno in molte sulla farfallina di Belén e anche l’anticonformista Litizzetto si conformerà alla tendenza censoria senza accorgersi che al festival Belén era stata “signora del gioco”, padrona della sua bellezza e della sua provocazione, mentre i conduttori, loro sì subalterne macchiette, rivelavano tutti i luoghi comuni del patriarcato in declino. In declino, ma non per questo meno offensivo. Anzi. La cronaca delle violenze omicide contro mogli e fidanzate che osano riprendersi la loro libertà è agghiacciante. “A noi la festa, a voi la parola” è il titolo di un post unificato firmato da alcune note blogger che per l’8 marzo si augurano che siano gli uomini a esprimersi sulla violenza riconoscendo «la questione maschile» che si nasconde dietro i delitti definiti “passionali”.
Le blogger: questa è sicuramente una novità dell’ultimo anno, la presenza diffusa delle donne sulla Rete. Elaborazioni e dibattiti fino a poco tempo fa chiusi in luoghi separati cominciano a circolare e a contaminarsi in cerchi sempre più ampi attraverso i siti femminili.
Come la riflessione sul lavoro di cura, o meglio su “la cura del vivere” nata a Roma nel “gruppo del mercoledì”, rilanciata dalla rivista Leggendaria e dal sito donnealtri.it, che continua ad arricchirsi in incontri e convegni. Ma anche gli appelli-minaccia ai partiti che non garantiranno il 50 e 50 di candidate e la raccolta di firme contro le dimissioni in bianco, insieme al coro spesso indistinto di denunce e lamentazioni.
Un lavorio che corre parallelo all’affannarsi del governo e alle sconfitte della politica tradizionale. Sarà l’inizio di una stagione, contraddittoria e confusa come tutte le primavere, ma capace di accumulare forza e sapere? Dopo marzo, vedremo. Di solito viene sempre aprile.
da Europa Quotidiano 08.03.12